Ci si rende davvero conto di quanto sia tangibile il definitivo collasso del mercato retail girando per nord Europa e dintorni. Oltre i confini degli stati facenti parte dell’area mediterranea del continente, negozi e catene specializzate nella vendita di videogame sono difatti spariti da strade e centri commerciali. Spingendosi nella periferia di città come Glasgow, Dublino, Bruxelles, Oslo e Stoccolma è magari possibile imbattersi in piccoli mercatini dell’usato in cui si può ancora rimediare qualche titolo fisico a basso costo ma, a conti fatti, le profezie sull’avvento di un nuovo status quo digitale paiono essersi ormai concretizzate. Di norma, il flusso dei trend tende a coinvolgere paesi come Italia, Spagna e Grecia a giro relativamente stretto di posta: è pertanto ipotizzabile che GameStop e soci, intesi come rivenditori di software fisico, abbiano i mesi contati. Abbiamo discusso più volte dei pro e dei contro legati a questa epocale transizione e ci siamo spesso dichiarati scettici, specialmente in relazione alle zone d’ombra di un format commerciale che ridefinisce a priori anche il concetto stesso di possesso dei beni acquistati, ma, al punto in cui siamo, il dibattito può considerarsi sostanzialmente chiuso. La scelta è fatta e, in barba a chi la intende come un odioso obbligo imposto dai signori del mercato, appare corroborata dai numeri, non ultimi quelli di Black Myth: Wukong, che ha piazzato 10 milioni di download in meno di una settimana senza aver alcun bisogno di approdare sugli scaffali dei negozi. In tal senso, non ci resta che comprendere quale destino attenda i prodotti in formato fisico: assisteremo, cioè, a una totale estinzione di massa o permangono condizioni tali da favorire una “vinilizzazione” del retail?
Se lo chiedete a me, ritengo che, sul breve, la prima ipotesi avrà la meglio: proprio come accaduto con gli LP in vinile alla fine degli anni ’80, i videogame in formato fisico diventeranno robaccia da retrobottega, finendo col perdere del tutto valore ed appeal. Col tempo e, possibilmente a seguito di eventualità in grado di evidenziare platealmente tutte le lacune della proposta “fluida”, potremmo tuttavia assistere a un revival del mercato fisico, destinato però a rifiorire entro i confini di un’elitaria nicchia commerciale: quella popolata da puristi col portafoglio gonfio, sempre pronti a strapagare ogni singolo pezzo in virtù di un presunto, e spesso aleatorio, valore vintage… Gli stessi che alimentano oggi giorno il florido business dell’analogico in cui anticaglie di ogni forma e datazione vengono rivendute a prezzi esorbitanti sull’onda del consueto falso storico secondo cui “si stava meglio quando si stava peggio”. So bene che questa prospettiva risulti molto meno consolatoria di quanto avevate forse immaginato, ma gli spazi per un lieto fine permangono. Avendo la voglia e le possibilità, il consiglio è quello di accumulare software fisico adesso, beneficiando dei prezzi irrisori che interesseranno presto il settore dell’usato, salvo poi rivendere il tutto a cifre da record non appena la distorta logica della moda avrà consumato i propri effetti sul pubblico.
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