The Legend of Zelda

Blast from the Past – V mensile: Forza, Saggezza e Coraggio

A cavallo degli anni ’80, in un momento cruciale per l’industria videoludica, Nintendo si trovava a un bivio: con il successo di Super Mario Bros. pronto a irrompere nelle case di tutti i giocatori del mondo, il colosso giapponese era alla ricerca di un nuovo titolo in grado di consolidare la propria posizione sul mercato e di sfruttare appieno le potenzialità del nascente Famicom Disk System. Shigeru Miyamoto e Takashi Tezuka, due delle menti più creative dell’azienda, decisero allora di intraprendere una nuova sfida. Lasciandosi alle spalle la linearità e l’azione vivace che contraddistinguono la serie di Mario, i due sviluppatori iniziarono a concepire un’esperienza di gioco radicalmente diversa. Nasceva così, all’interno dei laboratori Nintendo, il progetto che avrebbe portato alla creazione di The Legend of Zelda. Durante il mese di febbraio, Miyamoto e Tezuka si dedicarono alla progettazione di un mondo di gioco aperto e non lineare, dove i giocatori sarebbero stati invitati a esplorare vasti dungeon, sciogliere intricati misteri e affrontare pericolose creature. Le prime bozze, realizzate su carta millimetrata, mostravano già gli elementi distintivi che avrebbero caratterizzato la serie: una grande mappa ricca di segreti, labirinti intricati e un’atmosfera imperscrutabile e avventurosa. Il progetto, inizialmente denominato “Adventure Mario”, rappresentava una vera e propria rivoluzione per il settore: con The Legend of ZeldaNintendo non solo ampliava il proprio catalogo, ma proponeva un nuovo schema ricreativo in cui l’esplorazione, la risoluzione di enigmi e l’immedesimazione nel personaggio giocavano un ruolo fondamentale.
The Legend of Zelda

È pericoloso andare da soli! Prendi questa

Le radici di The Legend of Zelda affondano nell’infanzia di Shigeru Miyamoto. Le sue esplorazioni da bambino nel paesaggio rurale di Sonobe, un villaggio nella prefettura di Kyoto, hanno influenzato profondamente la sua visione creativa. Questo senso di meraviglia e scoperta, come trovare un lago nascosto o esplorare una grotta sconosciuta, è stato trasposto direttamente nel gameplay di Zelda. L’assenza di una mappa dettagliata nel gioco riflette il desiderio di Miyamoto di ricreare il disorientamento e la sorpresa delle sue esplorazioni giovanili. I giocatori sono incoraggiati a perdersi, scoprire luoghi inaspettati e fare affidamento sulla propria intuizione per avanzare, creando un legame profondo con il mondo di Hyrule. Takashi Tezuka, entrato in Nintendo nel 1984, ha arricchito il gioco con elementi della letteratura fantasy classica, in particolare attinti dall’opera di J.R.R. Tolkien. Questo ha contribuito a creare un mondo di gioco ricco e multiforme, intrecciando figure come Peter Pan e Re Artù con i canoni del fantasy tradizionale. La caratterizzazione di Link come eroe puro e destinato a grandi imprese ha risuonato profondamente con il pubblico. La struttura aperta e non lineare del gioco, con 128 schermate e otto dungeon accessibili in qualsiasi ordine, offriva ai giocatori un’ampia libertà di movimento, spronandoli a esplorare ogni angolo del mondo di gioco.

