L’avvento dei Giochi Olimpici è solito riportare a galla ricordi assai cari ad ogni videogiocatore di vecchia data. Il riferimento è legato ai giorni in cui titoli ispirati alla massima competizione sportiva esistente occupavano i vertici delle classifiche mondiali, delineandosi spesso e volentieri come fulgida espressione dell’esperienza videoludica. Caratterizzati da un’impostazione multidisciplinare che favoriva innanzitutto una versatilità grafica e strutturale impareggiabili, detti titoli esaltavano difatti il fattore competitivo del videogioco come pochi altri generi ad essi contemporanei, trovando nel multiplayer uno punto di riferimento imprescindibile.
Declinandosi sia in ambito Arcade che in contesto domestico, l’egemonia commerciale vantata da classici senza tempo come Track’n Field e Summer Games avrebbe iniziato ad accusare una flessione mediatica intorno alla seconda metà degli anni ’90 e, più nel dettaglio, in seguito all’exploit dei sistemi a impostazione poligonale. Complici le difficoltà accusate dalle storiche software house della Pixel Era nel rispettivo processo di riconversione industriale e una temporanea contrazione dei prodotti ad assetto multi genere, queste produzioni finirono pian piano ai margini del mercato, salvo poi essere idealmente sostituite da Party-Game che con l’atletica e ogni disciplina affine avrebbero avuto poco o nulla a che fare.
Sfruttando il prezioso assist favoritoci dagli attuali Giochi di Parigi 2024, V analizzerà ora ora nel dettaglio la parabola storica di questa branca videoludica, cercando magari di individuare quali possano essere gli attuali eredi di un modo di concepire e vivere i videogame per molti versi unico.
Da Olympic Decathlon a Track’n Field
Sebbene si sia portati a indicare, per convenzione comune, il leggendario Track’n Field firmato da Konami quale capostipite di genere, il primo incontro tra il mondo videoludico e quello olimpico risale, in realtà, al 1980. Nella primavera di quell’anno, una giovane Microsoft distribuì infatti la storica versione TRS-80 di Olympic Decathlon. Caratterizzato da un comparto grafico a dir poco essenziale, quest’ultimo passava in rassegna le dieci discipline legate a questa particolare branca dell’atletica attraverso altrettanti mini-game che, se affrontati con sufficiente maestria, avrebbero portato l’utente a sfidare l’incarnazione virtuale di Bruce Jenner, noto all’epoca per aver conquistato la medaglia d’oro di categoria nelle Olimpiadi di Montreal del 1976. Seppur confinato ad un bacino d’utenza relativamente ristretto, il gioco suscitò un certo interesse tra gli esperti, ai quali non passò certo inosservato l’implemento di un’avveniristica opzione multiplayer grazie a cui ben sei giocatori avrebbero potuto confrontarsi alternandosi ai comandi ogni qualvolta il rispettivo atleta fosse chiamato in pista. In relazione alla scarsa diffusione dei Personal Computer nelle case dei videogiocatori d’inizio anni ’80, Olympic Decathlon sarebbe in ogni caso rimasto un acuto pressoché isolato fino al 1983, anno che vide il coin-op del summenzionato Track ‘n Field irrompere nelle sale giochi di tutto il mondo e ridefinire gli standard dell’entertaiment a gettoni. Forte di un impatto scenico che, all’epoca, era più che lecito definire straordinario, il gioco avrebbe macinato numeri da capogiro fin da subito, beneficiando anche e soprattutto di un sistema di controllo assai intuitivo che, trovando il proprio massimo comune denominatore nel “button mashing”, offriva a chiunque l’opportunità di cimentarsi in frenetiche sfide al cardiopalma con qualsiasi avversario capitasse a tiro. L’entità del successo riscosso, avrebbe chiaramente aiutato l’instant classic di Konami a valicare i confini della sfera Arcade: si pensi che, entro l’autunno del 1984, macchine come MSX, C64, Apple II, Atari 8Bit, Atari 2600 e NES potevano già vantare la presenza di una conversione ufficiale nel proprio catalogo.
