Silent Hill 2 Recensione: quando un remake occupa un posto speciale

Nei miei sogni tormentati immaginavo un remake, quello di Silent Hill 2, incapace di far rivivere al giocatore le miserie umane degli incauti protagonisti di quella storia lunga una vita videoludica. Nei miei sogni tormentati temevo, pure, che l’opera originale potesse essere snaturata, o ancora peggio imbarbarita, privata di quella raffinata per quanto “sporca” impalcatura ludica che raccontava, in bilico, la caduta di un uomo e dell’uomo, dell’essere umano che scivola e sprofonda, tra rimpianti e rimorsi. Obbligato a guardarsi in faccia, bagnata dall’acqua di un vecchio rubinetto e, appunto, del solito e mascherato tormento, James Sunderland è ancora lì, ma è diverso. È un riflesso. È tutto uguale!

James si guarda allo specchio cercando di capire chi sia davvero

Silent Hill 2: con la nebbia nel cuore

Silent Hill 2 Remake è un sospiro di sollievo! Non solo non è il disastro che molti temevano, ma è addirittura migliore di quanto, forse, fosse lecito aspettarsi. Non è una semplice “skin” appiccicata al “corpo” di un gioco di culto e neppure ne è una libera rielaborazione. In maniera intelligente e convincente, Bloober Team, ovviamente con la benedizione di Konami, ha dimostrato amore e infinito rispetto per il titolo originale che, nel 2001, determinò come e più di altre opere del tempo l’idea che il videogioco potesse essere “altro”, che il videogioco fosse diverso. Armati di spranga e torcia, due decenni e più dopo, siamo tornati in quel “posto speciale” dove, in qualche modo, tutto ebbe inizio. Perché Silent Hill 2, pur non inventando nulla, cambiò di fatto il mondo. Anche di chi vi scrive.

È certo che in molti conoscano già la trama di Silent Hill 2, così come è ovvio che non tutti abbiano giocato il titolo originale pubblicato per PlayStation 2 agli inizi del secolo. Ovvero, quando James Sunderland, un uomo qualunque, riceve una lettera scritta e firmata da Mary Shepard, la moglie morta tre anni prima che lo invita nella cittadina dove la stessa coppia aveva trascorso una vacanza e, banalmente, dei momenti felici. James sa che no, non può essere davvero così, eppure, per qualche motivo, semplicemente, accetta l’anomalia. Lo scosso James, con la lettera ben custodita in tasca, raggiunge in auto quel luogo che, ora, appare diverso, ricoperto dalla nebbia e popolato, prima ancora che da creature orribili e personaggi inquietanti, da innumerevoli paradossi.

Nonostante i “muri”, l’esplorazione della città è appagante, oltre che utile

L’incipit narrativo, insomma, non cambia e non poteva essere altrimenti! Sono proprio i primi secondi di gioco ad essere, in questo remake, speculari al gioco del 2001. Certo, la grafica è tutta nuova, con un Unreal Engine 5 che, insieme alla risoluzione, va a riempire di pixel gli spazi lasciati vuoti dagli anni e dai ricordi. Eppure, il “trucco” funziona, nella rappresentazione e pure nelle sensazioni. DualSense in mano, quell’uomo, affranto, sembra più pesante, come se si trascinasse dietro un peso persino maggiore, eppure è evidentemente più “dinamico”, accarezzato da un sistema di controllo banalmente più moderno, slegato dalle inquadrature di una volta che, nel loro fascino, imponevano dei limiti facilmente superati. Di tecnica, di grafica e, soprattutto, di narrazione visiva parleremo più avanti. Per ora, meglio soffermarci sul feeling, su quel “gameplay” che premiere e anteprime sembravano bocciare, ma che in sede di recensione vogliamo invece elogiare. Tutto è relativo, s’intende: in fondo, è proprio la serie a rifuggire, da sempre, oggettività e verità assolute. Eppure, la strada tracciata dal team polacco funziona sin da subito. James si muove senza difficoltà, proprio come la telecamera che, fissa sulle sue spalle, raramente mostra incertezze o perplessità nelle inquadrature. Quindi, arriva la nebbia. E compare Angela. Angela Orosco!

