Borderlands Recensione: quando Claptrap è il miglior personaggio, si tocca l’apocalisse

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Si era iniziato a parlare di un adattamento cinematografico del videogame Borderlands già nell’estate del 2015. Da allora sono passati quasi dieci anni, molte cose sono cambiate, sia a livello di equilibri globali che nella vita dei giocatori che si sono inizialmente legati al brand. Dopo tutto questo tempo, il lungometraggio si trova a debuttare in un contesto in cui la gloria riflessa del videogioco è ormai significativamente fiaccata, quindi le sue possibilità di successo sono integralmente dipendenti dalla sua qualità intrinseca. Un traguardo che è complicato dalla recente uscita di Furiosa: A Mad Max Saga, film postapocalittico che condivide con Borderlands l’atmosfera di base. Detto questo, la saga di Borderlands ha sempre nutrito una certa simpatia nei confronti degli “underdog”, quindi questo alto grado di sida si potrebbe dire quasi canonico, forse addirittura uno stimolo. Peccato però, che la pellicola non si dimostri coriacea e affamata di gloria quanto i protagonisti dei videogiochi di riferimento.

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Cate Blanchett è stata una scelta interessante per Lilith. Azzeccata, forse no, ma interessante.

L’epoca d’oro delle Borderlands

Per capire come mai la strada del Borderlands che viene ora distribuito da Lionsgate sia tutta in salita, bisogna tornare a quel fatidico 2015. Borderlands: The Pre-Sequel era uscito da circa un anno e aveva ricevuto un’accoglienza relativamente tiepida da parte della critica. Tuttavia il franchise era ancora molto forte, ancor più perché l’opera era stata considerata da molti al pari di uno spin-off poco rappresentativo, non andava a intaccare quella qualità tecnica e narrativa che, altrimenti, era assolutamente indiscussa. Anche l’azienda che aveva sviluppato il progetto, Gearbox Software, era allora molto apprezzata, nonostante qualche marcato passo falso nei confronti di Duke Nukem Forever e Aliens: Colonial Marines.

Proprio nel 2015, Gearbox Software si dimostrò ansiosa di crescere, di avere di più. L’azienda aprì un nuovo studio di sviluppo in Canada, quindi lanciò il suo ramo editoriale, Gearbox Publishing, al fine di espandersi verso aree che fossero slegate dal genere di titoli in cui era esperta, un azzardo che era dichiaratamente mirato a garantire una crescita del capitale. Nel frattempo, verso il 2018, Randy Pitchford, fondatore dello studio, è stato accusato di diversi comportamenti abusivi nei confronti di sottoposti e collaboratori, un atteggiamento tossico che avrebbe coinvolto anche uno dei principali doppiatori di Borderlands, il quale è stato poi licenziato, scatenando il dissapore della Rete.

Nel 2019, l’uscita di Borderlands 3 è stata accolta con favore, ma anche con qualche critica pungente. Diverse voci hanno infatti ritenuto che il terzo episodio fosse fin troppo soddisfatto di replicare idee ed esperienze che erano già state ampiamente esplorate dai suoi predecessori, ma anche che il suo indulgere nella comicità abbia spezzato l’identità tematica consolidata dai primi capitoli. Pochi anni dopo, nel 2021, Pitchford ha annunciato trionfalmente di aver trovato il modello ideale di studio decentralizzato nell’Embracer Group, gruppo che ha assorbito Gearbox per la cifra di 1,3 miliardi di dollari. Con il senno di poi, l’affidarsi a Embracer Group si è dimostrata una mossa scellerata. Nell’arco di una manciata di anni, Gearbox aveva dunque cambiato pelle e i suoi prodotti erano visti meno come opere creative e più al pari di prodotti commerciali. Borderlands compreso.

Dal canto suo, Kevin Hart, attore noto per i suoi ruoli comici, non stona nei panni di Roland, personaggio che è stoico e serioso.

Scoperchiare il vault di Pandora

Il film di Borderlands non può dunque contare su quell’ampio margine di clemenza passionale da cui sono invece state benedetti alcuni franchise omologhi – si pensi a Uncharted o Mortal Kombat –, le sue possibilità di successo sono perlopiù determinate dall’abilità autoriale e registica di Eli Roth, uomo al centro dell’intero progetto. Dunque, come se l’è cavata l’autore meglio noto per operazioni di cinema quali Knock Knock o Hostel? Meglio di quanto sarebbe stato lecito credere, tuttavia il prodotto finale è comunque lungi dall’essere memorabile e incisivo. Il brand di Borderlands difficilmente sarà riportato in auge da un simile sforzo filmico.

