Quella della maturità e dell’autorevolezza delle opere multimediali interattive, due elementi chiave del Manifesto Kara, è una battaglia che il comitato editoriale di V porta avanti ormai da anni. Proprio nello scorso numero si discuteva di come il Comitato Olimpico stia lavorando senza sosta per integrare gli sport digitali all’interno delle attività organizzate dallo stesso e, a tal proposito, abbia siglato un accordo di 12 anni con l’Arabia Saudita, futuro host delle competizioni. Nemmeno un anno fa, il 24 novembre del 2024, l’Unione Europea ha pubblicato un documento dal titolo inequivocabile “Enhancing the creative and cultural dimension of the European video games sector” (Potenziare la dimensione creativa e culturale del settore videoludico europeo). Il testo del documento sottolinea non solo l’ormai consolidato (e dirompente) potere economico del mercato, che da anni ha superato tutte le altre forme di intrattenimento e che, malgrado le crisi post COVID, non accenna ad arrestare la sua crescita; il testo della commissione, sopra ogni cosa, evidenzia il valore intellettuale delle opere multimediali interattive sottolineandone la forte spinta innovativa, trasversalmente a tutte le forme della cultura. La conclusione è chiara: i diversi paesi dell’Unione devono investire in questa specifica industria, supportando soprattutto gli studi di sviluppo. Può esistere un riconoscimento più chiaro di questo? Il videogioco fa bene all’economia e fa bene alla cultura, e a dirlo non è uno studio, né un’associazione di categoria: a dirlo è la Comunità Europea. La guerra è finita. Abbiamo vinto.
E invece, no. Non abbiamo vinto proprio per niente, perché l’osso più duro di tutti non è il businessman guidato dall’odore del denaro, né tanto meno l’intellettuale, con cui in fin dei conti si può ragionare. L’osso duro è la persona qualunque, la massa non definita. L’uomo di mezza età non acculturato e arrabbiato con il mondo, tanto ben rappresentato da Crozza con il suo NAPALM51.
Dopo aver finito di lavorare al pezzo “Il Vecchio Continente”, dove è evidenziata proprio la questione sulla presa di coscienza della UE, ho avuto la malaugurata idea di farmi un giro sui social, mia personale rassegna stampa. La notizia della vittoria di Luca Ceribelli ai Campionati del mondo di Pokémon era su tutte le testate, generaliste e non. I numerosi articoli sull’argomento erano sorprendentemente molto dettagliati, non solo riportavano l’informazione come fatto di cronaca, ma facevano un’analisi sul gioco in sé e sulle grandi competenze (di strategia, logica e calcolo veloce) richieste per risultare campioni in una competizione su scala mondiale, non molto distanti da quelle di un campione di scacchi.
Articoli davvero interessanti. Peccato per i commenti. Le opinioni di vari NAPALM51 variavano dalle offese generiche all’autore dell’articolo, che osava paragonare uno stupido “gioco” a una cosa seria come la matematica, agli insulti al giovane campione laureando in statistica, che “farebbe bene a occuparsi dei suoi studi”, per arrivare all’evergreen, “i videogiochi non ti danno a mangiare”. E se ancora sulle prime due posso anche provare a discutere, è l’ultima che trovo davvero agghiacciante, oltre che totalmente distaccata dalla realtà.
La guerra non è finita, proprio per niente. Magari a essere finita potrà essere la Guerra, quella con la G maiuscola, ma ora ci resta quella più difficile e insidiosa, la guerriglia di strada. Noi però, siamo pronti e armati di una consapevolezza incrollabile.
Li troveremo e li prenderemo tutti, questi NAPALM51. Li staneremo, mentre sono ancora nascosti dietro i loro monitor, e mostreremo loro quanto c’è di sbagliato in quello che dicono. Gotta catch ’em all!
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