A prescindere da ogni record infranto, Track ‘n Field ebbe tuttavia un merito persino maggiore, ovvero quello di battezzare la nascita di un intero filone produttivo. A pochi mesi dal suo avvento, molti sviluppatori di prima fascia si sarebbero infatti gettati a capofitto nella produzione di titoli affini, ottenendo risultati altrettanto notevoli: è il caso dell’ottimo The Activision Decathlon (1983, Atari 2600), di Sports Hero (1984, Melbourne House / Beam Software – Spectrum ZX) e di Field Day (1984) attraverso cui, pur introducendo alcuni sport non esattamente olimpici come il tiro alla fune, anche Taito ebbe modo di dire la sua. Dal canto suo, la stessa Konami non esitò a raddoppiare la posta in gioco: sfruttando il crescente hype generatosi in vista dai Giochi Olimpici di Los Angeles del 1984, la major giapponese sarebbe difatti tornata in pista con Hyper Sports, successore morale di Track ‘n Field cui fu affiancato persino un sequel in formato MSX.
Olympic Game: silenzio, parla Epyx!
Pur trovando nelle sale giochi un focolaio di riferimento imprescindibile, la febbre olimpica avrebbe registrato elevatissimi picchi di diffusione anche in ambito home, trovando nella Epyx un vettore formidabile. Già nota al grande pubblico aver ridefinito gli standard dei racing game con Pitstop (1983) e firmato un altro classico della sfera action come Jumpman (1983), l’azienda statunitense sarebbe entrata a gamba tesa nel settore con la mini-serie Summer Games. Destinati a passare agli annali come i migliori Olympic Game ad aver mai calcato la scena 8Bit, i due blockbuster videro la luce su C64 a cavallo tra il 1984 e l’anno successivo, contribuendo in maniera sensibile all’affermazione della macchina targata Commodore nell’ambito dei Personal Computer da gaming. Esaltati da una veste grafica in grado di miscelare sprite dal look molto stilizzato ad animazioni assai convincenti, Summer Games I e II andavano a coprire gran parte delle discipline più amate dal pubblico, passando dalla corsa alla scherma, dal salto con l’asta ai tuffi e dal nuoto alla ginnastica artistica con estrema disinvoltura. Supportati all’occorrenza da meccaniche di gioco oltremodo intuitive, i mini-game asserviti alla trasposizione di queste discipline offrivano agli utenti la possibilità di divertirsi per ore ad inseguire record su record, traendo peraltro ulteriore appeal dall’opportunità di condividere l’esperienza con un massimo di 8 amici a routine alternata.
Come molti reduci della pixel era ricorderanno, il successo di questa operazione fu tale da germogliare nel varo di un’intera linea di prodotti a tema: col tempo le incursioni della Epyx nel mondo dello sport a carattere multi evento sarebbero infatti diventate un appuntamento fisso, che avrebbe prima coinvolto i Giochi Olimpici Invernali con l’acclamatissimo Winter Games (1985), quindi i più noti sport folkloristici del globo con World Games (1986) e infine discipline tipicamente americane come Surf, Skateboard e Mountain Bike nei due, amatissimi episodi della serie California Games (1987 – 1990).
Sebbene le produzioni Epyx rappresentassero il vertice qualitativo di categoria, alle loro spalle si andava intanto formando un vero e proprio ecosistema di titoli affini, alcuni dei quali tentarono di ritagliarsi il proprio spazio mediatico arruolando testimonial di eccezione. È il caso di Daley Thompson’s Olympic Challenge (1988), esponente di spicco di una serie di videogame interamente incentrata sulle gesta del poliedrico atleta britannico. Nel 1988, in concomitanza con le Olimpiadi di Seoul, anche Konami sarebbe intanto rientrata nel giro, distribuendo prima in solo formato Coin-Op il modesto ’88 Games e quindi il ben più performante Track ‘n Field II. Noto in Giappone come Konami Sports in Seoul ed esclusivamente riservato ai possessori del NES, quest’ultimo seppe spingere l’esperienza del suo nobile predecessore ad a nuove vette qualitative, per la gioia di tutti i Nintendo Fan che poterono fare incetta di medaglie cimentandosi in ben 15 discipline, con novità quali Tae Kwon Do e kayak ad affiancare classici come lancio del martello, tiro con l’arco, 110 metri ad ostacoli, salto triplo, nuoto e scherma. Di fronte all’entità di quest’impresa, nonché allo stupefacente hype generato dalle Olimpiadi coreane, Epyx non poté certo restarsene ferma al palo: benché realizzato con la medesima cura di sempre, The Games: Summer Edition (1988) non riuscì tuttavia a bissare il successo dei suoi precursori, finendo per occupare il secondo gradino del podio dominato da Track ‘n Field II.
