The Bear Stagione 3 Recensione: Sì, Chef!

The Bear 3

La vita, le passioni (su tutte quella per la sperimentazione e la cucina) e le infinite trasformazioni attraverso cui passiamo per diventare ciò che siamo, proprio come una materia prima che viene finemente lavorata per poi diventare qualcosa di strutturalmente diverso. Questa, in soldoni, è l’idea d’indagine alla base di The Bear. Tra piatto stellato e abbinamento da cestinare passando per tutte i livelli intermedi e le difficoltà del caso, The Bear (serie statunitense FX creata da Christopher Storer, trasmessa in Italia da Disney+ e giunta oramai alla sua terza stagione dopo il successo inaspettato – tanto di pubblico quanto di critica – delle prime due) segue le vicissitudini personali e lavorative dello geniale e sregolato Carmy (interpretato da un credibilissimo Jeremy Allen White), tornato, dopo un periodo turbolento e “stellato” a New York, nella sua Chicago per riprendere in mano le fila della paninoteca del fratello maggiore Mikey (Jon Bernthal), venuto a mancare in circostanze tragiche. Ad affiancarlo in questa sfida, la determinata e talentuosa Sydney (Aydo Edebiri), la onnipresente sorella Natalie (Abby Elliot) e lo storico amico del fratello, “Richie” (Ebon Moss-Bachrach).

Cosa si nasconde dietro la preparazione di un piatto gourmet?

Le prime due indimenticabili stagioni

Nelle prime due stagioni, dunque, The Bear getta le basi narrative di un progetto che sfrutta la creatività e la difficoltà – di emergere nel competitivo mondo della ristorazione e della cucina ad alto livello – per disegnare un mondo variegato, sfaccettato e assai metaforico della vita, dove Chef Carmy e i suoi “alleati” dovranno trasformare la problematica ma popolare paninoteca The Beef di Chicago in un ristorante stellato in grado di competere ai massimi livelli del settore. Dovranno quindi reinventarsi. Ma non solo. Perché la vera trasformazione nonché chiave di lettura della serie risiede poi in realtà nella dimensione più profonda, emotiva e personale, del protagonista e dei suoi amici/colleghi di brigata. Una dimensione efficacemente sottolineata da una nostalgica e bellissima colonna sonora che include Pearl Jam, Mina, Sufian Stevens, gli Smashing Pumpkins, e il tocco magico della storica band dei R.E.M. In questo crogiuolo emotivo e nostalgico, The Bear s’inabissa e sguazza poi nell’elaborazione di quei lutti reali e metaforici che sedimentano nell’essere umano per poi riemergere sotto forma di personalità complesse alla costante e affannosa ricerca di qualcosa. E così la ricerca estenuante del piatto o del menù perfetto si affianca e aggiunge alla ricerca ossessiva della propria dimensione (in cucina così come fuori), di un proprio posto nel mondo, di un modo di vivere che ci faccia sentire a casa, al sicuro, e non costantemente minacciati da un mondo esterno che esercita ostilità e fa, nonostante tutto e nonostante talento, passione e dedizione, sempre tanta paura. Tra lutti, litigi (tanti), rivoluzioni (interiori), e rinascite, The Bear parla della vita sfruttando l’ambiente eclettico e complesso di una cucina, dove i fallimenti e i successi prendono vita attraverso i piatti e i loro alternanti colori e sapori. Realismo verace che sembra figlio del cinema scandinavo più caustico, in stile Festen, e che vede il suo picco nella puntata flashback natalizia dal titolo Pesci (Fishes), elemento quasi avulso dal resto della serie ma che segna e identifica in maniera precisa tutti i tratti disfunzionali della famiglia Berzatto da cui Carmy proviene, spiegandone bene pregressi, difficoltà, e motivi che segnano la sua disperata fame di successo.

The Bear è uno sguardo indiscreto nelle cucine dei ristoranti.

Stagione 3 – Uno sguardo angosciante e finemente autoriale

La terza stagione riparte lì dove aveva chiuso la seconda, nel picco d’ansia e aspettative crescenti innescate dall’apertura del nuovo locale d’alta cucina (il The Bear del titolo, appunto) lanciato verso l’ottenimento dell’ambita stella michelin. Tra problemi finanziari (e le pressioni dello zio Jimmy (Oliver Platt) che ha investito profumatamente per rilanciare l’attività), gestioni non troppo oculate, problemi sentimentali e dolci attese, la terza stagione saluta l’apertura del nuovo locale e tutto ciò che essa comporterà. Il picco d’ansia e frustrazione generato da questa terza serie è in assoluto da record, approccio che in qualche modo appesantisce la narrazione, spaventa e tende ad allontanare istintivamente lo spettatore, ma che si muove nel senso di aderire completamente alle percezioni emotive, spesso drammatiche, dei personaggi in gioco (Carmy in primis, ma poi anche Sidney, giunta a un bivio e in balia di una decisione importante da prendere). Alla regia di questa terza serie troviamo ad alternarsi Christopher Storer, Joanna Calo, Ayo Edebiri che qui debutta dietro la macchina da presa con il toccante episodio “Tovaglioli”, e l’italiano Duccio Fabbri (che invece dirige l’episodio tre dal titolo Porte), tutti allineati lungo uno sguardo molto autoriale che cerca di cogliere la frenesia interiore più ingestibile e di portarla alla luce attraverso frammenti e proiezioni del passato o del proprio inconscio, in un racconto a tratti confusionario ma sempre emotivamente molto coinvolgente. Momenti in cui i fantasmi delle vite passate si fondono con il dolore della perdita e della difficoltà di instaurare relazioni, componenti che entrano in cucina per restarci e fondersi in quell’atmosfera altamente disfunzionale (proprio come la famiglia Berzatto) ma di smisurata passione che avvolge e coinvolge tutto.  Forse non la più dinamica delle stagioni, per il suo essere (come da molti è stata definita) una stagione transizionale, ma d’altro canto estremamente incisiva dal punto di vista emozionale, per la sua innata capacità di trasportare lo spettatore nel vivo della storia, tra voglia di successo e una costante e diffusa ansia esistenziale.


Arriva su Disney+ la terza stagione della serie cult sul mondo dell’alta cucina ideata da Christopher Storer e premiata agli Emmy, dal titolo The Bear. Un’idea di serialità davvero vincente condita con tutti gli ingredienti migliori, a partire da un cast in stato di grazia, dove non mancano alcuni brillanti camei di grandi star prestate a ruoli minori di grande impatto (su tutti Jamie Lee Curtis nei panni di Donna, la madre di Carmy, e Olivia Colman in quelli stellati della Chef Andrea Terry). Serie imperdibile per gli amanti del mondo dell’alta cucina, e non solo.


 

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