The Legend of Zelda: contiamo sul tuo cavaliere e sulla sua spada leggendaria

L’introduzione del salvataggio rappresentò un’innovazione significativa per il genere dato che, fino ad allora, i giochi si affidavano principalmente a sistemi di password, che risultavano spesso frustranti e poco pratici. Grazie alla possibilità di salvare la propria posizione, i giocatori potevano interrompere e riprendere la partita in qualsiasi momento, senza dover ricominciare da capo in caso di sconfitta. Questa nuova meccanica non solo costrinse tutti noi a rivedere le nostre abitudini, ma contribuì anche a differenziare The Legend of Zelda dai giochi arcade, che erano tipicamente progettati per partite molto intense ma anche molto brevi, rimarcandone lo status di autentico precursore per un certo tipo di videogiochi. La novità di un’esperienza ludica così poco ortodossa richiese un supporto aggiuntivo da parte di Nintendo, che pubblicò una guida strategica, altra iniziativa all’avanguardia per il settore, e istituì un servizio di assistenza clienti dedicato a rispondere alle domande dei giocatori. The Legend of Zelda si distinse per coerenza e completezza fin dalla sua prima iterazione, con il mondo di gioco, personaggi, nemici e meccaniche già ben definiti che avrebbero costituito le fondamenta per i successivi capitoli della serie, e l’istituzione di componenti quali i dungeon, gli oggetti speciali e i boss da combattere alla fine divenne un elemento caratteristico del franchise. Link, il protagonista della serie, rappresenta un archetipo universale, il giovane eroe chiamato a combattere il male e salvare il mondo: il suo proverbiale mutismo e il nome stesso, scelto con l’intenzione di evocare un “collegamento” tra i due lati dello schermo, tra avatar e giocatore, consente a quest’ultimo di riversare le proprie aspirazioni sul personaggio in modo da non limitarsi a controllare Link, ma a identificarsi in tutto e per tutto con lui e vivere in prima persona l’avventura. È difficile etichettare The Legend of Zelda come “semplice” videogioco, data l’influenza che ha esercitato sul medium. La perspicacia di Miyamoto e di Tezuka riuscì a conquistare intere generazioni di giocatori, trasformandolo in un vero e proprio fenomeno culturale.

L’unica distanza che conta è quella tra i nostri cuori

Fin dal suo debutto, avvenuto nel 1985, Link è diventato un’icona indiscussa nel panorama videoludico, fungendo da volto di punta per ogni nuova console Nintendo. Il fascino intramontabile che esercita sul pubblico ha contribuito a consolidare il successo di numerose piattaforme, dall’intramontabile Famicom alla rivoluzionaria Nintendo Switch. Prima dell’avvento di Zelda, i videogiochi erano caratterizzati da cicli ludici più lineari e semplificati, i mondi da visitare erano spesso bidimensionali e limitati, e la narrativa veniva ridotta a una manciata di frasi o immagini statiche, magari stampati sulle pagine di un manuale di istruzioni. The Legend of Zelda invece, come già accennato, offriva un’esperienza di gioco più immersiva e complessa, introducendo concetti inediti come l’esplorazione libera e uno sviluppo non lineare. La lavorazione del titolo coincise con quello di Super Mario Bros., due progetti che hanno segnato una svolta epocale per Nintendo: Shigeru Miyamoto, il creatore di entrambi i franchise, aveva l’ambizione di creare ambientazioni virtuali vaste e dettagliate, dove i giocatori potessero vagabondare senza limiti. Il mondo di Hyrule è caratterizzato da una natura rigogliosa e da numerosi misteri nascosti tra i resti di una civiltà ormai tramontata. I dungeon, elementi fondamentali della serie, rappresentano una metafora delle esplorazioni che lo stesso Miyamoto compiva da bambino, setacciando le stanze della casa e i dintorni del villaggio in cui abitava, e la passione che nutre nei confronti dell’arte, della musica e dell’architettura si riflette negli innumerevoli scenari da lui delineati.

