Darkest Dungeon II

Darkest Dungeon II Recensione V mensile

Darkest Dungeon II, al pari del suo predecessore, è un’esperienza che impone di sopravvivere all’insuperabile, di trasformare il peggio in qualcosa di gestibile. Tuttavia, rispetto al primo capitolo, abbandona la struttura lenta e opprimente del dungeon crawler per abbracciare un ritmo più incalzante, tipico dei roguelite, concepito con l’obiettivo di essere affrontato a ripetizione. Per i fan accaniti del primo capitolo come me, accettare questo cambiamento è stata la sfida principale, che adesso è possibile affrontare su tutte le console in circolazione dopo l’esordio dello scorso anno su PC, assieme al DLC The Binding Blade.

La guida della Diligenza è realizzata quasi interamente in 3D, ma con effetti 2D sullo sfondo.

Darkest Dungeon II: affrontare i propri fallimenti…

Il gioco è ambientato in un mondo frantumato, popolato da disperati e dannati. L’intervento di un essere misterioso, noto come l’Accademico, ha causato il collasso delle barriere dimensionali. Egli recluta dunque un manipolo di individui, ciascuno con il proprio oscuro passato, stile di gioco e motivazioni, con l’obiettivo di portare la Luce della Speranza fino alla lontana Montagna, dove risiede un essere di indicibile potere che minaccia il mondo. La squadra viaggia su una Diligenza, impegnata tanto nella guida attraverso paesaggi contorti e infestati quanto nei brutali combattimenti a turni, la cui gestione è fondamentale per il successo e rappresenta il sistema di progressione tra una partita e l’altra. Potenziandola con le ricompense raccolte durante il cammino, è possibile aumentare la capacità di carico, migliorare la rigenerazione passiva e ottenere altri benefici.

Darkest Dungeon II
I boss finali di ogni Confessione sono la rappresentazione materiale dei diversi organi del mondo.

…o lasciarsi consumare da essi

Il combattimento è brutale, con un sistema di salute che induce a ogni colpo subito un senso di angoscia. Darkest Dungeon II mantiene la disposizione a turni basata sulla posizione dei personaggi, costringendo il giocatore a monitorare costantemente lo schieramento dei propri campioni e cercare di disorganizzare quello nemico. Ogni personaggio ha le proprie peculiarità e sinergie, e trovare e potenziare un gruppo efficace è la chiave per il successo. Questi improbabili eroi sono soggetti a devastanti crisi psicotiche quando lo stress diventa insopportabile, scatenandosi contro i compagni o manifestando gelosia verso chi viene curato. Lo stile distintivo di Red Hook è ancora presente, per quanto alcuni design dei personaggi sembrano aver perso un po’ di fascino nel passaggio al 3D più realistico del sequel. Il sonoro rimane potente e d’impatto, con il ritorno del più grande narratore videoludico di sempre, Wayne June, la cui voce fuori campo, implacabilmente cupa, commenta gli eventi in base alle prestazioni della compagnia, intensificando ogni situazione.

Al solito, tenere sotto controllo le statistiche di ciascun combattente è fondamentale.

Conclusioni

Darkest Dungeon II rappresenta una notevole evoluzione rispetto al predecessore, tanto da disorientare a causa di sistemi e meccaniche più snelli e forse meno efficaci. Tuttavia, Red Hook è riuscita a mantenere lo stesso spirito oscuro, e se si riesce ad apprezzare questa nuova direzione, il gioco riuscirà a coinvolgere fino all’ultimo istante.

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Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.