Pre-order: fate come vi pare!

Ciclicamente sulla pratica del pre-order , spesso definita anti consumer, si ripresenta la consueta polemica. Per la cronaca, l’ultima è quella relativa a Star Wars Outlaws di Ubisoft e alla presenza di una missione esclusiva con Jabba the Hut per i tier più costosi. La questione che salta di più all’occhio è l’assoluta mancanza di informazioni su come sia nata, le ragioni dietro di essa e del perché si continui ad usarla. Informazioni che evidentemente si danno come note al pubblico ma ascoltando molti dei peana contro di essa, in realtà, mostrano una scarsa conoscenza dell’argomento. E’ ora di chiarire cosa c’è dietro al pre-order.

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Il menù della discordia.

1983: Odissea nel videogioco

Era il 1983 e il mondo dei videogiochi collassò su se stesso, l’Atari Shock.

Una recessione senza precedenti che investì il mercato causando enormi conseguenze dal punto di vista economico, industriale e occupazionale che sfociò nel drammatico fallimento di Atari. Le ragioni dietro il crollo furono molteplici: la saturazione del mercato da un eccesso di titoli, l’entrata in scena delle “terze parti” e la concorrenza spietata tra produttori di computer a basso costo. Un mix micidiale che avvolse le aziende in una spirale di autodistruzione che lasciava allibiti anche gli esperti esterni al settore.

L’anno decisivo fu il 1982 quando il mercato fu travolto da una valanga di titoli, per lo più di scarsa qualità, che venne erroneamente interpretata come indice di vivacità creativa ed economica. A quest’incauto entusiasmo parteciparono anche i retailer che acquistarono enormi quantitativi di merce da rivendere, fiduciosi di rientrare dall’investimento. Insomma, tutti erano felici e contenti.

Tranne i videogiocatori.

A causa della scarsa qualità dei videogiochi, i negozianti si trovarono a dover saldare fatture per merci che restavano invendute nei loro magazzini e tentarono la via del rimborso. I publisher, già indebitati a causa delle loro strategie di mercato, non potevano procedere al ritiro e al refund dei prodotti e molti di essi chiusero i battenti. Un evento che causò la rottura del rapporto di fiducia tra commercianti e il settore videoludico, tanto da indurre il ritiro dei prodotti relativi in moltissimi punti vendita. La sfiducia si impossessò anche dei giocatori e in molti abbandonarono il medium. Una situazione talmente grave che in molti davano il videogioco per spacciato, soprattutto dopo il fallimento di Atari nel 1983.

Atari
Il crollo di un gigante come Atari sembrava impossibile.

Il giorno in cui Atari decise di seppellire il proprio fallimento.

Ci sono un luogo e una data che spiegano le ragioni della nascita del pre-order: Alamogordo, settembre 1983.

Solo nel 2014 si scoprì che Atari, non sapendo come disfarsene, aveva effettivamente sotterrato oltre 700 mila cartucce nei pressi della città di Alamogordo. Al tempo, l’unico modo per distribuire i videogiochi era tramite la vendita di supporti fisici a cui si dovevano aggiungere il packaging e le guide per il giocatore, insomma un costo non trascurabile per i publisher. Inoltre, era quasi impossibile per i commercianti compiere una congrua previsione di vendita e gestione del magazzino. In ragione di questo, negli anni 2000 nascono i pre-order, ovvero la possibilità di prenotare un gioco in anticipo rispetto alla release ufficiale: questa pratica consentiva di garantire numeri certi sia per i rivenditori sia per i publisher che potevano organizzare la vendita e la produzione dei propri prodotti con raziocinio.

Con il passare del tempo, il videogioco diventò sempre più popolare e la competizione tra retailer aumentò. In particolare, le grandi catene come GameStop o siti come Amazon incominciarono a stipulare accordi commerciali con i publisher introducendo “bonus preordine” esclusivi in modo da indurre il consumatore ad acquistare presso i propri punti vendita. Ovviamente, le polemiche non si sono fatte attendere e vox populi vuole che questi siano un cut-content del gioco base per accontentare i venditori. In realtà, le aziende pagano una discreta cifra per accaparrarsi questi vantaggi e vengono previsti fin dall’inizio dalle software house. In buona sostanza, gli sviluppatori non offrono bonus che possono essere dannosi al gioco base, nonostante si affermi il contrario.

