Ricordo ancora i tempi in cui la provenienza di un oggetto poteva determinare il suo valore agli occhi del consumatore. Ogni volta che vedevo quella piccola etichetta, mi chiedevo se il prodotto che la esibiva sarebbe stato all’altezza del compito cui era designato, avrebbe resistito all’uso quotidiano o se si sarebbe rotto dopo poche settimane. Era un pregiudizio diffuso, alimentato da esperienze personali e racconti di amici e parenti. Ma, come tutte le cose, anche questa percezione ha iniziato a cambiare con il tempo. Oggi, se guardo indietro, mi rendo conto di quanto sia stato ingiusto giudicare un intero paese sulla base di pochi esempi. Eppure, quelle prime impressioni rimangono vivide nella mia memoria, reminiscenze di un’epoca passata che, forse, non è ancora del tutto scomparsa.
Made in China, una storia d’altri tempi
Dopo qualche anno di vita, come dicevo, ho dovuto prendere atto che alcune delle convinzioni con cui sono cresciuto a un certo punto possono smettere di essere valide. A volte di colpo, altre volte dandoti sufficiente margine per abituarti all’idea, in modo meno traumatico, ma altrettanto inesorabile. Il mondo cambia, che lo si voglia o no. Io sono cresciuto senza internet, telefonare era possibile solo su apparecchi fissi, i videogiochi si vendevano nei grandi magazzini e nei negozi, e spesso si trovavano delle console che somigliavano tanto a quelle dei miei desideri, ma con delle piccole differenze e un costo inferiore. Il Made in China, simile all’originale, ma inevitabilmente peggiore dell’originale. Ero un bambino che credeva che il mondo finisse con il proprio quartiere, non potevo sapere i motivi di quello che vedevo, mi limitavo a osservare. Negli anni ’80 e ’90, la Cina applicava enormi tasse a qualsiasi bene importato dall’estero, rendendone di fatto impossibile la fruizione. Aggiungendo poi le quasi inesistenti leggi sulla tutela della proprietà intellettuale, si andava a delineare un quadro a dir poco particolare, che incentivava la proliferazione di aziende che costruivano cloni a basso costo di prodotti stranieri, azzerando di fatto l’importazione e favorendone l’esportazione selvaggia. Fino al negozio sotto casa mia. Nel mio quartiere.
Il mondo è cambiato tanto, da allora: ora la Cina è considerata la seconda potenza economica mondiale, e i videogiochi stanno cominciando a rispecchiare questo stato delle cose.
Analizzando il contesto, i colossi del mercato videoludico cinese attuale sono Tencent, NetEase e MiHoYo (ne potrete leggere in modo approfondito nell’altra parte di questo speciale). Tuttavia, un piccolo studio fondato da ex sviluppatori di Tencent, Feng Ji e Yang Qi, ha iniziato ad attirare l’attenzione nel mercato: Game Science Interactive Technology Co., Ltd.
Fondata nel 2014, la sua prima creazione è stata Bai Jiang Xing, uno strategico fantasy sviluppato in appena una settimana, che ha beneficiato del supporto di NetEase. Dopo il successo di Art of War: Red Tides, un RTS distribuito sia su Steam che su dispositivi mobili, Feng Ji decise di alzare il tiro. L’idea di Black Myth: Wukong ronzava in testa al direttore artistico Yang Qi già dal 2016, ma al tempo era stata accantonata perché considerata prematura, per essere poi ufficialmente avviata solo nel 2017.
Mentre il mondo stava iniziando a riprendersi dal COVID-19, un trailer ha mostrato una grafica mozzafiato e un gameplay dinamico, riaccendendo notevole interesse e grandissime aspettative, ma l’hype è sempre un’arma a doppio taglio, perché può accelerare i progetti come pure seppellirli, se i desideri vengono disattesi. Dopo il trailer, si è passati all’Unreal Engine 5 nel 2021, che ha permesso di raggiungere risultati talmente stupefacenti da convincere Tencent a investire in Game Science, operazione che ha chiuso idealmente il cerchio.