Eddie Dombrowski è uno dei personaggi “rielaborati” in maniera più convincente

Silent Hill 2: posto speciale, persone speciali

E poi, dopo Angela, c’è Laura, c’è Eddie, c’è Maria. Soprattutto Maria. A condividere con gli abomini le strade della cittadina, ci sono loro, i compagni di sventura di James. Sono loro che, insieme al protagonista, rappresentano, forse, lo stacco maggiore, l’elemento di rottura più evidente rispetto al gioco originale. Intendiamoci, la loro storia personale, meglio: il loro ruolo non cambia e, al netto della riscrittura parziale dei dialoghi, resta sempre lo stesso. Cambiano invece le voci, cambiano i volti. Cambia lo stile o, se si preferisce, il disegno. Termine forse improprio, al netto di una “cattura” di espressioni e tratti somatici ereditata dagli attori reali scelti dal team e poi, via codice, traslati su schermo. L’impatto, in questo senso, potrebbe anche infastidire e, parliamoci chiaro, lo ha davvero fatto nei primissimi trailer svelati al pubblico negli ultimi due anni.

Eppure, per qualche motivo, ci si abitua in fretta. E, anzi, man mano che il gioco avanza, man mano che la storia cerca, con tradizionale fatica, un senso o quantomeno una piega, ecco che le interpretazioni emergono con forza, come le emozioni, come la tecnologia che impone, perché no, una sua visione, una sua caratterizzazione figlia degli anni ’20. Identico ragionamento può essere fatto per le creature, per i “mostri” di Silent Hill. Qui, il lavoro del team è destinato ad incontrare i favori di un pubblico ancora più ampio. Infermiere, Mannequin, Lying Figure. Pyramid Head. Gli incubi di James mantengono orgogliosamente lo stile del 2001 perdendo i suggestivi spigoli del passato, ma ritrovando, è il gioco della memoria, inquietudine e terrore come Masahiro Ito insegnò e ancora oggi insegna.

Certo, se i personaggi funzionano è, pure, merito delle location. La città, le sue strade, i suoi vicoli, avvolti dalla nebbia persistente, ma meno opprimente rispetto al passato, incapace di nascondere sempre le minacce. Non è per forza una critica: è una nebbia reale, consistente, che stimola il giocatore a cercare le zone, ce ne sono diverse, completamente opzionali e slegate dal percorso disegnato dagli sviluppatori. L’esplorazione, per altro, è sempre consigliata perché sempre, o quasi, offre una ricompensa. Che si tratti di una siringa curativa piuttosto che di una manciata di proiettili o, magari, di uno stralcio di giornale piuttosto che un “ricordo” stampato su Polaroid, il passeggio fuori rotta è fonte continua di sorprese e di “recuperi” di location che, una volta, erano tappe obbligate. Un altro elemento di rottura, che conferma la volontà di Bloober di non riscrivere quanto, se mai, di ripensare una base pregiata, difficile da maneggiare.

I Mannequin hanno la cattiva abitudine di nascondersi per sorprendere James: non sottovalutateli

Questa tecnica la ritroviamo, così, un po’ ovunque. Anche nel design delle mappe, ancora più tentacolari rispetto al passato, e nella presentazione degli enigmi, completamente rinnovati. In entrambi i casi, il team ha fatto centro, ricostruendo le location con la volontà di scandire un ritmo diverso alla narrazione. In linea generale, Silent Hill 2 resta, anche in questo remake, un survival-horror “old-school”, dove la progressione è dettata dalla risoluzione di puzzle ambientali che, a loro volta, richiedono il reperimento di oggetti da contendere alle creature che popolano il mondo di gioco. La labirintica alternanza tra esplorazione e combattimenti, pur in un concept anacronistico per DNA, funziona. Anche perché il combat system goffo e “rotto” del 2001 è, oggi, tutt’altra cosa. Nonostante le critiche piovute addosso ai trailer, la verità è che, pur lontano dai canoni del genere action, il “nuovo” James sembra essere più a suo agio con le armi. I colpi nel corpo a corpo sono fisici, violenti, brutali, con gli impatti che vengono restituiti al giocatore attraverso un DualSense mai così recettivo. Allo stesso modo, le armi da fuoco, fucili e pistola, sono sì precise nella mira, ma anche pesanti e tremolanti. Quanto basta per non sentirsi mai al sicuro e, quindi, metabolizzare sin da subito le possibilità offerte dalla schivata, come il ritmo di una macabra danza. A differenza del gioco originale, insomma, Silent Hill 2, in alcuni momenti, è addirittura “divertente” da giocare, specie negli spazi stretti, specie quando si resta con poche munizioni o, magari, con una barra della salute, sostituita dai led del controller prima ancora che dagli effetti a schermo in odor di sangue, piuttosto risicata. Meno convincenti, invece, le boss-fight. Ne salveremmo anche una in particolare che, se non altro, richiede un minimo di lettura dello scenario. Tutte le altre sono, banalmente, scontri con nemici più grossi e più forti, cui scaricare tutto il piombo necessario per buttarli giù. E qui sì, è chiaro che si poteva fare di più.

