Darkest Dungeon II, al pari del suo predecessore, è un’esperienza che impone di sopravvivere all’insuperabile, di trasformare il peggio in qualcosa di gestibile. Tuttavia, rispetto al primo capitolo, abbandona la struttura lenta e opprimente del dungeon crawler per abbracciare un ritmo più incalzante, tipico dei roguelite, concepito con l’obiettivo di essere affrontato a ripetizione. Per i fan accaniti del primo capitolo come me, accettare questo cambiamento è stata la sfida principale, che adesso è possibile affrontare su tutte le console in circolazione dopo l’esordio dello scorso anno su PC, assieme al DLC The Binding Blade.
Darkest Dungeon II: affrontare i propri fallimenti…
Il gioco è ambientato in un mondo frantumato, popolato da disperati e dannati. L’intervento di un essere misterioso, noto come l’Accademico, ha causato il collasso delle barriere dimensionali. Egli recluta dunque un manipolo di individui, ciascuno con il proprio oscuro passato, stile di gioco e motivazioni, con l’obiettivo di portare la Luce della Speranza fino alla lontana Montagna, dove risiede un essere di indicibile potere che minaccia il mondo. La squadra viaggia su una Diligenza, impegnata tanto nella guida attraverso paesaggi contorti e infestati quanto nei brutali combattimenti a turni, la cui gestione è fondamentale per il successo e rappresenta il sistema di progressione tra una partita e l’altra. Potenziandola con le ricompense raccolte durante il cammino, è possibile aumentare la capacità di carico, migliorare la rigenerazione passiva e ottenere altri benefici.
…o lasciarsi consumare da essi
Il combattimento è brutale, con un sistema di salute che induce a ogni colpo subito un senso di angoscia. Darkest Dungeon II mantiene la disposizione a turni basata sulla posizione dei personaggi, costringendo il giocatore a monitorare costantemente lo schieramento dei propri campioni e cercare di disorganizzare quello nemico. Ogni personaggio ha le proprie peculiarità e sinergie, e trovare e potenziare un gruppo efficace è la chiave per il successo. Questi improbabili eroi sono soggetti a devastanti crisi psicotiche quando lo stress diventa insopportabile, scatenandosi contro i compagni o manifestando gelosia verso chi viene curato. Lo stile distintivo di Red Hook è ancora presente, per quanto alcuni design dei personaggi sembrano aver perso un po’ di fascino nel passaggio al 3D più realistico del sequel. Il sonoro rimane potente e d’impatto, con il ritorno del più grande narratore videoludico di sempre, Wayne June, la cui voce fuori campo, implacabilmente cupa, commenta gli eventi in base alle prestazioni della compagnia, intensificando ogni situazione.
Conclusioni
Darkest Dungeon II rappresenta una notevole evoluzione rispetto al predecessore, tanto da disorientare a causa di sistemi e meccaniche più snelli e forse meno efficaci. Tuttavia, Red Hook è riuscita a mantenere lo stesso spirito oscuro, e se si riesce ad apprezzare questa nuova direzione, il gioco riuscirà a coinvolgere fino all’ultimo istante.
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