L’Ultima Parola – V mensile: Il futuro è il management

Continuano a susseguirsi più o meno incessanti le dichiarazioni rilasciate da ex figure di spicco del jetset videoludico e attuali CEO facenti capo alle compagnie più ricche del settore: battendo i rintocchi di un triste timer che annuncia una resa dei conti sempre più vicina per l’economia dell’industria, ognuno di essi ci prospetta futuri prossimi inquietanti in cui i videogiocatori saranno chiamati a rivoluzionare il loro modo di vivere il medium.

Dovessero verificarsi soltanto la metà delle profezie che abbiamo raccolto in questi giorni, dovremmo tutti abituarci il prima possibile a fare i conti con un mercato totalmente digitalizzato, in cui saremmo soltanto proprietari della licenza di utilizzo dei titoli che acquistiamo… Una licenza che, come tutte le altre, rappresenta un qualcosa di aleatorio, che può evaporare o scadere non appena il suo effettivo titolare dovesse ritenerla insostenibile. 

Allo stesso tempo si vocifera di un massiccio incremento di politiche commerciali volte non più a fidelizzare i propri acquirenti, bensì a consolidare uno stuolo di seguaci che si relazionino al brand come fedeli a un culto religioso.

Ci viene chiesto, in altre parole, di radicalizzare la nostra posizione nei confronti delle aziende che supportiamo, spingendo il cultismo notoriamente legato a brand come Apple, Lego o Nintendo a nuove vette di estremismo. L’obiettivo di questo approccio sarebbe quello di formare una nuova clientela che acquisti rigorosamente in digitale i prodotti di una data azienda a prescindere da un reale interesse o dalla rispettiva utilità, un po’ come accade per tutti coloro che continuano ad accumulare iPhone su iPhone in modo compulsivo e totalmente slegato dalle reali necessità.

Scrutando l’oscuro orizzonte di un mondo che rievoca molto da vicino i romanzi di William Gibson, viene facile ipotizzare che la figura del semplice acquirente verrà sostituita da quella dell’unità corporativa che accumula serialmente beni incorporei, riponendo cieca fiducia in un’esistenza certificata soltanto da una gamertag.

Per agevolare il concretizzarsi di questo scenario, sarà imperativo eliminare dall’equazione economica il mercato retail e non soltanto nella sua declinazione software, ma anche sotto il profilo hardware: tradotto in termini pratici, le console devono sparire al più presto possibile in quanto la loro presenza fisica nelle nostre case potrebbe comportare margini di indipendenza di cui il gamer 3.0 non dovrà disporre.

Una volta eliminato l’ultimo ostacolo, la digitalizzazione dell’utente potrà dirsi completa e la sua fede nel brand finirà per trasformarsi in una drammatica dipendenza, rea di spingerci ad accettare ogni compromesso possibile – da bombardamenti pubblicitari ad abbonamenti sempre più esosi e strategie affini – pur di continuare a usufruire di un mezzo altrimenti inaccessibile.

Mi rendo conto che questa riflessione presenti una dimensione quasi fantascientifica, ma mi trovo costretto a sottolineare che essa non è altro che l’appendice a tutta una serie di dichiarazioni esternate con sconcertate naturalezza da chi muove i fili della nostra industria. 

Una parte di me vorrebbe credere che si tratti solo di iperboliche chiacchiere tra miliardari, ma, a ben vedere, la via che sta imboccando un numero sempre maggiore di aziende sembra condurre proprio a questa distopia commerciale, la cui parola chiave non può che essere “management”. Vi ricorda qualcosa?

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Attivamente Impegnato nel settore editoriale dal 2003, ha scritto per le più note riviste videoludiche italiane, concentrandosi spesso nell'area Retrogaming. Dopo aver pubblicato il saggio Storia delle Avventure Grafiche: l’Eredità Sierra, svolge ruolo di docente presso l’Università degli Studi Link Campus di Roma in collaborazione con la Vigamus Academy rivestendo, in parallelo, la carica di Vice Direttore del mensile multipiattaforma V.