Barcellona ’92 e il tramonto dell’età dell’oro
Nell’arco del quadriennio che separò i Giochi di Seoul da quelli di Barcellona, il settore degli Olympic Game continuò ad accogliere nuove produzioni a ritmo più o meno regolare. A fronte del notevole incremento delle potenzialità tecniche introdotto da sistemi come Amiga 500, Atari ST e Sega Mega Drive, la qualità generale dei prodotti non avrebbe tuttavia registrato picchi qualitativi degni dell’Era 8Bit. Quelli che possiamo identificare come i prodromi di un declino più concettuale che prestazionale, trovarono ideale conferma nel progressivo disinteresse dimostrato da Konami nei confronti del genere, per poi assumere tratti più marcati nel 1990, con l’inatteso fallimento della Epyx. Vittima dell’incontrastato dilagare di una pirateria informatica che teneva praticamente in scacco il proprio mercato di riferimento, ovvero quello dei Personal Computer, la compagnia non aveva in effetti beneficiato che in minima parte dei successi riscossi nella seconda metà degli anni ’80. Quando l’avvento della 16 Bit Generation impose a tutti gli sviluppatori un costoso riassetto industriale, i vertici dell’azienda non poterono pertanto fare altro che issare bandiera bianca.
Con Epyx fuori dai giochi, la flotta degli Olympic Games si sarebbe ritrovata di colpo orfana della sua nave ammiraglia e, per di più, preda di un gran numero di nuovi produttori più interessati a monetizzare il fermento mediatico intorno all’evento olimpico in sé, che a realizzare videogame che sapessero farsi davvero carico di un tale retaggio. Giusto in proposito, fu proprio in occasione dei Giochi di Barcellona ’92 che il settore accolse il primo titolo ufficialmente approvato dal Comitato Olimpico Internazionale. Prodotto da U.S. Gold e sviluppato da Tiertex a esclusivo interesse dei possessori di Sega Mega Drive, Game Gear e Master System, Olympic Gold: Barcelona ’92 si presentò ai blocchi di partenza col fisico tirato a lucido, ma privo del fascino che aveva contraddistinto molti dei suoi antenati. Delle 7 discipline proposte, solo i 110 metri a ostacoli, il tiro con l’arco e i 200 metri di nuoto in stile libero parvero in effetti rievocare l’adrenalinica essenza di un qualsiasi Summer Games. Prima di gettare la croce addosso a questo progetto, è tuttavia il caso di specificare che molti dei suoi limiti fossero da ricondurre ad una formula ormai vecchia di anni che risultava sempre meno efficace agli occhi del pubblico: nel 1992, molti gamer avevano del resto raggiunto una maturità videoludica tale da aver maturato aspettative che il semplice “button mashing” d’un tempo non poteva più soddisfare… Ed è essenzialmente questo il principale motivo per cui, negli anni a venire, l’intero genere sarebbe via via scivolato ai margini del sistema.
