Stavo giusto pensando all’argomento da trattare nel nostro consueto appuntamento di fine numero, quando Ubisoft ha annunciato il rinvio di Assassin’s Creed: Shadows al giorno di San Valentino del 2025. Di fronte al consueto post apologetico, ho sgranato gli occhi come se Trump avesse vinto le elezioni, ma poi sono scivolato nuovamente nel mio ordinario stato di semi incoscienza, neanche fossi Paperino in quel famoso Meme che gira su rete da anni. L’unica, consistente differenza tra me e il papero più amato del pianeta è che a me di Assassin’s Creed: Shadows importa eccome, solo che la notizia non è esattamente arrivata come un fulmine a ciel sereno. Il sospetto che qualcosa stesse andando di traverso si era in effetti palesato già da qualche settimana, complici l’insolita quiete che si respirava sui canali social della major francese e il susseguente, improvviso, ritiro della rispettiva delegazione dal Tokyo Game Show.
Sebbene in giro ci sia già qualcuno che intende far passare detta posticipazione come il preludio a un nuovo caso Skull and Bones, occorre esercitare un minimo di autocontrollo e ammettere che, quando si parla di Kolossal, questo tipo di eventualità sia, ahimè, diventato uno standard. Le ragioni per cui lo sviluppo dei tripla A vada così soggetto a questo rischio sono molteplici e io stesso ne ho parlato qui tante volte da rendere ogni superfluo ogni ulteriore accenno: al punto in cui siamo, preferisco far piuttosto coming out e rivelarvi che non ho mai considerato il rinvio come un deficit, né come un’oscena dimostrazione di incapacità. Trovo al contrario che, nel momento in cui dovesse risultare palese che il prodotto non sia pronto per il mercato, intraprendere una decisione del genere non rappresenti solo un notevole atto di responsabilità, ma anche una concreta forma di rispetto nei confronti del pubblico. Dico questo perché i videogame costano così tanto da rendere inaccettabile l’idea che anche uno solo di essi possa arrivare nei negozi incompleto o malfunzionante. So bene che, a primo acchito, questa riflessione possa apparire ovvia, eppure i meri dati ci dimostrano il contrario. Annali alla mano, è infatti possibile tracciare la parabola di un’avvilente deriva commerciale che, tra un No Man’s Sky e un Cyberpunk 2047, ci ha lentamente abituati a ritenere accettabili compromessi che ogni altro consumatore riterrebbe inconcepibili. In nessun’altra branca dell’industria globale, sia essa rivolta all’entertainment, all’alimentazione o ai trasporti, vi sono del resto aziende disposte a distribuire deliberatamente beni difettati… E non vedo davvero perché mai il settore dei videogame dovrebbe rappresentare un’eccezione.
Per quanto possa risultare amara la delusione per la posticipazione di Shadows o doloroso il pensiero di aver effettuato un pre-order, inviterei dunque i più facinorosi a deporre i forconi e rivedere il proprio atteggiamento nei confronti di Ubisoft o di qualsiasi altra compagnia che scelga di rinviare l’uscita di un titolo nel tentativo di offrire un prodotto migliore. Se proprio ci dev’essere qualcuno da biasimare, sarebbe molto meglio rivolgere l’attenzione a chi ha consapevolmente spedito sugli scaffali lavori incompiuti, pretendendo con una faccia tosta davvero unica, che li si pagasse persino a prezzo pieno.
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