Chernobyl, diario dalla zona – V mensile Cover Story

S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl, in uscita il 5 settembre prossimo, è il seguito dell’acclamata trilogia ambientata nella Zona di Alienazione di Chernobyl: Shadow of Chernobyl, Clear Sky e Call of Pripyat. La storia è ben nota agli appassionati della serie e si svolge in una misteriosa Zona che custodisce segreti che si rivelano solo ai più coraggiosi. Nei panni di uno stalker solitario, esploriamo un mondo post-apocalittico dove ogni scelta ha una conseguenza diretta e determina il destino del nostro alter ego e della Zona stessa. Da appassionata della serie mi piace pensare che una frazione della mia storia sia simile, quantomeno per quello che riguarda la location in cui parte della mia carriera di fotografa si è svolta: la decisione di avventurarmi nella zona di esclusione di Chernobyl per la prima volta nel 2016 nacque dalla volontà di vedere con i miei occhi i luoghi di una delle più grandi catastrofi della storia umana, nonché di affrontare le paure che quell’evento mi aveva lasciato dentro. Nel 1986 avevo appena compiuto sette anni e l’incidente di Chernobyl tracciò su di me un’impronta di terrore: il timore delle radiazioni, di un nemico invisibile, di qualcosa di pericoloso che non potevo vedere ma della cui presenza ero assolutamente consapevole. Quella sensazione di ansia e inquietudine mi perseguitò per anni e così, una volta cresciuta e con il passaporto in mano, ho sentito il desiderio di visitare quel luogo: camminando fra le strade deserte di Pripyat fino a raggiungere il cuore di Chernobyl, all’interno della centrale nucleare stessa, ho potuto quindi confrontarmi con quel passato, poiché la migliore cosa da fare per sconfiggere le proprie paure è guardarle direttamente negli occhi. La notte del 26 aprile del 1986, nell’ex Unione Sovietica, il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl esplose, rilasciando radiazioni nell’atmosfera e trasformando Pripyat, un florido centro abitato sovietico, in una città fantasma. Per molti anni ho viaggiato nella Zona di Chernobyl come fotografa, attraversando foreste, carreggiate sconnesse e terreni incolti alla ricerca del vero significato di questo luogo, sempre in cammino lungo un percorso personale di scoperta e riconciliazione con un evento che ha segnato profondamente la memoria di tutti.

Chernobyl, diario dalla zona
Il silenzio assordante di un tempo infinito.

Per le vie di Pripyat, la città eterna

Visitare Pripyat è un’esperienza quasi surreale, una città fantasma sospesa in una realtà immobile. Camminando tra gli edifici abbandonati, si è immersi in un silenzio assordante, rotto solo dal vento che trapassa le finestre che cigolano e fa ondeggiare le porte arrugginite. Le strade, un tempo animate da bambini che giocavano e persone che si affrettavano al lavoro, sono ora invase dalla vegetazione. Case, scuole ed il parco dei divertimenti con la sua ruota panoramica arrugginita, tutto parla di una quotidianità troncata bruscamente. Ogni angolo di Pripyat racconta storie di abbandono, e camminare tra questi resti evoca una profonda malinconia, accompagnata dal rispetto per chi ha vissuto qui. Uno dei luoghi più affascinanti è il Palazzo della Cultura, un tempo fulcro delle attività sociali e culturali della comunità. Ora, le sue stanze sono vuote, le poltrone del teatro coperte di polvere e le pareti decorate con murales sbiaditi ma che raccontano di un passato vibrante. Gli alloggi dei dipendenti della centrale nucleare, un tempo pieni di vita e speranze per il futuro, sono ora scheletri di cemento, con ancora qualche mobilio sparso qua e là, come reliquie di una vita quotidiana spezzata di colpo. Per quanto tempo è “per sempre”? Sembra impossibile, ma a volte basta solo un secondo per rendere le cose immobili per tutta l’eternità. Questa esperienza di esplorazione e di scoperta mi collega al personaggio dello stalker nel videogioco, dove solitario si aggira tra rovine simili e si confronta con un mondo che racconta storie di un passato tumultuoso e di un presente incerto. Entrambi siamo mossi dalla voglia di scrutare l’ignoto, di comprendere ciò che è stato e di affrontare una strada incerta. Il confronto tra la mia esperienza reale e quella virtuale nella trilogia di “S.T.A.L.K.E.R.” mi ha permesso di apprezzare al massimo l’attenzione ai dettagli che gli sviluppatori hanno avuto sul gioco: ogni elemento, dalla flora che cresce selvaggia alle rovine dei palazzi, è stato ricreato con cura e attenzione per trasmettere al giocatore un senso di autenticità e immersione nella Zona. Esplorare Pripyat è un viaggio attraverso il tempo, un’avventura silenziosa in un passato interrotto, che ci invita a riflettere sugli errori dell’uomo ma anche sulla forza inarrestabile della natura. Respirando l’aria di un luogo dove il tempo si è fermato, spesso mi sono chiesta: come avrei affrontato io un simile disastro e quale eredità lasciamo alle future generazioni?

Come si presenta attualmente la control room del reattore numero 4.

