Sam Lake: L’artista finlandese che ha portato la mitologia norrena, il cinema, il noir e le tecniche delle serie televisive nei titoli di Remedy
Nella maggior parte dei casi, gli autori videoludici si limitano a calcare le collaudate orme dei loro predecessori. Non che sia un male. Molti buoni titoli sono stati sviluppati così. Poi ci sono gli artisti che con la loro genialità e versatilità prendono in mano le regole, le riscrivono e spesso le stravolgono, lasciando così un segno importante nella storia videoludica e una fonte di ispirazione per i loro colleghi. Per fortuna non sono pochi. Vengono in mente nomi come Ron Gilbert, Sid Meier, John Carmack e Sam Lake.
Sami Antero Järvi nasce nel 1970 a Helsinki, in Finlandia. Una nazione che, in quegli anni, ha dato i natali a una lunga lista di artisti. Di natura curiosa sin da bambino, ben presto inizia a divorare libri, fumetti, film e tutto quel che riesce a nutrire la sua mente. All’età di dodici anni si appassiona alla saga del Signore degli anelli e ai poemi norreni, al punto che inizia seriamente a pensare di dedicarsi alla carriera di professore di mitologia. La prima svolta nella sua vita avviene quando si fa regalare il suo primo computer: un Commodore 64. Sulla piattaforma, appena uscita sul mercato, Sami inizia a provare vari generi fino a trovare il suo preferito: i giochi di ruolo. Con una predilezione per la serie di Ultima. Da lì ha le idee sempre più chiare. Dopo una parentesi accademica all’università di Helsinki dove, fedele ai suoi primi interessi, studia lingua e letteratura inglese, il destino bussa di nuovo alla sua porta. Petri Järvilehto, suo amico di lunga data e fondatore di Remedy Entertainment, lo vuole nella sua azienda e Sami, impressionato dalle potenzialità artistiche dell’ambiente videoludico, decide di accettare.
Sfruttando la sua abilità narrativa e i suoi studi, nel 1996 scrive i testi di Death Rally, ma nello stesso tempo getta le basi di un obiettivo più ambizioso, conosciuto come Dark Justice. Dopo aver tradotto in inglese il suo nome, diventando così Sam Lake, il geniale artista si getta interamente nel nuovo progetto, aiutando a pianificarne le ambientazioni e scrivendone la trama, per la quale crea un insieme originale di mitologia norrena, hard-boiled, letteratura e Graphic Novel. Il budget è limitato, al punto che Sam, per non pesare troppo sulle finanze di Remedy, decide di coinvolgere i programmatori dell’azienda, gli amici e i parenti nel cast. Fa di più: lui stesso presta il volto al protagonista, e convince la madre a fare lo stesso per l’antagonista, Nicole Horne. Lake non lo sa ancora ma, più o meno in quegli stessi anni, c’è un altro artista poco più grande di lui e altrettanto geniale e visionario, che dall’altra parte del mondo, in Giappone, sta riscrivendo le regole videoludiche.
Dopo cinque anni di lavori, Dark Justice viene pubblicato con il nuovo titolo di Max Payne e si rivela subito un successo, sia di critica che di pubblico, arrivando a vendere cinque milioni di copie. Complici anche le affascinanti meccaniche che, per la prima volta nell’ambiente videoludico, si affidano alla tecnica del bullet time, poi ripresa da molti altri sviluppatori. Ma lui e i suoi colleghi decidono di non riposare sugli allori. L’azienda vende la proprietà intellettuale di Max Payne a Take Two Interactive per 10 milioni di dollari, e firma subito un contratto per sviluppare il seguito. I soldi, quindi, non sono più un limite. Sam può quindi permettersi di sfogare la sua abilità letteraria, e mette insieme una affascinante e complessa trama noir. In questa occasione non presta le sue sembianze al protagonista, affidando il ruolo all’attore Timothy Gibbs, ma riesce comunque a infilare la sua faccia in vari cameo sparsi per l’avventura. Il titolo, uscito nel 2003 con il sottotitolo di The Fall Of Max Payne, pur non replicando il successo del predecessore, conferma ancora una volta l’artista finlandese come uno dei migliori nel suo campo.
Ma Remedy, finora, ha scoperto solo una parte del talento del suo sceneggiatore. Tre anni dopo, Lake già inizia a pensare a qualcosa di molto più profondo e complesso delle avventure di Max Payne. Attinge ai suoi numerosi interessi, e all’impressionante collezione di libri e DVD negli uffici dell’azienda, prende qualcosa anche dai romanzi di Stephen King e dalla saga televisiva di Twin Peaks. Nasce così Alan Wake. Il titolo esce dopo una lunga gestazione (7 anni) come esclusiva per PC e Xbox 360. A questo giro la critica si divide, tra chi la definisce un’avventura discreta, e chi afferma che si tratta di un altro bel colpo da parte di Lake. Ma non è un problema per Remedy, dal momento che, pur impiegando qualche anno, Alan Wake arriva a vendere 4 milioni di copie.