Dove Silent Hill 2 eccelle è, invece, nei già citati enigmi. Completamente ripensati, più o meno complessi a seconda del selettore della difficoltà attivato, ma mai e poi mai banali. I puzzle non solo con il perno su cui si base l’esplorazione e quindi la progressione, ma sono elemento primario dell’esperienza. Il rischio spoiler è piuttosto alto: per questo, vi basti sapere che richiederanno pensiero logico e osservazione, con un giusto equilibrio tra semplicità e frustrazione. Ben fatto, Bloober Team.

Il primo enigma è semplice, ma affascinante, ben integrato nella storia e nell’esplorazione

Un Remake con la R maiuscola!

Se da un punto di vista concettuale e pure tecnico il lavoro degli sviluppatori può dirsi encomiabile, non ci sottrarremo nell’individuazione di quelle che, almeno per noi, rappresentano delle criticità. In linea generale, la sensazione, dopo aver trascorso oltre 70 ore sul titolo durante un test lungo una decina di giorni, è che il lavoro del team polacco sia stato fin troppo timido e rispettoso e che, insomma, ne avessero di più. Bloober Team ha dimostrato non solo di conoscere il gioco, la serie e l’universo creato dal Silent Team di Konami, ma anche di aver trovato la strada giusta, nonostante la nebbia, per svecchiare realmente un gioco che, al netto del “culto” creatosi, oggi appariva troppo rozzo nelle meccaniche e nel ritmo. Chi vi scrive, ama Silent Hill 2 e lo ritiene un capolavoro, ma figlio di una particolare era. Per questo, siamo convinti che il restyling del 2024 potesse essere persino più riuscito di quanto effettivamente non sia. Avremmo preferito una maggiore introspezione di personaggi, degli incubi dei protagonisti. Anche, una maggiore incisività delle musiche, pur splendide, riarrangiate dal maestra Akira Yamaoka e del sound design, meno incalzante di quanto fosse lecito attendersi. Per evitare di strafare, insomma, si è lavorato per sottrazione, ampliando con intelligenza, ritoccando con rispetto se non addirittura timore reverenziale, proponendo comunque un impatto visivo di grande pregio.

La quinta versione del Unreal Engine mostra i muscoli tanto negli esterni quanto negli interni, proponendo soluzioni visive, dalla nebbia agli effetti particellari, di grande impatto. Superfici viscide, bagnate di sangue. Ruggine e pustole, mostruosità industriali mosse da carne pulsante. Probabilmente, le animazioni non sono le migliori possibili, ma anche in questo caso ha vinto la volontà di non allontanare troppo il remake dal gioco originale, anche nelle sensazioni da restituire a video. Entrambe le modalità grafiche, una con priorità alla risoluzione e l’altra alle prestazioni, funzionano bene, per quanto i rallentamenti in alcune aree più vaste e più popolate siano sporadicamente presenti. La perdita di qualche fotogramma, comunque, non inficia mai l’esperienza complessiva che, dall’inizio alla fine, lungo le circa 20 ore necessarie per vedere tutto ma proprio tutto già alla prima run, si attesta su livelli altissimi per qualità e intensità. Non entreremo, invece, sulla spinosa questione dei Finali. Ce ne sono diversi, letteralmente, ma nessuno canonico. In più, come se non bastasse, ci sono nuovi finali, inediti, mai visti nel gioco originale. Ne riparleremo in futuro, in un modo o in un altro, per capire che fine abbia davvero fatto James Sunderland, l’uomo qualunque imprigionato nel suo incubo peggiore. Nel suo amore più grande. Nel suo equivoco più terrificante!


Silent Hill 2, il remake di Silent Hill 2, non fa davvero paura, ma terrorizza, affligge, distrugge emotivamente. Toccando temi particolarmente sensibili, più avvezzi alle pagine di cronaca nera piuttosto che alle opere di fantasia, è comunque pensato per un pubblico maturo, sia vecchio che nuovo. In tutti i sensi! Il remake rielabora la formula, la svecchia e, alternativamente, la alleggerisce e pure appesantisce, modulando solo in parte il gameplay originale agli usi e ai costumi del videogiocatore moderno. Nella sua lotta per non disperdere l’atmosfera, Silent Hill 2 è un eco, è uno specchio, un riflesso imperfetto. Silent Hill 2 è una fortuna, che non andrebbe sprecata! E visto l’ottimo lavoro svolto da Bloober Team, chissà se un domani assisteremo all’annuncio di nuovi remake pronti a riportarci nell’incubo di Silent Hill!


 

V MENSILE
V006 Mensile