Il Vertical slice, nei videogiochi, è una sezione giocabile sviluppata con la qualità della versione finale, includendo tutte le principali meccaniche: gameplay, grafica e audio del gioco completo. Viene usato per presentare il gioco a investitori ed editori e stabilire standard di qualità per lo sviluppo. Tuttavia, spesso dietro c’è solo una singola persona o un piccolo team, e il prodotto completo può differire notevolmente dalla presentazione iniziale, come nei casi di Killzone 2 e Bright Memory. Molti si sono detti scettici su Black Myth: Wukong, sorpresi dall’impatto della Cina nel settore dei videogiochi tripla A, ma la produzione nel complesso dimostra come l’industria dei videogiochi cinese stia rapidamente maturando, rompendo vecchi stereotipi e dando prova di quanto il Made in China, impegnato a scalzare via gli stereotipi del passato, possa competere ai massimi livelli globali, anche se finora abbiamo potuto toccare con mano soltanto uno scampolo dell’avventura, la “fetta verticale” di cui parlavo poc’anzi. La rappresentazione accurata delle leggende del Paese di Mezzo potrebbe diffondere queste storie a un pubblico più vasto e così, con il rilascio imminente, i giocatori sono ansiosi di vedere se Wukong manterrà le promesse, stabilendo nuovi standard di qualità e innovazione. L’uscita è prevista per il 20 agosto su PC e PlayStation 5, mentre per Xbox non è ancora stata fissata una data definitiva.
Wukong: la goccia cinese
Il gioco è basato sul classico romanzo del XVI secolo Il Viaggio in Occidente, e i giocatori assumono il ruolo del leggendario Re Scimmia, Sun Wukong, nel primo capitolo di una già pianificata trilogia ribattezzata Black Myth, che vuole abbracciare la ricca tradizione di miti e leggende del secondo stato più popoloso al mondo. Il gioco trae ispirazione da una delle quattro opere essenziali della letteratura cinese, e segue il pellegrinaggio del monaco Tang Sanzang (conosciuto anche come Xuanzang o Tripitaka) per recuperare scritture buddiste dall’India, accompagnato da tre discepoli, tra cui il potente e astuto Sun Wukong. I giocatori esploreranno un vasto mondo ispirato a questo epico racconto, affrontando numerose creature mitologiche, divinità e demoni. La trama promette di essere una reinterpretazione originale in chiave dark fantasy, mantenendo però l’essenza del viaggio spirituale e delle battaglie epiche che caratterizzano il componimento narrativo. E non mancheranno le sorprese, perché già da quanto mostrato sembra che la narrazione possa prendere risvolti inattesi, e suggerire che il personaggio di cui vestiamo i panni non sia esattamente lo scimmiotto di pietra delle leggende…
A Los Angeles, durante il Summer Game Fest di inizio giugno, Black Myth: Wukong è stato finalmente presentato in versione giocabile al pubblico occidentale, per la prima volta in assoluto. La demo è incentrata sulla Montagna del Vento Nero, una delle prime aree di gioco, nonché adattamento diretto di uno dei capitoli iniziali del libro: nella versione di Game Science, è piena di sgherri simili a lupi, golem-bambini dalla testa enorme e una serie di creature mastodontiche, dalle rane giganti ai colossi di pietra. Sembra ambientata dopo l’incontro tra Sun Wukong e il monaco Tang Sanzang, e proprio l’ambientazione della demo è una delle prime tappe che i due attraversano una volta iniziato il loro viaggio. È altresì probabile che verranno narrate anche le origini di Sun Wukong, dato che in più di un’occasione si vede il protagonista combattere contro legioni di soldati celesti collegati direttamente agli eventi che portano all’imprigionamento del protagonista nel romanzo.
A livello videoludico, Black Myth: Wukong si presenta in forma di action RPG con un forte focus sul combattimento dinamico e sulle abilità speciali. Il gameplay offre diversi spunti di riflessione, dunque vale la pena soffermarci su alcune caratteristiche fondamentali che permetteranno di farvi un’idea più precisa di cosa ci aspetta: siamo dinanzi a un’avventura inserita in un mondo vasto e dettagliato, pieno di segreti da scoprire e aree da perlustrare. Il gioco incoraggia l’esplorazione con un design dei livelli che premia i giocatori curiosi, ma non si tratta di un mondo aperto, è bene sottolinearlo. Dai templi antichi alle foreste incantate, ogni ambiente è ricco di dettagli e storie da svelare: tuttavia, è stato recentemente dichiarato dallo stesso team di sviluppo che, nonostante siano passati dalle 30 alle attuali 140 persone, sarebbe stato impossibile creare un mondo aperto interconnesso. Si è quindi deciso di mantenere una struttura lineare. La Montagna del Vento Nero è uno spazio meraviglioso, densamente ricoperto di vegetazione e alberi, e regala paesaggi mozzafiato, ma si può guardare molto più lontano di quanto si possa effettivamente andare. La struttura è semplice: a volte i percorsi sono indicati dalla presenza di torce, e si può descrivere come una rete di sentieri escursionistici, stretti e deliberati, fiancheggiati su tutti i lati da muri invisibili. Anche i luoghi che sembravano raggiungibili, come quello dietro una bassa barriera di rocce e cespugli, si sono rivelati inaccessibili. Non mi sono sentito spinto su un percorso particolare, ma ogni deviazione era essenzialmente un imbuto di nemici che portava a un premio: un forziere, materiali per potenziamenti o, a volte, un mini boss opzionale.
