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Iddu – L’ultimo padrino Recensione: Una surreale storia di mafia

Per la loro opera terza, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, dopo Salvo (2013) e Sicilian Ghost Story (2017) – portano nelle sale Iddu – L’ultimo padrino (nei cinema da questa settimana con 01 Distribution), racconto liberamente ispirato a fatti reali, ma che mescola dramma mafioso e commedia grottesca per narrare le mirabolanti e misteriose vicende dell’ultimo grande boss e latitante italiano Matteo Messina Denaro (interpretato da un sornione Elio Germano), e anche detto “U’ Pupu” (il burattino), ultimogenito della famiglia Denaro e destinato al suo ruolo a causa di un fratello maggiore “pavido” e di una secondogenita femmina, dunque esclusi sin da principio dalle vette della carriera criminale. Emblematica la scena d’iniziazione con lo sgozzamento del capretto, che avverrà infatti per mano dell’impassibile Matteo, scelto infine dal padre Gaetano come esecutore materiale del fatto. Ma il racconto dei due registi non si concentra tanto su ascesa e vicissitudini del piccolo grande boss (se non attraverso alcuni flashback che ne segnano i ricordi più incisivi), il film esegue piuttosto un’ellissi temporale per andare a concentrarsi sull’ultima fase di vita del latitante, e in particolare sui carteggi (o pizzini) scambiati con “Il preside” (Catello Palumbo, interpretato da un tragicomico Toni Servillo), ex preside, ex massone, ex carcerato, oramai pieno di debiti, a rappresentare l’altra faccia di una Sicilia dannata, svuotata di senso e di onestà, e (s)venduta a una sotto-cultura di soldi, traffici illeciti, malaffare e solitudine imperante.

Toni Servillo ed Elio Germano in una scena del film.

Due personaggi in cerca d’autore

Iddu si focalizza quindi sul confronto, pseudo-intellettuale e pseudo-culturale, tra queste due figure decadenti e ai margini, a loro modo entrambe esiliate dalla società, che cercano come possono di mantenere un legame con la seppur sfuggente realtà circostante. Come personaggi pirandelliani smarriti e in cerca di un loro “autore” o “soggetto”, e di una loro smarrita identità, U’pupu e il Preside si confrontano e affrontano a distanza, esercitando il poco potere che è rimasto alla loro “intelligenza” (L’intelligenza è una virtù sopravvalutata). Braccati entrambi dai Servizi Segreti (Catello come collaboratore, Matteo come super-latitante e capo di Cosa Nostra da incastrare), i due uomini conducono una vita sostanzialmente infelice, scandita dalla solitudine e dalla presenza di due donne che fungono per loro da tramite con la realtà (la caustica moglie Elvira – un’ottima Betti Pedrazzi – per Catello, e l’affascinante Lucia RussoBarbora Bobulova – per Matteo). Come immersi in un labirinto senza uscita, i due uomini diventano così protagonisti di una caccia al nemico in cui si smarrisce totalmente la linea di demarcazione tra bene e male, e dove “La realtà è un punto di partenza, non una destinazione”.

Una vicenda dall’alto contenuto drammatico.

Storie di “fantasmi”

Impregnato e incastonato in quella Sicilia che è, e diventa sempre più, personaggio integrante del film, Iddu s’ispira a fatti reali per elevarsi poi a fiaba dark e macabra attorno a simbolici fantasmi di assoluta decadenza umana, ancora aggrappati alla vita solo per via di qualche sparuto scampolo di realtà. L’elemento chiave dell’opera è senza dubbio la regia ispirata, maliziosa e sorniona, sempre in bilico tra reale e onirico, a cura di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (Gran premio e Prix Rèvèlation nella sezione “Semaine de la Critique” a Cannes 2013 con l’opera prima Salvo) che qui dimostrano ancora una volta di avere un certo talento nell’immaginare e tratteggiare mondi malavitosi. Di contro, a inficiare la fruibilità del film sono la lunghezza eccessiva (130 minuti che si fanno sentire), la rigidità di una struttura spiccatamente letteraria non sempre armoniosa ai fini dell’adattamento cinematografico, e una recitazione che si muove asimmetrica tra alti e bassi (molto bravo il solito Servillo a cogliere il carattere caricaturale del suo personaggio senza perderne la profondità, altalenante Elio Germano, a tratti troppo artefatto anche nell’uso del linguaggio dialettale, e davvero poco convincente il comparto  dei servizi segreti dove a tratti mancano totalmente fluidità e naturalezza nei dialoghi).


Per la loro opera terza Fabio Grassadonia e Antonio Piazza – Salvo (2013) e Sicilian Ghost Story (2017) – portano nelle sale Iddu – L’ultimo padrino (nei cinema da giovedì 10 ottobre con 01 Distribution), racconto che mescola noir e grottesco per narrare le mirabolanti e nascoste vicende dell’ultimo grande boss e latitante italiano Matteo Messina Denaro (interpretato da un sornione Elio Germano). Si tratta di un’opera sofisticata e ispirata dal punto di vista registico, sostenuta dalle qualità della fotografia di Luca Bigazzi e dalle efficaci musiche di Lorenzo Urciullo, meglio noto come Colapesce del duo Colapesce Dimartino, e che sfrutta un registro a tratti surreale per rileggere la figura controversa dell’ultimo grande boss della mala. Di contro, la lunghezza eccessiva e alcuni tratti della sceneggiatura ne inficiano la fruibilità narrativa rendendolo film interessante ma non del tutto compiuto.


 

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