Lake, come al solito, rimette subito al lavoro la sua abilità letteraria. Butta giù alcune bozze per un ipotetico sequel di Alan Wake, che diventeranno il DLC American Nightmare, e inizia a pensare a qualcosa di ancora più complesso. Ma l’attuale potenza delle piattaforme non glielo permette ancora. Nel frattempo collabora a quattro mani con Dan Houser per scrivere la trama di Max Payne 3. Il nuovo titolo esce nel 2012, sviluppato da Rockstar Games (già distributore dei primi due capitoli) e si conferma come un ennesimo successo, accolto con favore dalla critica. Nel frattempo Lake, forse per scaramanzia o semplicemente perché si diverte molto, mantiene l’abitudine di recitare vari altri cameo all’interno dei titoli di Remedy.
L’anno seguente viene annunciata la nuova piattaforma di Microsoft, la Xbox One, insieme a un nuovo titolo, questa volta di genere fantascientifico. È l’occasione, per l’artista finlandese, di sfogare finalmente il suo vero potenziale. Mette insieme un esperimento videoludico mai visto prima, un’avventura metanarrativa dalle meccaniche complesse e originali che si intreccia con una serie televisiva, presente all’interno dello stesso titolo, in cui le scelte del giocatore si ripercuotono sia sull’una che sull’altra. In questa occasione, per la prima volta da quando lavora per Remedy, non scrive la sceneggiatura, ma si limita a supervisionarla, oltre a ideare la trama di base e il concept.
Vista l’importanza del progetto, vengono coinvolti attori professionisti come Shawn Ashmore, Aidan Gillen, Dominic Monaghan e Lance Reddick. Esce così, nel 2016, Quantum Break, ancora oggi considerato uno dei migliori titoli nel suo genere.
Ormai è abitudine, per Lake, di mettersi al lavoro su un nuovo progetto ben prima che sia uscito quello precedente. Quantum Break, infatti, non fa in tempo ad arrivare sugli scaffali (o negli store online) che l’artista ha già gettato le basi per un altro titolo, conosciuto come Project 7. Ancora una volta decide di affidarsi a molte e diverse fonti di ispirazione, inclusa una sorta di fittizia organizzazione segreta online, realmente esistente e conosciuta come SCP Foundation, che raccoglie vari racconti collettivi di genere horror. Nel 2019, Project 7 cambia nome e diventa Control. A differenza degli altri lavori di Lake, questa avventura non si distingue per una trama profonda e complessa, ma lascia ai giocatori la libertà di formulare varie teorie, anche grazie a meccaniche che favoriscono un’alta rigiocabilità.
Qualche anno dopo la potenza dei processori aumenta ulteriormente ed escono le nuove piattaforme di Sony e Microsoft. Remedy decide di approfittarne e affida a Lake, ormai considerato il Re Mida dell’azienda, la direzione e la scrittura del seguito di Alan Wake. L’artista, aiutato da altri colleghi, crea un’ambientazione ancora più affascinante e intrecci narrativi complessi, oltre che affidarsi al consueto insieme di titolo videoludico, serie televisiva e letteratura. L’avventura esce nell’ottobre del 2023 e ottiene un ottimo riscontro, pur attirandosi alcune, sterili critiche causate dal fatto che è disponibile solo in versione digitale. Scelta dovuta alla necessità, per gli sviluppatori, di mantenere basso il prezzo.
Arriviamo così all’aprile del 2024. Lake è ormai uno dei miglior artisti videoludici in circolazione. Si trova a Tokyo, e decide di fare un salto da Hideo Kojima nei suoi studi di produzione. I due ne approfittano per prendersi un caffè insieme. Ma Lake, visionario, versatile e geniale al pari di Kojima, nota che il suo collega ha iniziato a osservare il suo volto. Tempo pochi minuti, e si ritrova seduto in mezzo a un complesso macchinario per scannerizzare i suoi tratti somatici, circondato da varie macchine fotografiche. Sa bene che Kojima si sta dedicando a ben tre progetti e ha l’abitudine di infilare i volti delle persone nei suoi titoli. Forse lui, Lake, finirà proprio in Death Stranding 2.
Hideo Kojima: tra innovazione, genialità ed entusiasmo, Kojima ha riscritto le regole videoludiche di Konami e creato alcuni tra i migliori titoli di sempre.