La scelta del nome “Zelda” per la principessa fu ispirata dalla moglie dello scrittore F. Scott Fitzgerald: l’autore ammirava la personalità forte e indipendente di Zelda Sayre Fitzgerald, perciò decise di omaggiarla dedicandole uno dei personaggi principali della sua opera. La trama del primo capitolo della serie, almeno in ordine cronologico di rilascio, ruota attorno a tre personaggi iconici: Link, l’eroe; Zelda, la principessa rapita; e Ganon, il malvagio stregone. Il primo viene coinvolto in una grande avventura quando decide di aiutare un’anziana donna attaccata dalle forze del male. In tal modo, scopre l’esistenza di un potente artefatto magico diviso in tre parti, la cosiddetta Triforza, e si impegna a recuperarla per salvare la sua terra. Questo simbolo, che diventerà l’elemento centrale dell’universo di Zelda, viene descritto come il catalizzatore narrativo che unisce e guida la trama: la Triforza non è un semplice oggetto, ma un concetto fondamentale che interconnette i personaggi e gli eventi, plasmando il destino del regno di Hyrule. Le tre parti della Triforza rappresentano altrettante virtù fondamentali: il Potere, la Saggezza e il Coraggio. La prima, incarnazione della forza bruta e della dominanza, viene acquisita da Ganon durante il suo assalto al castello di Hyrule; la seconda, invece, è la parte che Link è incaricato di recuperare, divisa in più parti dalla principessa Zelda per evitare che Ganon se ne potesse impossessare, a loro volta nascoste nei dungeon che dovremo visitare, e simboleggia la conoscenza, l’intelligenza e la capacità di risolvere enigmi; infine la terza, che esordisce in Zelda II: The Adventure of Link, rappresenta l’audacia, la determinazione e lo spirito indomito, completando così il trio.

L’incedere del tempo è sempre crudele

Come ampiamente ribadito poc’anzi, The Legend of Zelda fu un titolo pregno di elementi progressisti nel panorama videoludico: l’utilizzo di dischi riscrivibili e la cartuccia con batteria integrata per salvare i progressi rappresentarono un passo avanti significativo per l’industria, mentre la visione di un’esperienza di gioco non lineare e incentrata sull’esplorazione elaborata da Miyamoto era evidente fin dall’inizio. Quello in cui venivamo trasportati era un vasto continente quasi del tutto privo di indicazioni, un approccio che, sebbene inizialmente fonte di preoccupazione per il suo autore, ci spinse a scoprirne i segreti attraverso ingegno e curiosità, e finì per sancire un successo clamoroso. Come lo stesso Miyamoto ha dichiarato: “Eravamo preoccupati perché The Legend of Zelda era il primo gioco da noi realizzato che richiedeva ai giocatori di pensare con le proprie teste, uno sforzo che temevamo li avrebbe potuti infastidire o annoiare. E invece lo adorarono, con nostra somma meraviglia: le sfide e gli enigmi proposti si rivelarono una parte fondamentale del suo fascino, tanto che ancora oggi, ad ogni nuovo capitolo, i giocatori ci scrivono per raccontarci quanto si divertono a risolverli.” Insomma, nonostante gli arbitrari timori, The Legend of Zelda ottenne un successo commerciale straordinario e vendette oltre 6 milioni di copie. Nintendo colse al volo tale fortuita popolarità pubblicando un sequel, Zelda II: The Adventure of Link, l’anno successivo. Sebbene Miyamoto ne avesse supervisionato lo sviluppo, il gioco venne affidato a un nuovo team, che decise di passare da una prospettiva dall’alto a un’inquadratura laterale, corredato da componenti platform più affini a quelli di Mario.

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Tale scelta, universalmente poco apprezzata dai fan, venne poi accompagnata da una serie di meccaniche prelevate dalla tradizione dei giochi di ruolo che tuttavia non riuscirono ad attecchire: Link poteva guadagnare punti esperienza, apprendere stregonerie e interagire con gli abitanti dei villaggi per raccogliere informazioni, aspetti che successori avrebbero in buona parte abbandonato per tornare alle origini. Ed ecco che, un anno dopo il sensazionale lancio del Super NintendoA Link to the Past (noto come Kamigami no Triforce in Giappone, La Triforza degli Dei) fa la sua trionfante apparizione: prequel dei titoli per NES, segna il ritorno all’inquadratura a volo d’uccello del primo capitolo ma, a differenza dei predecessori che si concentravano principalmente su combattimenti ed esplorazione, il primo Zelda a 16-bit introduce una consistente logica enigmistica, richiedendo ai giocatori di utilizzare gli oggetti in modo strategico per progredire. Inoltre, A Link to the Past presenta i primi riferimenti approfonditi alla storia del mondo di Hyrule, pur mantenendo una struttura relativamente semplice. La combinazione di avventura, duelli all’arma bianca, narrazione e rompicapo, innovativa per l’epoca, è diventata un genuino caposaldo per il prosieguo della saga. Dal punto di vista del gameplay, il titolo risulta decisamente più fluido grazie alla possibilità di muoversi in diagonale e di correre, mentre l’inventario si arricchisce di oggetti strategici come Arco, Arpione e Specchio Magico, il catalizzatore con cui possiamo spostarci tra il Mondo della Luce e il Mondo Oscuro. La storia, esordio alla sceneggiatura di Kensuke Tanabe, è ambientata centinaia di anni prima degli eventi dell’originale e presenta una diversa incarnazione di Link, Zelda e Ganon, predisponendo un concetto di linea temporale che verrà poi ripreso e sviluppato nelle successive iterazioni. La decisione di creare una serie di prequel e sequel diretti ha generato una dinamica narrativa particolare all’interno della saga che, da un lato, permette di mantenere un senso di continuità e di approfondire la storia di Hyrule, mentre dall’altro offre la possibilità di reinventare e rivisitare anche elementi già noti, adattandoli a contesti sempre nuovi.

