Il nostro mondo sta cambiando, e con lui lโIndustria dei Videogiochi. Cambiano le piattaforme sulle quali giochiamo: quando ero bambino, andavano gli arcade in sala giochi, e in casa la mia prima console fu un clone di Pong, da attaccare alla televisione per giocareโฆ a Pong, con solo qualche variante. Oggi ho tre console piรน o meno rivali, un PC da gioco, e persino un dispositivo per la VR. In mezzo, รจ passata qualsiasi cosa. Tutto cambia. Sono cambiati i supporti. Ricordo le cartucce della mia adorata Intellivision, ma anche i dischetti dellโAmiga 500, originali e non (erano decisamente altri tempi, e da ragazzino ti arriva un poโ di tutto, tra regali e risparmi investiti in videogame). Per non parlare del C64, con lโepocale spartiacque dellโera cassette (cacciavite e cuffietta alla mano, a cercare di far partire i giochi) e dellโera floppy disk (โvirgola otto virgola unoโ, e chi ci รจ passato sa). Eh giร , ma sono cambiate anche le regole del gioco, intese come i meccanismi di comunicazione, di promozione, il modo di annunciare le novitร e di creare aspettativa nel pubblico. Le grandi fiere, i grandi eventi, hanno subito trasformazioni immense, sono stati protagonisti di enormi sconvolgimenti.
Un tempo leggevamo le notizie sensazionali circa i videogiochi allโinterno dei reportage dal Consumer Electronic Show di Las Vegas, nel Nevada (Stati Uniti). In Europa, lโevento che dettava legge era lโECTS, in quel di Londra, nel Regno Unito. Ho fatto anche in tempo ad andarci, professionalmente, prima del fallimento di quella manifestazione e della grande migrazione germanica, che rese protagoniste prima Lipsia, con la Games Convention, e poi Colonia, con la gamescom, scritta rigorosamente in minuscolo (detesto queste cose; riconsegnateci il corretto uso della lingua). In America, poi, non ne parliamo: in un certo senso, il trauma della fine dellโElectronic Entertainment Expo, meglio nota come E3, รจ ancora un peso sui nostri cuori, come operatori dell’informazione e del settore, e come semplici appassionati. In tutto questo, il Tokyo Game Show รจ rimasto, quasi fosse un baluardo della tradizione, antiche vestigia in un mondo barbaro e sempre piรน inelegante che corre giรน per una vertiginosa discesa, a rotta di collo. E ci sta, a pensarci bene, perchรฉ il Giappone ci richiama alla mente tradizioni antiche, formalitร , quasi un sacro rispetto per ciรฒ che eravamo, per chi ci ha preceduti.
Certo, anche il TGS รจ cambiato, con il tempo. Tutto cambia, lo abbiamo detto. Sono cambiati i pesi delle aree territoriali allโinterno della Games Industry globale, pertanto anche la grande vetrina del gaming made in Japan รจ cambiata, perchรฉ in un certo senso, ma giร da anni, si รจ in parte rilocalizzata. Sapete una cosa? Non รจ un male, a mio giudizio. Col passare del tempo, credo sempre di piรน e con sempre maggior forza che, mentre il grande business del videogioco va comunque avanti, spingendoci verso il balzo quantico di Grand Theft Auto VI, con tutte le luci e le ombre che ormai ben conosciamo (il mostro della crisi รจ il grande male da noi stessi generato), รจ fondamentale coltivare piccole o medio-grandi opere diverse, genuinamente โindipendentiโ, non fossโaltro dai trend e dai calcoli corporativi. Opere locali, intrise di culture e sottoculture, opere grezze e imperfette, opere generate troppo lentamente o gettate fuori troppo in fretta, opere troppo minuscole per essere notate dai grandi cafoni dei media globalizzati, o magari opere troppo incendiarie per salire sui palchi delle kermesse.
Tutto cambia. Il videogioco cambia. Noi cambiamo. E mentre ancora una volta calano le tenebre, strizziamo gli occhi e scrutiamo lโorizzonte, a caccia di una fiaccola, il segnale della rivoluzione.
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