Il Giappone sta all’ambiente videoludico come Hollywood sta a quello cinematografico. La mole di game designer, piattaforme, ottimi titoli e idee geniali partorite dal paese del Sol Levante basterebbe, da sola, a riempire interi volumi. Ma alcuni artisti spiccano più di altri, al punto che i loro nomi sono ormai legati alla storia videoludica. Come Hidetaka Miyazaki, Shigeru Miyamoto e Hideo Kojima e altri. Persone che non si limitano a mettere insieme semplici prodotti di consumo, ma creano opere e generi che spesso riscrivono il genere di riferimento, oltre a rappresentare la fortuna economica degli sviluppatori.
Kojima nasce in piena estate a Tokyo, ma affronta ben presto una vita di trasferimenti. Quando ha tre anni, la sua famiglia si sposta nel Giappone occidentale per seguire il padre Kingo, che lavora per un’azienda farmaceutica. L’uomo morirà dieci anni dopo, e i Kojima riprenderanno a trasferirsi in varie zone del paese, fino a stabilirsi a Kawanishi, nella prefettura di Hyōgo. La mentalità giapponese dell’epoca vuole che i ragazzi studino e si diano da fare per trovare un posto di lavoro socialmente accettabile, ma il giovane Kojima è diverso. Di animo solitario e dotato di una mente artistica, inizia presto a scrivere dei racconti, che si rivelano troppo lunghi (più di 400 pagine) per gli standard editoriali delle riviste.
Per venire incontro, almeno in parte, alle norme sociali del suo paese si iscrive all’università di Komazawa ma, tra una lezione universitaria e l’altra, inizia interessa di videogiochi. La prima svolta nella sua vita avviene quando si procura un Nintendo Entertainment System, dove passa il suo tempo libero, in particolare con i primi titoli della saga di Super Mario. Sono gli anni ’80, ancora pionieristici per l’ambiente videoludico, ma Kojima capisce subito due cose: che quel settore ha enormi potenzialità, e che quella è la sua strada nella vita. Esce dall’università con una laurea in economia e inizia a bussare a molte porte, ma le sue idee sono troppo innovative e complesse per l’epoca. Riesce comunque a entrare in Konami, svolgendo ruoli minori nello sviluppo di alcuni titoli. L’occasione arriva nel 1987, quando Kojima ha appena 24 anni. Viene assegnato a un nuovo progetto dell’azienda giapponese, conosciuto come Metal Gear. L’artista capisce che è il suo momento e si getta anima e corpo nel lavoro. La sua è una visione che abbraccia varie fonti, dal cinema fino alla letteratura. Decide quindi di ispirarsi a film come Terminator e La grande fuga per ideare un titolo dalla trama complessa. Già che c’è, decide di ignorare le meccaniche dei titoli dell’epoca, e progetta un gameplay molto sofisticato, introducendo anche, per la prima volta nell’ambiente videoludico, il concetto di stealth. Il titolo si rivela subito un successo, facendo intuire a Konami le potenzialità del suo game designer. Ma Kojima non è tipo da riposare sugli allori. Già l’anno successivo si mette di nuovo al lavoro. Influenzato dal film Blade Runner, abbandona le meccaniche di Metal Gear e si affida a quelle di un punta e clicca. Il risultato è Snatcher, un’avventura grafica di ambientazione cyberpunk e dal gameplay originale, che riscuote subito un notevole successo, al punto che ancora oggi viene considerato uno dei migliori nel suo genere. Kojima non lo sa ancora, ma nello stesso periodo un altro artista, poco più giovane di lui e altrettanto geniale e visionario, sta riscrivendo le regole videoludiche dall’altra parte del mondo, in Finlandia.
Passata la parentesi da avventura grafica, si dedica subito al secondo capitolo di Metal Gear, con il sottotitolo di Solid Snake. In questa nuova opera, viene introdotta una trama ancora più complessa e una migliore caratterizzazione dei personaggi, grazie anche alla presenza di parti esclusivamente narrative che affrontano il tema della guerra da un punto di vista filosofico e umano. Nell’occasione, grazie anche ai consigli di Kojima, viene anche migliorata l’intelligenza artificiale degli avversari e le meccaniche, che includono l’abilità di strisciare e la presenza del radar.
La sua reputazione è ormai lanciata, sia all’interno dell’azienda sia nell’ambiente videoludico in generale. Ma le limitate capacità dei processori dell’epoca sono ancora un ostacolo alla sua creatività, e dovrà attendere la metà degli anni ’90 per poter finalmente dare sfogo alle sue visioni.
Nel 1994 torna alle avventure grafiche e alla fantascienza con Policenauts che, come ormai sembra essere la regola per Konami, ottiene subito un immediato successo. Purtroppo, il titolo rimane limitato al mercato giapponese. Bisognerà aspettare quindici anni, prima che una squadra di fan realizzi un’ottima traduzione in inglese. Nello stesso anno avviene una svolta nel settore videoludico. Sony commercializza la sua prima PlayStation, una piattaforma che segna, soprattutto dal punto di vista tecnico, un netto distacco dalle precedenti.