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Nel 2014, si scoprì che Atari aveva sotterrato migliaia di giochi.

Pre-order e hype

Come detto in precedenza, il pre-order consente di razionalizzare i processi di distribuzione dei propri prodotti ma risulta essere un’ottima occasione per ottenere facilmente dati sui quali, le aziende, ragionano. Sebbene in molti accusino questa pratica di creare eccessivo hype attorno ad uno specifico videogioco, in realtà ha ben poco senso senza una adeguata campagna marketing . In particolare, le aziende vogliono massimizzare i guadagni proprio nelle primissime settimane dopo la release e fanno coincidere l’apertura del preorder in concomitanza del reveal del day one.

Proprio in quest’ottica, ad esempio, nascono le varie edizioni come le collector che vengono proposte fondamentalmente per convincere chi vorrebbe attendere nell’acquisto. Funzionano talmente tanto che si è avuta una evoluzione nell’offerta al pubblico di statue, libri e ammennicoli vari che fanno moltissima presa tra i videogiocatori.

A questo si deve aggiungere l’esplosione dei social media, la nascita dell’influencer marketing e la conseguente ricalibrazione delle campagne pubblicitarie per sfruttare il fenomeno: anteprime, eventi stampa, invii anticipati di collector sono diventate una consuetudine. Senza contare le live dove si analizzano frame by frame il trailer del momento, discussioni giornaliere sull’ennesima intervista esclusiva allo sviluppatore o l’organizzazione di eventi in streaming specifici su un determinato videogioco. Appare molto più ragionevole pensare che a creare hype non sia il pre-order in sé ma tutto quello che lo anticipa e accompagna. In realtà, qualche compagnia come Square Enix ha tentato di rendere questa pratica generatrice di aspettative per il consumatore, fallendo miseramente. Insomma, la messa non viene cantata senza pubblicità, con buona pace dei detrattori.

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Alcune collector offrono oggetti incredibili.

Pre-order contro il consumatore

Un’altra critica rivolta al pre-order è relativa all‘impossibilità da parte della stampa e degli influencer videoludici di difendere il consumatore, attraverso le recensioni. Ora bisognerebbe capire da cosa un videogiocatore dovrebbe essere difeso perché la questione diventa piuttosto confusa: da giochi con evidenti problemi tecnici o da opere che possono non piacerci? A meno di tacciare chiunque effettui un preorder come una sorta di incosciente depensante, di base, lo si fa sulla fiducia che si ripone negli autori o se si è fan di una determinata saga e quindi si è abbastanza disinteressati a conoscere l’opinione di recensori e influencer. A maggior ragione, questo sentimento di indifferenza è aumentato nel tempo a causa di “epic fail” come le recensioni di Cyberpunk 2077 dove la difesa del consumatore non ha funzionato a dovere.

E’ pur vero che per spingere il consumatore verso il pre-order, i publisher sono diventati più inclini a rivelare quanti più dettagli del gioco con la pubblicazione di gameplay e story trailer, anteprime hands-on e demo. A diffonderli e commentarli più o meno entusiasticamente è compito della stampa e degli influencer che, tra una chiacchiera e l’altra, riescono a convincere il proprio pubblico all’acquisto. Magari in pre-order e con lo sconto.

Al netto di quanto finora detto, l’unica cosa sensata che si può dire al consumatore è di comportarsi come preferisce usando il buonsenso ma essendo cosciente che potrebbe non essere totalmente soddisfatto, cosa che può capitare anche dopo la lettura delle recensioni. Invece, la questione più importante da capire è che le tutte aziende agiscono secondo la propria convenienza in barba alle narrazioni che si fanno su alcune di esse. Fin quando il loro scopo ultimo sarà il lucro, voi comportatevi di conseguenza.

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Le aziende di videogiochi sono spinte dal lucro.

 

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