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The Legend of Zelda: il vento… sta soffiando

A Link to the Past rappresenta un punto di riferimento indiscusso nella saga di The Legend of Zelda, tanto da essere considerato da molti come il capitolo più riuscito della serie, ma fu anche l’unico per Super Nintendo rilasciato in Occidente, mentre in patria Nintendo decise di sfruttare appieno il potenziale della serie esplorando nuove frontiere tecnologiche. Il Satellaview, un particolare modem satellitare per SNES, fu il palcoscenico di due esperimenti basati sull’universo di ZeldaBS: The Legend of Zelda propose un remake del capostipite, arricchito da una grafica riveduta e corretta, elementi di gameplay innovativi e una struttura episodica che lo rendeva un’esperienza unica. BS: The Legend of Zelda: The Sacred Stones, invece, si posizionava come un side-quest di A Link to the Past, regalando ai fan un’ulteriore avventura ambientata nel mondo di Hyrule. La particolarità di questi giochi risiedeva nel loro formato distributivo: essendo trasmessi via satellite, potevano essere giocati solo durante specifiche fasce orarie e presentavano un’interattività inedita, con suggerimenti e consigli trasmessi in diretta. Parallelamente a questi esperimenti, Nintendo esplorò la possibilità di sviluppare giochi per CD-ROM, una tecnologia emergente all’epoca. La collaborazione con Sony, tuttavia, naufragò a causa di divergenze strategiche, portando Nintendo a stringere un accordo con Philips. Il risultato fu una manciata di titoli per Philips CD-i con protagonisti Mario e Link, che vennero accolti con freddezza dalla critica e dai fan a causa di una realizzazione tecnica scadente e di scelte narrative discutibili, un promemoria imperituro di come anche le più grandi aziende possano commettere degli errori (e degli orrori) madornali.

The Legend of Zelda

L’approccio di Shigeru Miyamoto alla creazione di The Legend of Zelda: Ocarina of Time può essere sintetizzato nella metafora del giardino: un mondo vivo e in continua evoluzione che richiede cura e attenzione. Eppure, molti fan hanno percepito un’evoluzione ancor più significativa nel personaggio di Link, piuttosto che nel mondo di Hyrule stesso. Majora’s Mask rappresenta una svolta radicale nella serie, segnando il passaggio al 3D e approfondendo notevolmente l’arco narrativo del protagonista. L’ambientazione di Termina, pur ispirandosi a Hyrule, sfoggia un’atmosfera più cupa e opprimente, caratterizzata da un ciclo temporale di soli tre giorni. Questa scelta narrativa, sebbene innovativa, ha diviso i fan: da un lato, ha provato a scombinare le carte in tavola con elementi di gameplay originali e un’atmosfera unica, dall’altro ha generato un senso di claustrofobia e di urgenza che non tutti hanno apprezzato. Il salto generazionale verso il GameCube è stato caratterizzato da un’evoluzione stilistica ancora più marcata. The Wind Waker ha sorpreso i fan con la sua grafica cel-shaded, un’estetica che si è rivelata controversa, ma che ha permesso di creare un mondo di gioco visivamente distintivo e ricco di personalità. L’abbandono della formula tradizionale, con l’aggiunta della navigazione per mare e di un gameplay più incentrato sulla libera navigazione, ha rappresentato un azzardo che si è rivelato vincente, apportando una ventata (è proprio il caso di dirlo) d’aria fresca e decisamente apprezzabile. Come strategia di marketing, Nintendo decise di affiancare a The Wind Waker un disco bonus pieno di contenuti aggiuntivi, tra cui la versione Master Quest di Ocarina of Time, con dungeon più complessi e rimaneggiati.

