The Crow – Il Corvo Recensione: un inatteso ritorno dalla morte

Quando si è iniziato a parlare concretamente di The Crow – Il Corvo, l’unico quesito che mi è passato per la mente è stato “perché?”. La pellicola riprende un fumetto topico che era già stato adattato da un omonimo cult movie degli anni Novanta. Un film che non solo non sembra risentire del peso degli anni, ma che è anche reso eterno dal fatale incidente sul set che ha mietuto la vita del suo attore protagonista, Brandon Lee. Quel lungometraggio, per quanto eterno, è stato affiancato da sequel dimenticabili, una serie tv di poco conto, un videogame e persino un gioco di carte collezionabili. Perché dunque riprendere in mano una saga che è stata spolpata fino all’osso, puntando per di più su di un protagonista che sembra scimmiottare il Joker di Jared Leto?

Non mi è dato sapere cosa sia passato per la mente del regista Rupert Sanders quando si è fatto carico dell’impresa, ma ciò che è certo è che, una volta visto il film, le mie perplessità si sono placate. Questa nuova interpretazione de Il Corvo non era forse necessaria, né piacerà a tutti, ma è a suo modo significativamente diversa dalle opere passate e offre uno spaccato insolito di una storia nota e molto amata.

Questa rivisitazione de Il Corvo mette il rapporto dei due protagonisti davanti a ogni altra cosa.

The Crow, un nuovo Eric Draven sorge dalla tomba

Nella sua essenza, la storia di The Crow riprende i tratti elementari della vicenda originale: una coppia di amanti, Eric (Bill Skarsgård) e Shelly (FKA Twigs) viene trucidata da una gang di malavitosi; Eric viene riportato in vita come una creatura immortale il cui unico scopo è quello di fare piazza pulita di coloro che sono coinvolti nell’omicidio suo e della sua amata. Nonostante questa radice comune, tuttavia, i toni adottati dal film originale e da questa nuova iterazione intraprendono due percorsi profondamente divergenti.

Se la pellicola del 1994 era radicata nella vendetta e in una profonda rabbia viscerale, quella del 2024 preferisce invece concentrarsi sulla fragilità, sul dolore e sull’amore. Eric, una volta resuscitato e diventato il titolare Corvo, non è la macchina distruttiva e sadica che ha popolato il brand fino a oggi, è un essere immortale che patisce il dolore e le cicatrici di ogni ferita subita, che riesce a tirare avanti solamente grazie alla memoria del legame sviluppato con Shelly e che si dimostra in tutta la sua vulnerabilità non appena le sue convinzioni romantiche iniziano a vacillare. 

Alla vista di questa reinterpretazione, non stupisce che una parte significativa del minutaggio sia dedicata a esplorare la nascita e il consolidamento del rapporto amoroso che lega i due protagonisti. Al posto di dare già per assodata la loro relazione, il film esplora infatti il loro primo incontro all’interno di un centro di recupero, la loro rocambolesca fuga assieme e il loro breve periodo di infatuazione profonda, il quale trascorre tra svaghi e fantasie, nella totale noncuranza degli orrori o delle minacce che abitano il mondo reale. Questo nuovo The Crow non è tanto una vicenda incentrata sulla rivalsa o su di una parvenza di giustizia, quanto sulla redenzione e sul sacrificio personale.

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Eric veste i panni del suo celebre alterego, il Corvo. Nessuno chiama la polizia, nonostante lo sguardo da pazzo e la wakizashi.

Un mondo cupo che spinge al delitto

Sotto molti aspetti, il legame sentimentale che unisce Eric e Shelly richiama alla memoria una versione edulcorata di quelle stesse fragilità e problematiche che caratterizzano la relazione tra Harry e Sara, i protagonisti di quel capolavoro cinematografico che è Requiem for a Dream. Si tratta di personaggi fragili che si isolano dall’orrida realtà indugiando nella bellezza della propria relazione, pagandone in qualche modo le conseguenze. The Crow inquadra questo tipo di rapporto in chiave tenera ed edulcorata, eppure tutto sommato credibile, almeno nella prospettiva dei personaggi che abitano la narrazione. A essere meno riuscita è piuttosto la caratterizzazione degli antagonisti, i quali si limitano perlopiù a essere scagnozzi privi di tratti distintivi che operano sotto gli ordini di un potente gangster (Danny Huston) che è in qualche modo legato a vaghe potenze demoniache.

