La brusca reazione del popolo di fronte all’annuncio di un nuovo rincaro dei costi legati al Game Pass non rappresenta soltanto un sintomo di pregiudiziale intolleranza nei confronti di Microsoft, bensì la netta manifestazione del pubblico dissenso nei confronti delle strategie commerciali di multinazionali che sarebbero “interessate unicamente agli introiti e non al bene dei gamer”. Dovessimo limitarci al caso in questione, ci sarebbe poco da obiettare: difficile, del resto, sostenere tesi che smentiscano la volontà di far quadrare i conti aumentando i prezzi. La faccenda finisce tuttavia col prendere una piega contraddittoria nel momento in cui andiamo ad analizzare l’atteggiamento riservato dai più nei riguardi della politica prezzi adottata nell’ultimo ventennio da Nintendo: per qualche strano motivo, ben pochi sembrano infatti trovare illogico o addirittura oltraggioso il fatto che essa continui a riciclare produzioni vecchie di dieci o quindici anni a ritmo sostenuto, fissando costi al dettaglio analoghi a quelli presentati da molte produzioni AAA contemporanee. Si ha in tal senso il sospetto che il pubblico riservi alla major di Kyoto un’indulgenza ben diversa che, affondando radici solide nello storico dell’azienda, finisce per avallare una strategia commerciale che non sarebbe perdonata a nessun altro.
Secondo alcuni dei colleghi con cui mi sono confrontato a riguardo, l’alterata percezione comune in base alla quale Nintendo non badi ai propri interessi economici quanto possano fare una Microsoft o una Sony deriverebbe dal profondo legame sentimentale che unisce i suoi classici ai rispettivi consumatori: un amore puro e incondizionato, risalente magari all’infanzia e reo di spingere la maggioranza dei videogiocatori a ritenere che ogni strategia adottata dalla Grande N non sia solo corretta, ma soprattutto disinteressata. A fronte di questa considerazione, il collega più cinico ha invece preferito parlare direttamente di una vera e propria forma di sudditanza psicologica che, alimentata in primis da una stampa sempre pronta ad arrotondare per eccesso i voti dedicati ai prodotti Nintendo, abbia generato un’aura quasi mistica intorno all’intero operato di quest’ultima. Come è logico che fosse, nel dibattito è quindi emerso anche il parere di chi ha paragonato prodotti come Luigi’s Mansion 2 alla stregua di “restauri di opere d’arte”, sottintendendo che basterebbe questo a giustificare a priori un prezzo di cartellino equivalente o persino superiore a un qualunque Elden Ring… Con tutte le conseguenze che saprete immaginare. Meri punti di vista? Forzate prese di posizione? Difficile a dirsi, ma a mio avviso la faccenda non può essere liquidata con superficialità. Per quel che mi riguarda, esiste senz’altro un vecchio equivoco legato alla percezione dei brand che il pubblico continua a identificare come squadre di calcio in cui riporre la propria fede incondizionata. Parallelamente, langue da tempo un’idea di fondo distorta che porta alcuni a ritenere che determinate aziende facciano il proprio mestiere come opera pia e non per generare profitto. Persiste infine il dubbio concreto che, di fronte a certe entità, nel mondo dei videogame così come nel calcio, nella musica o nella politica, si facciano sempre due pesi e due misure. Ciò detto, vorrei stavolta spingermi comunque un passo oltre una più saggia posizione neutrale, affermando che sì, secondo me la politica prezzi di Nintendo costituisce un problema di cui bisognerebbe discutere, specialmente quando mi si chiede ancora oggi, nel 2024, di pagare oltre 30 euro la peggior versione di The Witcher III che sia mai arrivata sul mercato, solo perché griffata Switch, mentre gli altri “aguzzini del business”, di fatto, te lo tirino dietro già da anni. Ora, vi esorto, ovviamente, a non fraintendermi: nessuno vuole mettere in discussione il valore assoluto di IP come Mario, Zelda e Metroid. Come tutti voi, anch’io sono del resto cresciuto con Nintendo e continuo ad amarla profondamente: a conti fatti, mi sto solo chiedendo se questi sentimenti siano davvero ricambiati o se il tutto non si riduca sempre e comunque a una semplice questione di ricavi.
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