Se fai la cosa giusta, rendi davvero tutti felici?

Il percorso evolutivo di The Legend of Zelda tra GameCube e Nintendo 3DS è stato caratterizzato da sperimentazioni e innovazioni, sia in termini di giocabilità che di stile visivo. Four Swords Adventures venne progettato con l’obiettivo di espandere il franchise verso un’esperienza multiplayer più marcata: sviluppato dalle fondamenta di A Link to the Past & Four Swords per Game Boy Advance, introduceva una dinamica cooperativa inedita, permettendo a quattro giocatori di controllare contemporaneamente diversi Link, coordinandosi per risolvere enigmi e affrontare sfide. Malgrado l’originalità dell’approccio, però, ricevette un’accoglienza più contenuta rispetto a molti altri capitoli. Fu Twilight Princess a segnare un punto di svolta significativo, combinando numerose caratteristiche dei predecessori per creare un’atmosfera più cupa e matura. Sviluppato inizialmente per GameCube e successivamente portato su Wii, il gioco si distinse per la ricchezza di contenuti e per l’impegno profuso nello sviluppo, in particolar modo per la specularità che sussisteva tra le due versioni: benché infatti Link sia sempre stato mancino, la stragrande maggioranza dei giocatori è comunque destrorsa, dunque configurare i Wiimote affinché la mano sinistra manovri lo scudo e la destra brandisca la spada sembrò la decisione più sensata, e di conseguenza l’intera ambientazione venne ribaltata sull’asse orizzontale per meglio adattarsi a tale decisione. Dopo l’esperimento di The Wind Waker e il successo di Twilight PrincessNintendo decise di esplorare nuove possibilità per la serie sul DSPhantom Hourglass e Spirit Tracks costituirono un ritorno alle origini, pur essendo provvisti di accorgimenti innovativi come il gameplay basato sul touchscreen. Entrambi furono accolti positivamente dalla critica e dal pubblico, consolidando il successo della serie anche in formato portatile.

Il ritorno di Ocarina of Time in versione rimasterizzata per Nintendo 3DSOcarina of Time 3D, rappresentò un omaggio per tutti gli estimatori di lunga data e un’opportunità di riscoprire uno dei capitoli più amati della serie, aggiornato graficamente per sfruttare le potenzialità del nuovo hardware, mentre Skyward Sword per Wii segnò un nuovo inizio da tutti i punti di vista, poiché era deputato ad approfondire la genesi della mitologia della saga, dalla creazione della Triforza all’ancestrale battaglia tra la dea Hylia e il malvagio demone Mortipher, passando per le origini della leggendaria Spada Suprema, la lama divina in grado di debellare le forze delle tenebre che Link ha rivendicato nella stragrande maggioranza delle sue avventure. Il titolo presentava una serie di accortezze supplementari, come l’utilizzo del Wii MotionPlus per un controllo più preciso della spada, e si distinse tanto per la storia avvincente quanto per le incantevoli ambientazioni. Benché lo sfortunato Wii U abbia goduto soltanto di riedizioni HD di The Wind Waker e Twilight Princess, i proprietari di 3DS beneficiarono di un autentico erede sia materiale che spirituale del grande classico per Super NintendoA Link Between Worlds, che affiancava la classica giocabilità degli Zelda tradizionali ad alcune alternative moderne, come la facoltà di fondersi con le pareti e raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili. Appare dunque chiaro che l’intenzione dei team di sviluppo che si sono fatti carico di portare avanti l’epopea di Link e Zelda, le cui redini sono passate saldamente in pugno a Eiji Aonuma a partire da Twilight Princess, sia quella di puntare costantemente a rielaborare le convenzioni stipulate da ogni episodio per fare in modo che il successivo non fosse un semplice “more of the same”, sperimentando nuove meccaniche di gioco, stili visivi e ambientazioni senza adagiarsi sugli allori.

