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Errore 404 – V mensile: La ruota del criceto

Su cosa voglia dire essere videogiocatori oggi dovremo parlarne a lungo. Non so voi, ma da mesi mi trovo immerso in una specie di giungla dove specie animali che prima credevo di conoscere mi sono divenute totalmente aliene. Negli anni ’80, nessuno si sarebbe mai sognato di classificare i videogiocatori, semplicemente non aveva senso, in un mercato ristretto e dove ogni titolo era una novità il più delle volte calata dall’alto, una “dittatura dell’arte”, come direbbe il buon Adolf Loos, un tizio che per la nuova sede del Chicago Tribune nel 1922 propose un grattacielo a forma di colonna. Sembrerebbe far ridere, e invece, nel mondo dove ormai si copia all’infinito quello che fa un po’ di successo, svuotando le opere del loro significato, non suscita per niente ilarità. L’idea che il videogiocatore sia un “target”, più che un utente, mi dà l’idea di un elefante con un bersaglio sulla schiena: se lo colpisci con una rosa di pallettoni, tu, designer, hai fatto più o meno il tuo mestiere; perché una cosa è appassionare, un’altra tendere delle trappole a chi ha bisogno di impegnare il proprio tempo libero con una passione che porta avanti da quando è bambino.

Per questo serve differenziare, perché il topo di città non mangia le stesse cose di quello di campagna, e il topo sopravvissuto a un avvelenamento non si avvicina allo stesso cibo che la volta precedente l’ha fatto stare male. Uomini e topi e “uomini topi”, me lo passi il buon Steinbeck, questo parallelo, credo sia incredibilmente preciso. Ma queste categorie che frammentano l’anima di una generazione, oltre a non essere piacevoli, hanno dei risvolti decisamente pericolosi, per il mercato e per gli utenti, un po’ come i canali tematici, la cosa più sfigata che la televisione abbia mai prodotto in vita sua, ovvero ammettere che “repliche, repliche, repliche” fanno più ascolti delle nuove idee. Lo penso, lo penso davvero, anche se in questo momento su Tik Tok sto guardando 1/3 della puntata 24 dell’Uomo Tigre. Insomma, dall’alto hanno deciso che dobbiamo girare nella ruota dei criceti, che, per quanto siano un po’ più belli dei topi, vanno incontro allo stesso destino: essere cavie. Cavie di tentativi più o meno grossi di quelle che sono delle vere e proprie truffe, perché, quando vi trovate a pagare 50 euro per un gioco incompleto che la software house di turno non finirà mai scappando con la cassa, non ci sarà circuito che ve li restituirà, anche perché, se in merito la legislazione dovesse decidere di iniziare a muoversi oggi, domani mattina finirebbero per strada due milioni di persone, e non è un numero che ho detto a caso.

Ma mettiamoci un attimo dall’altra parte: art director, animatori, programmatori che la mattina, in software house contenute in un paio di garage alla periferia di qualche piccola provincia, strisciano il badge sapendo di lavorare a qualcosa che, una volta uscito, li costringerà a trovarsi un altro lavoro. Deve essere davvero difficile combattere con la propria coscienza e non buttare i monitor, le tastiere, i mouse, ma pure i server dalle finestre. Però, se sono usciti titoli come Concord, tutto è possibile.

Le opinioni espresse dall’autore di questo articolo sono personali e non riflettono necessariamente il pensiero di V.

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