Raggiungere il cuore di Chernobyl, un passo alla volta

Percorrere la Zona è un viaggio affascinante e inquietante allo stesso tempo. Una volta varcato il checkpoint che segna l’inizio di questa area di trenta chilometri di raggio dalla centrale nucleare di Chernobyl, si rimane subito colpiti dall’atmosfera sospesa e irreale. La tappa per me più significativa è stata la centrale nucleare stessa, il cuore del disastro, il cuore di Chernobyl. Entrare nella sala comando del reattore numero 4 è un’esperienza che ti scuote l’anima: le pareti e il banco di comando del reattore, ormai privato delle apparecchiature, raccontano una storia di panico e disperazione al pari della stanza dei bottoni dove tutto ha avuto inizio, dove il tempo si è azzerato ed è ancora fermo a quella notte di primavera. I miei itinerari mi hanno portata spesso ai piedi del radar Duga, conosciuto anche come “il picchio russo”: questa struttura mastodontica, usata durante la Guerra Fredda per rilevare i missili, si erge imponente e arrugginita, una reliquia del passato sovietico che domina il paesaggio circostante, enorme e grandioso nella sua perfezione geometrica, tanto da sembrare un oggetto non terrestre. C’è un silenzio assordante ovunque ma, proseguendo sulla strada che costeggia la Foresta Rossa, si può vedere come la natura abbia ripreso possesso del territorio malgrado la contaminazione del suolo: tutto qui è ridotto in macerie sparse su una regione intossicata, ma la vita è così forte che attraversa anche i muri pur di farsi notare. Vicino alla stazione dei treni di Yaniv, i binari arrugginiti e i vagoni abbandonati raccontano di un tempo in cui la vita scorreva regolare, mentre adesso sono fantasmi rugginosi di una precedente esistenza in movimento, linee parallele che corrono verso l’orizzonte sfuggendo dalla mia vista per poi perdersi al di là delle terre di confine. Ogni singola struttura è un frammento di una storia spezzata all’improvviso, e camminare tra questi resti è come sfogliare un libro di memorie. La piscina Lazurny è un luogo che tocca le corde dell’anima: un tempo luogo di svago e relax, ora è solo una grande vasca in rovina, con vetri e piastrelle rotte che riflettono il degrado e l’abbandono. Immaginare i giovani che una volta nuotavano qui rende il silenzio attuale ancora più pesante, mentre il Pripyat Café, un tempo punto di ritrovo per i cittadini, è ridotto a una stanza vuota ricoperta di polvere, ma, con la bellezza della luce del mattino che filtra dai vetri colorati delle sue finestre, riesco a sentire un profumo silenzioso, di polvere e ricordi persi nel tempo, e intravedo l’eternità in un giorno, come se mi trovassi in una moderna Pompei di fine millennio. Amo questo luogo, così come amo tutta la Zona. Qui c’è qualcosa di magico che non si può spiegare con semplici parole.

Nel villaggio di Zalyssia, situato all’interno della Zona di esclusione, il tempo è rimasto immobile e non riprenderà a scorrere mai piú.

Alla fine di tutte le strade, dove nascono i fiori

Riflettendo su quello che ho visto con i miei occhi e sulle esperienze che ho vissuto in prima persona nella Zona, mi rendo conto dell’importanza di un’esperienza realistica nei videogiochi. I vari episodi di S.T.A.L.K.E.R. sono riusciti a catturare la vera essenza di questa terra, non solo attraverso una rappresentazione fedele dei luoghi, ma anche mediante la trasmissione delle emozioni che questi luoghi evocano. Ho viaggiato nella Zona per ben cinque anni della mia carriera di fotografa, e durante tutte le mie esperienze in questa terra estrema ho avuto anche io la fortuna di avere delle “guide” che mi hanno accompagnata: ho incontrato persone straordinarie che hanno arricchito le mie esperienze e la mia persona, come Alex, una delle guide locali nonché nipote di uno dei liquidatori. È stato lui a condurmi numerose volte nella Zona e, grazie alla sua profonda conoscenza del luogo e alle storie che raccontava, ha dato vita agli edifici abbandonati e ai sentieri invasi dalla vegetazione, soffermandosi su dettagli tanto incantevoli quanto angosciosi e trasformando ogni viaggio all’interno di quell’area in un’avventura unica. Ho avuto il grande onore di lavorare per diversi anni alla ricostruzione della sequenza temporale di quei tragici eventi assieme ad alcuni dei liquidatori di Chernobyl, quegli eroi silenziosi che hanno rischiato la vita per contenere il disastro: ascoltare le loro storie, sentire il peso delle esperienze che hanno vissuto e delle ferite fisiche ed emotive che portano dentro, ha aggiunto una dimensione profonda e personale alla mia comprensione della tragedia. Le emozioni, il senso di desolazione e la malinconia sono stati profondi, ma sono riuscita a percepire anche un monito nella natura che si riprende ciò che l’uomo ha distrutto e poi abbandonato. Da ogni tragedia prima o poi nascono i fiori, e il solo fatto che questi segni di speranza li abbia potuti scorgere su una terra avvelenata fa riflettere, ma neanche troppo: è sempre sul fondo di tutte le cose che si trovano i rottami della rinascita.

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