Sono sempre la tua Zelda

Dal 2015 in avanti, è iniziata una nuova epoca di transizione per il franchise, che a tutt’oggi non ha ancora avuto termine: la riproposizione di Majora’s Mask per Nintendo 3DS ha consolidato il successo della formula dei remake “potenziati”, che ha permesso agli appassionati vecchi e nuovi di rivivere uno degli episodi più particolari con la medesima carica nostalgica tinteggiata in ottica moderna. Tuttavia, lo stesso anno, Tri Force Heroes ha rappresentato un esperimento meno fortunato, con una struttura multiplayer che, seppur inedita, non è riuscita a soddisfare pienamente le aspettative dei giocatori. Ma è stato il 2017 a segnare una svolta epocale per la serie con l’uscita di Breath of the Wild: la prima avventura concretamente open world di Link, che venne in realtà concepito durante l’epoca Wii U, ha trovato la sua piena realizzazione su Nintendo Switch, riversando nella piccola cartuccia della console ibrida una libertà di esplorazione, una profondità atmosferica e una cura dei dettagli tali da renderlo un punto di riferimento per l’intero settore videoludico. Il suo eclatante successo ha ridefinito gli standard del genere action-adventure, ispirando numerosi altri titoli come l’acclamato Elden Ring di Hidetaka Miyazaki. Il sequel, Tears of the Kingdom, ha ulteriormente ampliato gli orizzonti del predecessore, introducendo nuove meccaniche e un mondo di gioco ancora più stratificato, vasto e complesso. La capacità di combinare oggetti e creare strumenti personalizzati ha posto i giocatori di fronte a una libertà creativa senza precedenti, consentendo loro di affrontare le sfide del gioco in modo unico e originale senza i limiti imposti da soluzioni restrittive o troppo guidate.

Infine, questo è il mese dell’ultimo episodio di The Legend of Zelda, ribattezzato Echoes of Wisdom, che abbraccia l’estetica più morbida e, se vogliamo, bambinesca del remake di Link’s Awakening su Switch per presentare un’avventura con protagonista la titolare principessa al posto dell’eroico guerriero vestito di verde, impegnata a salvare quest’ultimo e l’intero regno di Hyrule dalla minaccia di una serie di fratture dimensionali che stanno assorbendo e imprigionando la realtà. Ma è probabile che, se siete arrivati fin qui, avrete già letto la nostra spassionata recensione, dunque sapete già molto bene di cosa sto parlando. Il successo duraturo di The Legend of Zelda si può pertanto attribuire a una combinazione di fattori: anzitutto, la capacità di innovare costantemente, mantenendo al contempo l’essenza stessa del franchise, dove ogni tentativo e sperimentazione viene incorniciato da un agglomerato di caratteristiche che infondono un senso di tradizione e continuità; in secondo luogo, la cura riservata alla creazione dei mondi da esplorare, ricchi di dettagli e atmosfere suggestive, che invitano all’esplorazione e alla scoperta; ultima ma non ultima, la profondità narrativa e la capacità di creare personaggi memorabili, con cui i giocatori possono empatizzare e identificarsi. La serie ha saputo creare un legame indissolubile con i suoi estimatori, e uno degli ingredienti principali della sua meritata fama è proprio la capacità di farli sentire parte integrante di Hyrule. Shigeru Miyamoto ha spesso sottolineato l’importanza di stimolare il desiderio inconscio di avventura nei giocatori, e ha racchiuso tale concetto in un’unica, splendida, inoppugnabile affermazione, pronunciata durante un’intervista all’alba del nuovo millennio: “Penso proprio che molte persone sognino di diventare eroi.”

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Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.