L’originale Wizardry ha debuttato per la prima volta su Apple II nel 1981 e da allora è stato considerato un pilastro fondamentale per moltissimi giochi di ruolo. Quella che ho avuto modo di provare non è una semplice rivisitazione nostalgica, ma un remake ben ponderato e concepito per salvaguardare l’esperienza di base aggiornandone l’accessibilità per un pubblico attuale. Ho potuto quindi soffermarmi tra le opzioni “old school” per configurare la mia avventura con il giusto equilibrio tra antico e moderno, privandomi intenzionalmente di facilitazioni quali l’auto mapping per provare di nuovo il brivido di tracciare i miei progressi su un foglio di carta, ma approfittando di qualche comfort inedito come le funzionalità aggiuntive della locanda e del tempio.
Wizardry: un amichevole gruppo di orchi vi dà il benvenuto!
All’inizio del gioco, ci ritroviamo in un villaggio che funge sia da centro direzionale che da menu operativo. Una simile configurazione aiuta a semplificare attività come la gestione del gruppo, il riposo e l’equipaggiamento, centralizzando tutti gli elementi essenziali senza la necessità di scartabellare fra molteplici liste di opzioni. Possiamo scegliere di iniziare con un gruppo preconfezionato di esploratori di livello 2, un’alternativa utile per chi non ha familiarità con le meccaniche, oppure creare il nostro gruppo da zero alla taverna di Gilgamesh o presso il campo di addestramento. La generazione dei personaggi è semplice e accattivante se abbiamo familiarità con le procedure analoghe presenti nei giochi di ruolo cartacei, in particolar modo Dungeons & Dragons: ci viene offerta la facoltà di scegliere tra varie razze come umani, elfi, nani, gnomi e halfling, ciascuna dotata di caratteristiche iniziali specifiche grazie alle quali potremo accedere ad una classe di base, tra cui guerriero, mago, sacerdote e ladro. La personalizzazione estetica è invece limitata: sono presenti diversi ritratti preimpostati, ma manca la possibilità di creare o caricare le proprie illustrazioni, il che potrebbe essere una delusione per tutti coloro che ricercano un tocco individuale più spiccato. L’esplorazione del labirinto è il vero fulcro di Wizardry, una struttura sotterranea multiforme piena di trappole e magie che possono disorientarci o teletrasportare il gruppo in giro quando meno ce l’aspettiamo. A parte le sfide di orientamento, la caratteristica della cartografia automatica che deve tracciare di nuovo l’intero percorso ogni volta che usciamo e rientriamo nel dedalo aggiunge un ulteriore livello di affascinante intricatezza, ma può venire a noia dopo un po’.
MAPIRO MAHAMA DIROMAT!
I combattimenti possono essere brutali: il gioco impiega un sistema a turni in cui possiamo scegliere di attaccare, difenderci, lanciare incantesimi o tentare di fuggire. L’elemento strategico è marcato e dispone i contendenti tra prima linea e retrovia, un sistema che richiede il posizionamento ponderato dei personaggi in base al loro ruolo. La posta in gioco è alta e i personaggi possono morire con estrema facilità, anche se la resurrezione può essere tentata presso il tempio del villaggio. Pur essendo splendidamente orchestrata, la partitura musicale può inizialmente risultare fastidiosa, dunque regolare il volume prima di iniziare è quasi obbligatorio. Da un punto di vista tecnico, l’inclusione di cinque slot di salvataggio offre una certa flessibilità nel gestire diversi approcci di gioco o nel testare varie strategie senza sovrascrivere i progressi. Inutile girarci intorno, la sfida proposta da Wizardry è ardua e senza (troppi) compromessi. Anche in chiave moderna e “smussata”, non semplifica più di tanto l’ingresso dei novizi ma li getta nelle profondità dei suoi cunicoli oscuri e infestati, dove la curva di apprendimento può essere parecchio ripida per chi è abituato a esperienze di gioco più guidate e clementi. Qui non troveremo tutorial o suggerimenti esaustivi e saremo piuttosto costretti a procedere per tentativi ed errori, un tratto distintivo dei giochi dell’epoca. La necessità di accumulare livelli nel labirinto per potenziare il proprio gruppo e avere qualche probabilità di sopravvivenza è un’aggravante supplementare, un processo che può risultare monotono e che potrebbe non incontrare il gusto di tutti. Inoltre, l’avanzamento dei singoli personaggi può variare, poiché alcune classi richiedono più punti esperienza di altri, il che porta a livelli non uniformi e al bisogno di una meta pianificazione molto oculata. Chi è alle prime armi dovrebbe progredire con estrema cautela: all’inizio è praticamente fondamentale raccogliere il maggior quantitativo di esperienza possibile, poiché siamo destinati ad una fine tanto precoce quanto ineluttabile se cercheremo di spingerci da subito troppo a fondo. Dovremo pertanto affrontare al massimo un paio di battaglie, guadagnare l’uscita verso villaggio per riposarci e curare le ferite, magari migliorare l’equipaggiamento e ricominciare la discesa, finché non raggiungeremo il perfido mago che si annida tra le viscere del suo antro per porre fine alle sue malefatte, un’impresa ancora oggi molto più facile da compiere in teoria che in pratica.
Conclusioni
Il remake dell’originale Wizardry è assolutamente rispettoso delle sue radici e garantisce un’esperienza nostalgica e punitiva. Sebbene un approccio più indulgente, e magari qualche contenuto aggiuntivo, sarebbe stato preferibile in particolar modo per i neofiti, rimane comunque una soddisfacente miscela di tradizione e complessità.
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