Nella sua essenza, Borderlands si dimostra blando e generico, nulla al suo interno riesce a stagliarsi in maniera netta e riconoscibile. La violenza splatter ed esplosiva del videogame è stata annichilita in favore di un rating PG-13, i toni sopra le righe dei personaggi sono stati smussati notevolmente e l’atmosfera della pellicola fatica a trovare una consistenza densa e palpabile. La trama non aiuta. Lilith (Cate Blanchett) è una celebre cacciatrice di taglie che viene ingaggiata da un capo d’azienda perché recuperi la figlia rapita sul pianeta di Pandora, Tina (Ariana Greenblatt). In poco tempo, Lilith capisce che le intenzioni del suo datore di lavoro sono tutt’altro che positive, quindi decide di abbandonare l’incarico per assistere Tina e i suoi compagni in una missione che potrebbe sovvertire gli equilibri di potere di Pandora. Non c’è nessun contrasto in Lilith: appena si rende conto che il suo committente è una persona spregevole, procede senza troppe esitazioni ad aiutare la giovane, con il risultato che il conflitto dei personaggi si incanala esclusivamente in una generica battaglia mossa contro un potente che è inutilmente perfido e antipatico.

Nella sua semplicità, il copione avrebbe potuto offrire qualcosa di eccitante e interessante, tuttavia Roth ha deciso di eliminare ogni traccia di critica o consapevolezza politica, concentrandosi solamente sulla “bizzarria” superficiale del cast di antieroi. La saga videoludica di Borderlands ha dalla sua molti personaggi interessanti ed eccentrici, tuttavia il film ha riassunto la variegata gamma nella selezione di alcuni dei soggetti più polarizzanti, irritanti o secondari dell’intero franchise. L’irritante e comico robot Claptrap, il muscoloso e brutale Krieg sono lungi dal rivestire un ruolo che possa essere pregno e di valore, mentre Tina, punto nevralgico dell’intera trama, riveste un ruolo passivo e strumentale all’interno dell’intera vicenda, è una “donzella in pericolo” il cui atteggiamento erratico dovrebbe causare mille problemi, problemi che vengono immediatamente neutralizzati da un copione che è nettamente troppo clemente nei suoi confronti.

Il cast di Borderlands è vario, quindi perché ancorare la trama del film a un’adolescente mezza allucinata?

Un mondo alieno, che è fin troppo familiare

Il Borderlands di Roth sembra essere generico e poco significativo quasi per scelta, fa di tutto per non scioccare, stupire o sorprendere. Anche Pandora, mondo alieno ampiamente esplorato dal materiale di riferimento, viene stemperato fino a sembrare un generico clone di Mad Max in cui vengono introdotte occasionali creature strane e qualche sporadico elemento cyberpunk. Persino il casting dell’attrice protagonista, Cate Blanchett, è più in linea con lo scimmiottare la Furiosa interpretata da Charlize Theron in Mad Max: Fury Road, che con il richiamare degnamente alla memoria la Lilith descritta dai videogame originali.

Detto questo, il film non può dirsi spregevole. La fotografia di Rogier Stoffers è curata, le coreografie sono tendenzialmente statiche, ma funzionali, le musiche attingono sagacemente al materiale di origine: nulla è terribile, ma non emergono elementi degni di nota. Borderlands, semplicemente, esiste. Difficilmente sarà in grado di entrare nei cuori del pubblico generalista e probabilmente non riaccenderà neppure le passioni dei vecchi fan, tuttavia è un film action perlopiù innocuo, da vedere pigramente in estate, magari con un sacchetto di popcorn sotto mano e zero aspettative nella mente.

Più che altro, Borderlands è un’occasione sprecata. Film sci-fi come Atto di Forza e Johnny Mnemonic hanno dimostrato che lo spettacolo può tranquillamente coesistere con un contenuto profondo, mentre 8 Psicopatici evidenzia che esistano soluzioni narrative utili a enfatizzare l’eccentricità dei personaggi senza doversi necessariamente svilire il tutto ad archetipi stantii. Roth non ha prestato attenzione a questi precedenti cinematografici, ma si è limitato a sfornare un prodotto sopportabile, ma che non lascia nessuna impressione memorabile.


Alle volte è dura essere fan del franchise di Borderlands, pertanto la conversione a film del primo capitolo della saga sarebbe potuta essere una pietra miliare dell’intrattenimento blockbuster. Così non è stato. Il Borderlands diretto da Eli Roth è privo di gravi difetti, ma è anche estremamente povero di qualità o di tratti caratteristici. Sono 102 minuti di girato in cui vengono presentati eventi e personaggi, ma in cui non succede nulla per cui valga la pena entusiasmarsi davvero. Occasionalmente, le nichilistiche battute del robot Claptrap possono strappare qualche sorriso, ma spingere gli spettatori a trarre godimento dal nichilismo non è certamente un traguardo particolarmente virtuoso.