Nel panorama videoludico attuale, i titoli soulslike sono ormai all’ordine del giorno. Sebbene ognuno offra una propria interpretazione del genere, è raro trovare qualcosa che spicchi veramente dalla massa. Deathbound presenta qualche peculiarità ludica gradevole, ma purtroppo è afflitto da combattimenti poco fluidi e ritmi narrativi piuttosto lenti.
Un’anima in due corpi
Il contesto narrativo di Deathbound ruota attorno al classico tema di divinità che giocano con il destino degli umani. La Dea della Vita ha ingannato la Dea della Morte, dando origine alla Prima Razza, una stirpe immortale. Con il tempo infinito a loro disposizione, questi esseri hanno dapprima sviluppato tecnologie avanzate, per poi decidere di rinunciare alla loro immortalità e scomparire. Ai giorni nostri, una nuova civiltà si è sviluppata sulle rovine della tecnologia della Prima Razza e cerca di ottenere l’immortalità, ed è qui che entra in scena il protagonista, un membro della Chiesa della Morte, seguaci della Dea della Morte che considerano l’immortalità un peccato mortale… ho già detto la parola “morte”, vero? Non passa molto tempo prima di imbattersi nella chiave di volta del gioco: la trasformazione. Therone Guillaumen, il nostro alter ego, è un fanatico deciso a infliggere la morte agli infedeli ma, dopo un incontro fortuito con un cadavere, scopre di poter assorbire l’essenza stessa del defunto e condividere con lui il proprio guscio di carne e ossa. Inutile aggiungere che lo zelota non è affatto entusiasta di questa situazione, soprattutto considerando che la persona assimilata era un seguace di una divinità rivale, ma il processo va a nostro vantaggio: d’ora in avanti, oltre ad ascoltare i due discutere sulle rispettive ideologie mentre cerchiamo di capire cosa stia succedendo in questo mondo post-apocalittico-medieval-scientifico, possiamo finalmente iniziare a trasformarci. Proprio così, il titolo di Trialforge Studio si distingue dai suoi simili grazie all’innovativo sistema di metamorfosi, grazie al quale è possibile assumere l’identità di qualsiasi personaggio assorbito e assegnato alla croce direzionale. Ciò che ha inizio come una semplice alternanza tra due personaggi si evolve rapidamente in un vero e proprio gruppo di combattenti, ognuno con il proprio stile di combattimento. Ad esempio, siamo in grado eseguire due potenti attacchi con il cultista della morte Therone, poi assumere le sembianze della spadaccina Anna e sferrare una serie di rapidi colpi con le daghe, passare a Iulia e aggiungere qualche affondo della sua lancia, e infine concludere con un attacco ad area dello stregone Haodai, che sbalza l’avversario a terra e lo avvelena.
La maledizione dell’immortalità
Tuttavia, il sistema non è sempre fluido come dovrebbe: a volte, durante il tentativo di cambiare personaggio, l’animazione può richiedere più tempo del previsto e ci lascia scoperti ai contrattacchi, mentre i controlli in generale risultano un po’ goffi, compromettendo la scorrevolezza di movenze e battaglie. Ad ogni modo, il gioco presenta altre meccaniche interessanti, come i due percorsi distinti di potenziamento di ciascun oggetto raccolto (anelli, amuleti, ecc.), che vanno a migliorare alcune statistiche o abilità dei personaggi. Questi ultimi inoltre possiedono affinità innate tra loro, quindi la loro posizione sul D-pad è fondamentale per il successo: posizionare due anime che si detestano l’una accanto all’altra può infliggere un debuff, perciò la pianificazione strategica delle build è altamente consigliata. Per quanto il sistema di trasformazione richiami Mortal Shell, Deathbound abbandona l’opprimente ambientazione gotica e adotta un tema che combina technopunk e abbigliamento medievale. Tutti i personaggi presentano un evidente contrasto visivo con la tecnologia avanzata che li circonda, creando uno scontro estetico insolito ma affascinante. Purtroppo, tolto l’intrigante aspetto visivo, i livelli sono piuttosto lineari, con pochissime scorciatoie che non riescono mai a raggiungere l’impatto della scoperta presente nei giochi FromSoftware. Quantomeno, la loro presenza migliora in qualche modo l’esplorazione complessiva, ma è innegabile che l’estrema linearità delle mappe non ne tragga chissà quale beneficio, lasciando in breve spazio alla monotonia soprattutto a causa della già citata imprecisione dei comandi, delle soporifere animazioni per raccogliere oggetti o curarsi, dove il personaggio rimane letteralmente fermo, e della velocità ridotta con cui si svolge ogni cosa, compresa qualsivoglia interazione con gli scenari. Mi è capitato più d’una volta di trovarmi in difficoltà con il corretto posizionamento per aprire una porta, poiché la pressione di un qualsiasi altro tasto interrompe l’animazione in corso e costringe a un nuovo allineamento, una seccatura francamente improponibile ai giorni nostri.
Conclusioni
Benché riesca a farsi notare grazie all’estetica e al particolare sistema di gruppo, Deathbound fatica a emergere a causa di problemi tecnici, una trama poco coinvolgente e un gameplay sbilanciato, seppur funzionale. Potrebbe soddisfare per un po’ i fanatici del genere, ma tutti gli altri è bene che se ne tengano alla larga.
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