Game Science sta ovviamente lavorando su una scala molto più piccola rispetto a progetti simili (so che state pensando a Elden Ring e al suo DLC) ed è inutile anche solo pensare di paragonare le due cose. Il protagonista può saltare, ma non ho trovato un singolo utilizzo per questa abilità al di fuori del combattimento, quindi non aspettatevi un mondo pieno di segreti in cui perdersi durante l’esplorazione. La Foresta del Vento Nero è piuttosto piatta, e le aree che ho esplorato erano semplici. È probabile quindi che gli spazi tra le numerose battaglie contro i boss non saranno ricordati come un punto forte della produzione, ma più come un tallone d’Achille. Va detto che lo studio cinese non sta facendo nulla per nascondere che il fulcro dell’esperienza sia sul campo di battaglia, di questo va dato atto. Non a caso, più di qualcuno ha parlato, esagerando, di un boss rush mascherato, avendo affrontato in due ore ben sette boss differenti. Il bilanciamento tra esplorazione e combattimenti potrà essere valutato solo all’uscita, con la versione definitiva, ma qualche dato è stato comunque fornito: la durata complessiva, ad esempio, è stimata in una quindicina d’ore, ed il numero di avversari si aggira su 100 nemici unici tra boss e non.
Monkey business
Le battaglie in Black Myth: Wukong sono scenografiche e impegnative. I boss, ispirati a varie figure della mitologia cinese, richiedono strategie sempre diverse per essere sconfitti, offrendo sfide memorabili ai giocatori. Il combattimento è rapido e spettacolare, con una forte enfasi su combo e schivate, la risposta ai comandi è parecchio veloce e tutto si svolge in maniera fluida e reattiva. Sun Wukong possiede una vasta gamma di abilità e trasformazioni che i giocatori possono utilizzare per adattarsi alle diverse situazioni di combattimento, tutte estremamente varie. Queste abilità includono l’uso del suo bastone magico, il Ruyi Jingu Bang, l’unica arma del gioco che può espandersi e contrarsi a volontà, utilizzabile in modi diversi grazie alle tre posture presenti che modificano radicalmente gli attacchi a nostra disposizione.
I boss non sembrano dotati di un nutrito numero di movenze offensive, una scelta di design probabilmente tesa a semplificarne la memorizzazione. I pattern di attacco sono semplici rispetto ad altri prodotti simili e, al momento della demo, non prevedono variazioni in base alla reazione del giocatore. Se un attacco di un boss prevede tre affondi consecutivi, anche allontanandoci il nemico completerà comunque l’intera sequenza, contrariamente alla maggior parte delle produzioni recenti. Non è chiaro il motivo di questa scelta anacronistica, ma è evidente l’intenzione di tendere a un’esperienza fresca e non troppo impegnativa, con la precisa volontà di accompagnare il giocatore piuttosto che frustrarlo oltremodo. In questa ottica, sono stati accuratamente evitati anche gli attacchi “ritardati” dei boss, atti a ingannare il giocatore, una (fastidiosa) caratteristica comune negli action RPG moderni. Piuttosto generose anche le finestre di contrattacco concesse dai boss: è facile osservare dei periodi di recupero dai colpi piuttosto lunghi, che indicano chiaramente quando poter colpire indisturbati. L’impressione generale è di una continua ricerca di combattimenti rapidi ed altamente spettacolari, non di estremi virtuosismi per abbattere il nemico alla ricerca del combattimento perfetto per poter sopravvivere. Più enfasi sul divertimento e meno pad rotti.
Se un gioco è accessibile, non significa però che sia facile, tantomeno che manchi di profondità. A completare le nostre opzioni d’attacco ci sono le suddette trasformazioni. Una delle caratteristiche distintive del gioco è la capacità di Sun Wukong di trasformarsi in animali e oggetti. Questa meccanica non solo aggiunge profondità al combattimento, ma è anche cruciale per risolvere enigmi ambientali e superare ostacoli nel mondo di gioco. Le mutazioni variano dal prendere le fattezze di una cicala dorata (la demo si apre così), che permette di esplorare indisturbati, a quelle di un lupo mannaro (uno dei boss sconfitti nella demo), o di un gigante di roccia in grado di deviare ogni colpo subito, fino a un pipistrello per le sezioni di volo. Per ora, però, le trasformazioni sono limitate a un singolo utilizzo per battaglia, rendendo impossibile abusarne.