Si tratta di avversari anonimi, che non vengono adeguatamente esplorati, in pratica sono più che altro delle generiche pessime influenze che corrompono l’animo di persone innocenti, integrandole all’interno di un sistema fatto di lusso e marcescenza. Si può intuire che il loro ruolo voglia rappresentare in senso iperbolico i danni che società e relazioni familiari possono infierire su coloro che sono più vulnerabili, tuttavia il film non esplora degnamente questa direzione, lasciando un ampio margine di delusione. Una delusione che è in gran parte dovuta alla fiacchezza del film, se comparato al materiale di origine. Il corvo, nel suo senso fumettistico, è nato come forma di autoterapia da parte dell’autore, James O’Barr, a seguito della morte della sua fidanzata, uccisa tragicamente da un automobilista ubriaco. Per dieci anni, O’Barr ha riversato nelle pagine illustrate tutto il suo senso di colpa, la sua rabbia profonda, il suo dolore, ma anche i suoi eccessi e i suoi aspetti più biechi. Gli antagonisti di Eric Draven non erano banali teppisti, ma incarnazioni dei lati più distruttivi del fumettista, i quali assumevano dunque una forma palpabile e drammatica che, sventuratamente, è latitante in questa nuova pellicola.

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Eric (Bill Skarsgård) e Shelly (FKA twigs) si lanciano in scampagnate romantiche al posto di cercare riparo dai sicari della malavita.

Il mood e l’aspetto de The Crow

A questo punto, probabilmente vi siate già fatti un’idea chiara sul film, avete in mente se vi possa piacere o meno la direzione artistica assunta da Sanders. A prescindere dai gusti personali, però, va comunque riconosciuto che il regista abbia intavolato un’opera più che dignitosa. La fotografia di Steve Annis (noto perlopiù per Il colore venuto dallo spazio) si dimostra particolarmente intrigante, gioca con luci e ombre, simmetrie e piani ravvicinati che impongono un’intimità forzata con i personaggi protagonisti. Bastano le immagini, insomma, a trasmettere la sensazione che la pellicola non abbia alcuna ambizione di oggettività, ma che voglia invece trasmettere il punto di vista e l’emotività del protagonista Eric.

Eric che, peraltro, è giostrato con una certa competenza da Skarsgård, il quale ha dovuto sfruttare tutta la sua espressività per fare i conti con un copione che non è particolarmente articolato o pregnante. Il ruolo del ragazzo fragile dal cuore d’oro gli riesce estremamente bene, mentre l’attore risulta meno convincente come Corvo, una parte che, per com’è strutturata, sfocia goffamente nella sfera dell’”edgelord” drammatico quanto melanconico. Tutti i tratti della crescita di Eric vengono comunque adeguatamente assecondati da una colonna sonora di tutto rispetto che spazia da Enya a Wagner, soffermandosi a lungo sul filone dei derivati del pop. Anche in questo caso, rispetto al film originale, il sound è decisamente meno rock, meno rabbioso, indugia su ritmi più lenti, in coerenza con la dimensione di questa nuova generazione di protagonisti. Un atteggiamento meno vicino ai The Cure e più a Rose Villain, per intenderci.

Dal canto loro, le scene d’azione sono sorprendentemente poche, ma risultano tendenzialmente coreografate con cura. I primi combattimenti sono poco più che zuffe sconclusionate, dettaglio che va a enfatizzare come Eric sia più solito a subire violenza che a perpetuarla. Poi, progressivamente, il ritmo si intensifica fino a quando, indossata finalmente la cappa dell’antieroe, le scene di lotta diventano improvvisamente esagerate e viscerali. In particolare, il gran finale al teatro dell’opera si dimostra estremamente appagante. In una prospettiva narrativa non ha senso che gli agenti del capo gang cerchino di trucidare un essere che sanno essere immortale o che gli si avvicinino nonostante siano tutti dotati di pistole, ma nel contesto vale la pena mettere a riposo lo spirito critico e abbandonarsi all’appagamento momentaneo.


The Crow – Il Corvo non riesce a tenere il confronto con l’omonimo film del 1994, ma non ci prova neppure. Il regista Rupert Sanders esplora infatti una dimensione completamente inedita della vicenda, dando più spazio al frangente sentimentale che all’azione sfrenata e agli istinti di vendetta. Questa nuova iterazione della vicenda si concentra sulle fragilità dei personaggi e sulla forza che questi possono ricavare dai legami umani, un frangente che viene assecondato da una fotografia ricercata e da una selezione musicale in linea con le atmosfere esplorate. The Crow non manca certamente di essere gravato da difetti, ma si fa anche sorprendentemente carico di meriti superiori a quello che sarebbe stato lecito aspettarsi, fregiandosi di un’identità che gli permette di non essere il solito reboot senz’anima, ma un prodotto a sé stante che persegue un’atmosfera ben tratteggiata.