Il recente platformer di Sony, Astro Bot, ha conquistato in breve tempo pubblico e critica con le sue straordinarie qualità. Il titolo rappresenta un chiaro tributo ai massimi esponenti del genere, ma riesce a reinventarsi con una personalità unica. Come ha detto qualcuno, “i poeti immaturi imitano; i maturi rubano. (…) Il buon poeta salda il suo furto in un complesso di sensi che è unico, interamente diverso da ciò da cui fu avulso.“. Quel qualcuno era T. S. Eliot, poeta e critico statunitense, riferendosi a quanto sia difficile trovare idee genuinamente nuove nella vita, ma come sia di contro possibile metterne insieme tante diverse, riciclate, per creare qualcosa di eccezionale. Astro Bot dimostra che, anche nel mondo dei videogiochi, la capacità di prendere ispirazione da ciò che è già stato fatto e di trasformarlo in un prodotto a suo modo innovativo è fondamentale.
Del resto, il mondo dei platform è un terreno fertile per il rinnovamento, ma anche per gli omaggi ai grandi classici, un equilibrio incarnato alla perfezione dall’ultima avventura del simpatico Astro che, ispirandosi ai capolavori di Nintendo e ad altri grandi che ricadono nella medesima categoria, ci conduce in un viaggio nostalgico attraverso livelli colorati e pieni di sorprese, rivisitando meccaniche familiari con una freschezza sorprendente. È come se Team Asobi avesse preso il meglio del passato per costruirci sopra un rigoglioso futuro. Il salto potenziato, che ricorda lo Splac 3000 di Super Mario Sunshine, è solo uno dei tanti esempi di come gli sviluppatori abbiano saputo rielaborare idee già esistenti e declinarle con la propria sensibilità. Il potenziamento della spugna, che permette al protagonista di trasformarsi in una gigantesca porifera, richiama l’abilità di Kirby di diventare un palloncino d’acqua in Forgotten Land. Sia Team Asobi che HAL Laboratory hanno utilizzato un concetto simile, un tropo impiegato per anni in svariate altre produzioni, allo scopo di creare esperienze che sembrano nuove ed entusiasmanti. Ma Astro Bot non si limita a copiare e introduce anche elementi relativamente originali, come l’utilizzo della realtà virtuale, che ci permettono di immergerci completamente nel mondo di gioco e di interagire con gli oggetti in modo più intuitivo. Il level design è un altro punto di forza: ogni livello è una bellissima scatola cinese, ricca di dettagli e di segreti da scoprire, mentre la colonna sonora, con le sue melodie orecchiabili, accompagna il giocatore in questa rocambolesca odissea spaziale.
Ecco dunque che la lezione di Eliot diviene molto più chiara: copiare qualcun altro significa studiare lo stile di un artista, o di uno sviluppatore, e cercare di ricrearlo nella maniera più fedele possibile; viceversa rubare, nello spirito della frase originale e dunque non come pura e semplice riproduzione pedissequa di qualcosa che già esiste, vuol dire prendere un concetto, comprenderlo a fondo e acquisirne totale padronanza, un processo che è parte integrante e quasi indispensabile per la creazione di esperienze di gioco realmente moderne, riformatrici e catartiche.