Quello dell’horror, per sua stessa natura, è un genere poco fattibile, anche rimanendo nell’ambito videoludico. La maggior parte degli sviluppatori, pur realizzando ottimi titoli, preferisce affidarsi alla collaudata presenza di zombi, vampiri, licantropi, fantasmi, demoni o antiche entità ispirate ai romanzi di Lovecraft. Poche sono le aziende che hanno avuto l’abilità e il coraggio di affrontare l’orrore più realistico: quello che si annida nella psiche umana. Ci ha provato Red Barrels nel 2013 con Outlast, un’interessante avventura ambientata in un ospedale psichiatrico. Grazie alle meccaniche piacevoli, l’ambientazione affascinante, la trama ben costruita e i nemici realistici, il primo Outlast ebbe un buon successo di critica e di pubblico, che ne lodarono in particolare l’originalità. Dopo un seguito e un DLC, l’azienda canadese riprende in mano la sua saga con questo The Outlast Trials affidandosi, questa volta, a meccaniche in cooperativa e diversi nuovi contenuti.
The Outlast Trials: una particolare terapia di gruppo
In genere i titoli basati principalmente sulla cooperazione tra giocatori non brillano per una trama profonda, ma Red Barrels, anche a questo giro, ha creato una storia interessante. Siamo nel 1959, in piena Guerra fredda, e la Murkoff Corporation, la classica multinazionale senza scrupoli, ha avviato delle ricerche clandestine per creare il soldato perfetto, privo di timori o morale e in grado di reagire a qualsiasi ordine. Per farlo, ha convertito un carcere in una sorta di struttura ospedaliera, dove avviare il programma MK-Ultra e sottoporre alcune cavie, reclutate tra senzatetto, prostitute ed emarginati vari, a un lavaggio del cervello. Attirato dall’ingannevole pubblicità dell’azienda e dalla promessa di un compenso economico, il nostro protagonista decide di sottoporsi volontariamente agli esperimenti. Si ritroverà insieme ad altri individui ad affrontare varie fasi di addestramento, dal programma X fino al Genesi, dove bisognerà sottoporsi a vari test: dall’uccidere una persona fino al combattere con avversari molto più forti di lui. Il minimo sbaglio porterà a una prematura dipartita. Ma con la speranza, arrivando fino in fondo, di essere l’unico a poter poi lasciare l’edificio.
Fuggite, sciocchi
The Outlast Trials, pur affidandosi alle stesse meccaniche viste negli episodi precedenti, abbandona la classica struttura della saga, affidandosi a una serie di missioni, rigiocabili e narrativamente slegate. Dopo aver creato il nostro personaggio con un editor ridotto al minimo, ci ritroveremo all’interno della struttura della Murkoff, che funge da hub per l’intera avventura. Da qui potremo esplorare e personalizzare la nostra cella privata, affrontare partite a scacchi o a braccio di ferro con altre cavie e interagire con una postazione per scegliere le varie missioni, qui definite “terapie”. Il tutto sotto l’occhio costante dell’azienda che, come una sorta di Grande fratello, spierà ogni nostra azione. I primi compiti saranno abbastanza facili, anche per l’assenza di avversari, e serviranno solo a prendere confidenza con le meccaniche e con i vari oggetti forniti dalla Murkoff (tra cui l’ormai iconico visore a infrarossi). Ma ben presto avremo a che fare con situazioni difficili, da cui potremo uscire collaborando con i nostri compagni di detenzione. Peccato che, alla lunga, le missioni tendano a somigliarsi fin troppo. La parte più interessante sono gli incontri con i boss, ostici (talvolta frustranti) e ben caratterizzati. Tra cui uno collegato all’esposizione ad alcune tossine che alterano la nostra percezione dell’ambiente.
The Outlast Trials: le ambientazioni della follia
Dal punto di vista puramente tecnico, The Outlast Trials non sfrutta la potenza delle attuali piattaforme, soprattutto se paragonato con prodotti di ben altro comparto visivo. Il titolo gira sul precedente Unreal Engine, il quarto, che viene comunque sfruttato abbastanza bene, grazie anche a una certa staticità degli scenari e dalla scarsità di nemici, che hanno permesso di non pesare troppo sulla potenza di calcolo. Stesso discorso sul versante sonoro, con effetti ambientali efficaci, buon doppiaggio e musiche adatte al genere, ma nulla di veramente originale. L’azienda canadese ha fatto però un ottimo lavoro nelle atmosfere, nelle ambientazioni e nel design degli avversari, che poi sarebbero i punti più importanti del lato visivo di un’avventura horror. Gli scenari sono ben studiati, spesso soffocanti e claustrofobici (sensazione accentuata dalla necessità di usare spesso il visore a infrarossi), con numerosi dettagli come scritte sui muri, macchie di sangue e, in generale, con tutto quel che ci si aspetta da un titolo simile. L’avventura, con un certo coraggio, non si fa problemi a mostrare anche immagini e situazioni ancora più disturbanti, talvolta coinvolgendo dei bambini (sotto forma di manichini) o sfociando nel blasfemo (ma mai gratuito). Ancora meglio con il design degli avversari: l’aspetto di alcuni, in particolare quello dei boss, è decisamente azzeccato, e farebbe bella figura anche in un titolo cinematografico.
Conclusioni
The Outlast Trials si integra nella saga con un’atmosfera avvincente e un’inedita modalità cooperativa. Malgrado gli elementi innovativi, tuttavia, rispetto ad altri analoghi soffre per alcune dinamiche di gruppo, missioni ripetitive e boss frustranti. Resta comunque un’esperienza horror che, se migliorata, potrebbe rinnovare positivamente la serie.
Leggilo gratis in versione impaginata e sfogliabile sul numero 3 di V – il mensile di critica videoludica