Un altro aspetto importante sono le magie, regolate dalla classica barra del mana, e che permettono circa quattro utilizzi per scontro (il consumo varia in base alla magia). Quella di partenza prevede, ad esempio, di immobilizzare il nemico sul posto. Tutto è ulteriormente personalizzabile grazie all’albero delle abilità, dove si può investire l’esperienza accumulata in tre rami distinti: benefit generici, incantesimi e stili di combattimento, e può essere resettato a piacere.
Particolare il sistema d’attacco, che si compone di colpi leggeri e pesanti. Normalmente, l’attacco pesante richiede un lungo caricamento che lascia Wukong completamente scoperto. Grazie alle schivate perfette e accumulando attacchi leggeri, si generano punti Focus utili a trasformare gli attacchi pesanti da inutili a devastanti. Ci si deve fare un po’ l’abitudine, ma una volta capito il meccanismo, tutto funziona davvero bene!
Se è vero che la miglior difesa è l’attacco, Black Myth: Wukong propone un’alternativa: la fuga. Una volta esaurito il mana (per gli incantesimi difensivi), l’unica cosa che vi separa da una morte prematura è la schivata, che sembra pienamente invulnerabile, ha un costo di stamina relativamente basso e può essere attivata consecutivamente fino a tre volte senza conseguenze. Alla terza schivata, però, ci sarà una veloce fase di recupero che ci renderà vulnerabili agli attacchi del nemico. Una schivata perfetta crea aperture per le combo ed incrementa la barra del Focus. Questa è segnalata dalla creazione di un’immagine residua di Wukong, a sottolineare la velocità di movimento del Re Scimmia.
Black Myth: Wukong è il più desiderato su Steam
Non sarà presente un selettore di difficoltà, ma ci sono molti segnali che indicano la volontà di creare un’esperienza diversa dai classici soulslike. Questa etichetta è stata appiccicata al gioco sin dall’inizio, ma, analizzando il materiale disponibile, sembra quantomeno fuori luogo. Alcune dichiarazioni sottolineano uno stile di gameplay differente e, a livello di meccaniche, ci sono diversi elementi che si discostano dalle caratteristiche principali di Souls e affini.
Innanzitutto, la morte costa solo una piccola porzione della Volontà (l’esperienza) accumulata. Un’altra evidente differenza è che il menù di pausa interrompe l’azione di gioco. I salvataggi sono vicinissimi alle boss fight, come in Lies of P, e la sperimentazione è fortemente incoraggiata: il respec dei punti abilità accumulati può essere fatto in qualunque momento e senza alcun costo. Lo stesso vale per l’assegnazione dei talenti, che può essere effettuata anche lontano dai salvataggi. Tutto suggerisce la costruzione di un’esperienza leggera e non eccessivamente impegnativa.
Se uniamo i puntini osservando i lunghissimi tempi d’attesa concessi al giocatore per contrattaccare i boss e alcune scelte di design generose, come la barra aggiuntiva di vita concessa quando ci si trasforma, è chiaro che si cerca di costruire un action RPG piacevole da giocare con buona pace dei produttori di controller, che speravano nell’ennesima impennata delle vendite grazie alle esplosioni di rabbia dei giocatori. Ovviamente, ciò non significa che non ci siano punti di contatto: le fiaschette di cura, le barre di stamina e mana, e lo stile di combattimento con il nemico sempre centrato a schermo. E non significa che sarà una passeggiata completarlo.
L’utilizzo dell’Unreal Engine 5 permette di creare un mondo visivamente stupefacente. La grafica del gioco è caratterizzata da un alto livello di dettaglio, con ambienti realistici e creature mitologiche ben realizzate e animate. Gli effetti di luce e ombra, le animazioni fluide e i dettagli nei modelli dei personaggi contribuiscono a creare un’esperienza visiva senza pari. Anche il comparto audio gioca un ruolo cruciale nel creare l’atmosfera del gioco. La colonna sonora è composta da musiche ispirate alla tradizione locale, che accompagnano i giocatori nel loro viaggio. Gli effetti sonori sono realistici e contribuiscono a rendere il mondo di gioco vivo e immersivo. Le voci dei personaggi sono doppiate in cinese e inglese, con sottotitoli disponibili in varie lingue, tra cui l’italiano, garantendo un’esperienza accessibile a un pubblico globale.
Non c’è da nascondersi dietro un dito: la curiosità è tanta. Sia per un gioco che, seppur bellissimo, si è nascosto in questi anni fornendo informazioni col contagocce, sia perché molti vogliono testarlo di persona. In un modo o nell’altro, Black Myth: Wukong è il titolo del momento. Non resta che incrociare le dita ed attendere, all’inizio del viaggio manca davvero poco.