Balzato agli onori delle cronache nel lontano 1987, Test Drive si distinse tra tutti i racing game dell’epoca per la proposizione di un allora inedito approccio stilistico che anteponeva l’adozione di una guida accorta alla semplice necessità di tagliare il traguardo prima degli avversari. Sconfessata solo in parte dal suo leggendario sequel, The Duel: Test Drive II nel 1989, l’anima simulativa del brand venne accantonata definitivamente attraverso il rebranding seriale degli anni 90, per poi assumere connotati di respiro più ampio nell’ambito dei due capitoli della serie Unlimited (2006 / 2011) di cui Solar Crown costituisce il terzo e più ambizioso episodio.
Indice
ToggleTest Drive Unlimited: ambizioni (fin troppo) ardite
Allineandosi sin dalle prime battute ai parametri concettuali imposti negli ultimi anni da un colosso del calibro Forza Horizon, Solar Crown ne riprende l’impostazione open world e l’intelaiatura multidisciplinare trovando nell’ormai consueto Festival d’Elite il proprio leitmotiv. Radunati in quel di Hong Kong da una ricca corporazione automobilistica, i migliori piloti del mondo andranno in tal senso a contendersi la leadership assoluta del circuito, saltando dai vellutati interni di costose fuoriserie ai sedili imbottiti di massicci fuori strada con lo scopo di raggiungere lo status necessario allo sblocco di ulteriori competizioni ed altri divertissement del caso. Come facile intuire, detta soluzione non brilla di certo per freschezza ed espone anzi il gioco ad un severo confronto diretto coi suoi più blasonati competitor: chiunque abbia avuto modo di provare le ultime edizioni della succitata hit targata Turn 10 Studios o anche la sola opportunità di giocare a The Crew: Motorfest, non potrà infatti che prendere atto di un divario strutturale significativo, reo di evidenziare annose lacune ancor prima di scendere in pista. Sin dalle prime fasi di gioco, si ha infatti l’impressione di trovarsi di fronte ad una rielaborazione low cost della Horizon Experience, la cui essenza si riduce spesso e volentieri ad uno sterile copia/incolla delle sue attrattive. Pur volendo chiudere un occhio e derubricare il concetto di plagio ad una più morbida forma di emulazione, risulta difficile spiegarsi l’ostinazione mostrata degli sviluppatori nel perseguire questo modello, specialmente in rapporto a budget e risorse tecniche evidentemente inferiori. Appurato che nessuna delle feature proposte costituisca un fattore che non sia stato esplorato prima e, in modo più efficace, dai succitati competitor viene spontaneo ipotizzare che l’intera operazione avrebbe avuto maggiori chance di successo qualora si fosse prediletto un format più sobrio e originale.
Guai in pista
La generale insipidezza emersa in termini di presentazione, avrebbe potuto assumere connotati veniali qualora Solar Crown avesse mostrato maggior carattere in pista. Il problema è che le più aspre criticità del progetto emergono proprio in questo campo. A finire sotto il banco degli imputati non può che essere il modello di guida proposto e il motivo è presto detto: da un brand che si trascina dietro cotanta eredità, ci si sarebbe aspettato un impianto più profondo e stratificato, o magari qualcosa che potesse richiamare l’originario incentivo a prediligere uno stile di guida più tecnico… A motori avviati, ci si ritrova invece ad assecondare dinamiche di manovra, accelerazione, frenata o ripresa piuttosto contratte e, complessivamente, incapaci di garantire un feedback in grado di spingersi oltre i più ordinari standard del filone arcade. Particolarmente evidenti su asfalto, dette limitazioni vengono in parte aggirate nell’ambito delle gare su sterrato, il cui feeling è sicuramente più frizzante; ciò nonostante, rimane arduo individuare caratteristiche in grado di favorire a Solar Crown un qualsiasi vantaggio sulla concorrenza, si trattasse anche dei soli modelli poligonali delle auto, il cui coefficiente di dettaglio risulta, al contrario, scialbo quanto il look dell’intera ambientazione circostante. Per quanto affascinante, l’esotica location scelta per l’evento sembra del resto saltar fuori da un titolo di sei-otto anni fa, sia per quanto concerne l’estetica di edifici ed elementi naturali, che in termini di illuminazione dinamica ed effettistica annessa. Pur volendo lodare lo sforzo profuso dagli sviluppatori al fine di garantire una sensazione di velocità soddisfacente, nonché lo sviluppo di gare in grado di risultare anche a tratti avvincenti, mi trovo altresì costretto a sottolineare anche la presenza di alcune sbavature di natura prestazionale. Al di là di costanti episodi di clipping, sensibili cali di framerate in presenza di più vetture coinvolte nelle sezioni più articolate dei circuiti, vanno riportati occasionali, ma fastidiosi crash dei server che, nell’ambito del mio test, hanno più volte interrotto lo svolgimento delle corse, obbligandomi a ricominciare daccapo. Sono certo che queste imperfezioni verranno limate tramite aggiornamenti nei prossimi giorni, così come sono stati risolti i problemi di connessione che, al Day One della Gold Edition, avevano addirittura impedito al gioco di avviarsi. Allo stato attuale delle cose, non posso in ogni caso che segnalare il tutto e sommare al verdetto finale il peso di queste sbavature.
Conclusioni
Solar Crown si è presentato sfoggiando ambizioni ardite, come quella di sfidare un mostro come Forza Horizon. A fronte degli sforzi profusi dagli sviluppatori, limitazioni legate al modello di guida e alle incertezze mostrate dall’engine di supporto determinano gli estremi di una prestazione decorosa, senza impensierire una concorrenza che rimane fuori portata.
Leggilo gratis in versione impaginata e sfogliabile sul numero 6 di V – il mensile di critica videoludica