Gli anni bui degli Olympic Game
La seconda metà degli anni ’90 costituì uno snodo cruciale per gli equilibri dell’intera industria dei videogame: l’avvento degli engine poligonali, con rivoluzione Playstation annessa, ne avrebbe difatti stravolto per sempre gli assetti. Come accaduto per molti altri generi, gli Olympic Game a struttura multi evento avrebbero patito questa transizione in modo particolare, finendo col perdere gran parte del proprio seguito. Sulla base di questo nuovo status quo, la produzione di titoli a tema accusò un drastico decremento, lasciando praticamente ai soli titoli su licenza ufficiale una certa visibilità. Se si esclude tutta una progenie di progetti dal basso profilo riservati a sistemi di vecchia generazione o alla fascia nostalgica dell’utenza PC, possiamo, ad esempio, indicare il solo Olympic Games: Atlanta ’96 quale celebrazione videoludica dei rispettivi giochi statunitensi. Sviluppato da Silicon Knights per conto di U.S. Gold, il titolo approdò sui circuiti di Playstation, PC e 3DO sfoggiando un look al passo coi tempi e la timida volontà di orientare gli equilibri del gameplay verso dinamiche più simulative. Al netto dell’ottima reazione riservata dalla critica alla versione destinata alla console Sony, il gioco non avrebbe riscosso chissà quale successo, eppure la sua performance dovette comunque bastare a risvegliare l’antico amore nutrito da Konami nei confronti di queste produzioni. Nella seconda metà del 1996, la major nipponica si sarebbe infatti prodigata nel varo di International Track ‘n Field, ricco revival poligonale del vecchio classico a gettoni che, al netto di vendite non esattamente spettacolari, riuscì a restituire nuova linfa ad un brand destinato a sfornare ulteriori iterazioni in ambito handheld.
In relazione alla netta flessione che aveva interessato questa categoria di prodotti nella seconda metà del decennio, era ormai chiaro più o meno a tutti che i suoi anni migliori fossero ormai passati. Di fronte alla prospettiva di sfruttare una tappa epocale della storia olimpica con i Giochi di Sidney 2000, alcuni sviluppatori non seppero tuttavia resistere alla tentazione di effettuare un ultimo tentativo: fu questo il caso di SEGA che col pessimo Virtua Athlete 2K (2000, Coin-Op / Dreamcast) avrebbe messo una pietra tombale sulla gloriosa serie “Virtua” e di Eidos Interactive che, aggiudicandosi la licenza ufficiale del Comitato Olimpico Internazionale, celebrò con maggior dignità gli estremi dell’evento. A prescindere dagli sforzi effettuati al fine di conferire adeguato spessore alle discipline proposte, la fredda risposta del pubblico costituì la prova definitiva che la sacra fiamma degli Olympic Game fosse ormai ridotta a un lumicino.
Chi ha raccolto il testimone?
Poco importa se, a cadenza quadriennale, aziende come Sony (Athens 2004), SEGA (Bejing 2008, London 2012, Rio 2016, Tokyo 2020) o persino Mario e Sonic in tandem abbiano puntualmente provato a riaccendere la fiaccola: nel corso degli ultimi 20 anni, la formula ha confermato i sintomi di una stasi produttiva irreversibile e questo al netto di tutte le straordinarie possibilità che l’implemento dell’Online Gaming potesse offrire. Pur accettando quest’ineluttabile sentenza, viene in ogni caso da interrogarsi sulle esigenze del pubblico: è, in altre parole, possibile che il videogiocatore contemporaneo non avverta più l’esigenza di assaporare le scatenate emozioni che sapeva regalare un giro di pista in Track ‘n Field? Ovviamente no. In tal senso, è molto più probabile che questi abbia trovato stimoli analoghi altrove e vi si sia gettato a capofitto, con tanti cari saluti alla tradizione olimpica. Prima che a qualcuno possa venire in mente Fortnite, è tuttavia bene identificare con maggior accuratezza il genere e i titoli che hanno, più o meno volontariamente, raccolto l’eredità spirituale dei grandi classici di un tempo. Ci riferiamo, nel dettaglio, alla sfera dei Party Game e, ancor più chirurgicamente, a prodotti già entrati a pieno diritto negli annali come Wii Sports e relativi successori. E’ vero, molti di questi videogame, col Barone de Coubertin e il puro culto dello sport multidisciplinare c’entrano poco o nulla, ciò nonostante, in termini videoludici, non c’è alcuna esperienza attuale che sappia rievocare tanto da vicino le sensazioni che provavamo noi anzianotti, quando eravamo disposti a sacrificare un QuickShot 2 Turbo nuovo di zecca pur di salire sul gradino più alto del podio!
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