Kojima ne intuisce subito le potenzialità e inizia a dedicarsi a una nuova opera e, per farlo, sceglie la saga che lo ha reso famoso. Nasce così Metal Gear Solid. I nuovi processori permettono eccellenti sviluppi, sia dal punto di vista grafico che di meccaniche, e Konami decide di approfittarne introducendo vari elementi originali. Molti giocatori ricordano ancora oggi la necessità di cambiare la porta di collegamento del pad per sconfiggere Psycho Mantis e aggirare la sua capacità di leggere nel pensiero per protagonista. Ma l’artista e i suoi colleghi si sentono spaesati, almeno all’inizio. Per la prima volta hanno la possibilità di creare, in modo efficace, un’ambientazione interamente tridimensionale. Vista la mole di lavoro artistico, Kojima viene affiancato dal giovane art director Yoji Shinkawa, che poi diventerà uno dei più fidati illustratori dell’azienda. L’aspettativa per il nuovo titolo, complice anche l’annuncio all’E3, è molto alta.
Metal Gear Solid esce nel 1998 e incontra subito un incredibile successo, sia di critica che di pubblico, segnando uno dei momenti più alti della carriera di Kojima. Diventa ben presto una killer application, una di quelle opere in grado, da sole, di generare buona parte delle vendite di una piattaforma. Visti i risultati, l’artista rivestirà poi ruoli importanti in tutti i successivi episodi della saga che, in parallelo con l’evoluzione delle piattaforme, diventerà sempre più complessa e affascinante. Già che c’è, si ritaglia un ulteriore ruolo all’interno dell’azienda. Presta infatti il suo volto per vari personaggi, che appaiono in cameo all’interno dei titoli Konami. Un’abitudine che, forse per scaramanzia o semplicemente perché si diverte molto, manterrà nel corso degli anni.
A cavallo tra la fine degli anni ’90 e il nuovo millennio si dedica a una lunga lista di titoli che, da sola, basterebbe a riempire le carriere di una decina di suoi colleghi. Senza trascurare il franchise che lo ha reso famoso, Metal gear, passa dal genere sparatutto con Zone Of The Enders fino ai simulatori di appuntamenti con la saga di Tokimeki Memorial. Nel 2012, il presidente di Konami gli chiede di dirigere un nuovo capitolo della serie di Silent Hill, che in effetti inizia a diventare ripetitiva. Kojima, ovviamente, decide di fare di testa sua e stravolge tutte le regole della saga. Il risultato è una sorta di demo gratuita per PlayStation 4, chiamata P.T. (Playable teaser). Si inventa persino una società fittizia, 7780s Studio, collegata al titolo, per poi rivelare che dello sviluppo si occuperà la sua nuova azienda, la Kojima Productions. Il suo è un progetto ambizioso, dal quale dovrebbe nascere Silent Hills. Coinvolge persino il regista Guillermo Del Toro, il musicista Akira Yamaoka (storico compositore della saga) e l’attore Norman Reedus. Purtroppo, a causa di dissidi tra Konami e Kojima, l’intero progetto viene annullato, e la demo ritirata dagli store.
È il 2015 e l’artista, dopo la scissione da Konami, si dedica al primo titolo per la sua casa di produzione. Torna alla fantascienza, richiama accanto a sé Reedus e Del Toro (insieme a vari altri attori) e stravolge per l’ennesima volta le regole del gameplay. Quattro anni dopo esce Death Stranding. Il titolo, pur ricevendo lodi per l’innovazione e per il comparto tecnico, raccoglie anche qualche critica per le meccaniche e la trama.
Arriviamo così all’aprile del 2024. Kojima è ormai considerato, da anni, uno dei migliori artisti videoludici in circolazione. Si sta dedicando a ben tre titoli: Death Stranding 2, OD (conosciuto anche come Overdose) e Physint (seguito spirituale di Metal Gear). Si trova negli studi della sua azienda, a Tokyo, quando passa a trovarlo un suo omologo finlandese, Sam Lake. Kojima ne approfitta per fargli fare un giro dei suoi uffici ma, mentre bevono un caffè, inizia a osservare il volto del collega. L’artista giapponese ha l’abitudine di scannerizzare le sembianze di molte persone che passano nella sua sede, per poi inserirle nei suoi lavori. Questione di minuti, e trascina Lake all’interno di un complesso macchinario per la memorizzazione dei tratti somatici. Quel volto lo vedrebbe bene in Death Stranding 2.
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