Non me la sono mai sentita di inquadrare il progetto Hellblade come un videogioco nel senso stretto del termine. Benché presenti un’intelaiatura di base che tiene fede ai precetti dell’ars videoludica, resto tutt’oggi convinto che dovremmo rapportarci ad esso più come ad un’esperienza narrativa dinamica mirata ad esplorare i meandri più oscuri della mente umana, con specifico riferimento a una patologia di estrema complessità quale la psicosi. Sotto questo punto di vista, la componente puramente interattiva del prodotto, declinata ora nella risoluzione di semplici enigmi contestuali, ora in combattimenti dalle meccaniche basilari, finisce per rivestire un ruolo relativamente marginale, lasciando spazio all’esplorazione di quell’agghiacciante groviglio di allucinazioni, paracusie e ossessioni maniacali che alimentano i disordini mentali della sua protagonista. Onde evitare sconvenienti malintesi, è in tal senso cruciale che chiunque si senta attratto dalla Saga di Senua in virtù delle fascinose suggestioni norrene che ne caratterizzano l’ambientazione, comprenda subito che lo scopo di Ninja Theory non è, né è mai stato, quello di realizzare un ipotetico God of War dal taglio più intimista, bensì di sfruttare la possente epica della mitologia scandinava per analizzare di un tema molto più attuale e tangibile di quanto non ci piaccia ammettere.
Hellblade II: le Voci del Padrone
Vi avranno detto in tutti i modi e in tutte le salse che la freccia più lucente nella faretra di Hellblade II sia il suo impatto scenico e non sarò certo io a sostenere il contrario. Quello che, però, non tutti hanno avuto la premura di sottolineare è che, incredibile a dirsi, il vero miracolo operato dai Ninja Theory non è di natura grafica, ma innanzitutto sonora. Prim’ancora di abbandonarvi alle meraviglie tecniche che contraddistinguono l’esperienza visiva di questo titolo, vi pregherei pertanto di ascoltarlo perché è proprio dall’alchimia dei suoni, dal continuo sovrapporsi di voci a volte rassicuranti, più spesso inquisitorie o semplicemente enigmatiche, che il dramma di Senua trova lo slancio per trascendere i tradizionali confini del medium ed ergersi ad opera multimediale. Privata dell’incessante tappeto di stimoli, sussurri e riflessioni che ne scandiscono il dipanarsi, questa Odissea sarebbe rimasta difatti intrappolata entro i termini del semplice spettacolo estetico, finendo molto probabilmente per disperdere il suo immane potenziale concettuale in un ordinario sfoggio di maestria tecnica. Assieme ad altre scelte di matrice strutturale che, come vedremo tra poco, tracceranno una spessa linea di demarcazione tra ambizioni narrative e la pratica essenza di un “semplice” videogame, lo sforzo profuso dagli sviluppatori per impedire che Hellblade II si limitasse ad essere solo un prodigio da mostrare agli amici, assume connotati eroici: data la qualità del materiale grafico a disposizione, non tutti gli sviluppatori avrebbero infatti resistito alla tentazione di annacquare il greve tono dell’intera esperienza in modo da renderla più appetibile alle masse…
L’essenziale
Questa nobile volontà di restare fedeli ai princìpi di base del primo Hellblade, si evince soprattutto in ambito gameplay, dove Ninja Theory rivendica con fare quasi provocatorio le peculiari scelte di game design operate in passato. In barba ad ogni legittima critica mossa illo tempore da chi trovò il sistema di gioco troppo elementare e quasi a sbeffeggiare coloro che avevano addirittura derubricato il tutto a sterile “walking simulator”, il nuovo capitolo della Saga pare farsi addirittura un vanto della propria eredità strutturale. Detto approccio favorirà, inevitabilmente, la riproposizione della medesima intelaiatura enigmistica a sfondo ambientale che vedrà la giovane chiamata ancora una volta a rintracciare simboli e rune nella natura circostante per accedere a determinati sentieri: un format pratico e collaudato, cui andranno ciclicamente amalgamandosi sequenze all’arma bianca dal taglio altrettanto essenziale. Nel sottolineare una certa tendenza a indugiare sui dettagli più violenti, sanguinari e viscerali di scontri dall’elevato impatto scenico, va senz’altro evidenziato che il combat system presenta un sensibile affinamento delle meccaniche di base: laddove in passato si aveva la netta impressione che il tutto si riducesse ad una mera questione di tempismo, oggi si avverte infatti la possibilità di incidere maggiormente sullo sviluppo della contesa, il cui sviluppo risulta a tratti più incisivo e coinvolgente. Tuttavia, da qui a sottintendere che vi sia spazio per l’adozione di vere e proprie strategie d’approccio ce ne passa, anche perché oggi come allora il modello di interazione resta palesemente legato ad evidenti scriptature. Sono consapevole del fatto che questa caratteristica scoraggerà molti degli utenti cresciuti giocando a titoli che ponevano particolare enfasi sulla versatilità del modello di combattimento, ma è proprio in virtù di essa che Hellblade II esprime la propria unicità: lo scopo dei suoi autori rimane dopo tutto quello di porre gli scontri al servizio della narrazione, piuttosto che sfruttare quest’ultima quale semplice background teso a giustificarli.
Hellblade II: mens insana in corpore sano
Come ormai ben saprete, sotto il profilo puramente tecnico ci troviamo di fronte ad un affresco di rara intensità, che eleva verso nuove vette qualitative gli standard di fotorealismo cui ci aveva abituati l’attuale generazione di sistemi. Declinata in poligoni e texture con somma perizia, la straordinaria performance attoriale fornita da Melina Juergens, va in tal senso a delineare il profilo del personaggio videoludico più espressivo e credibile che si sia mai visto fino ad oggi. Allo stesso tempo, gli scenari che la circondano finiscono spesso per evocare tratti da kolossal cinematografico, in cui è tra l’altro possibile rintracciare suggestioni care a dipinti che ci si aspetterebbe di trovare in un Museo. Supportato da un sapiente uso delle fonti di illuminazione, nonché da un ampio ventaglio di effetti volti a catturare le alterazioni proprie di un mondo rappresentato non per come apparirebbe agli occhi di un individuo comune, bensì per come venga percepito da Senua, il lavoro di Ninja Theory si completa tra le pieghe un universo di gioco che andrebbe quasi considerato, a sua volta, come creatura vivente: un essere meraviglioso e terribile le cui forme, ora armoniose, ora raggelanti paiono contorcersi di continuo, nel tentativo di assecondare l’immaginario distorto della giovane donna. Quello che molti non esiteranno a inquadrare come un spaccato di pura arte videoludica, presenta anche in questo caso accezioni che potrebbero lasciare interdetto chiunque cerchi un’esperienza dal taglio più articolato: per quanto affascinante ed immaginifico, l’itinerario che condurrà Senua al fulcro delle sue ossessioni presenta difatti una marcata linearità, rea di ridurre al minimo sindacale ogni opportunità esplorativa che non sia strettamente legata alla risoluzione degli enigmi. Benché mi sarebbe piaciuto godere di maggiore libertà di spaziare lungo gli scenari, ritengo nell’ottica di un’opera concepita ed elaborata per asservire scopi più narrativi che strumentali, detta caratteristica non costituisca necessariamente un difetto: le esigenze del copione e le rispettive manifestazioni sceniche sono del resto tali da rendere superfluo, se non addirittura inadeguato, mappe dal respiro più ampio. Dato che non tutti gli utenti saranno legittimamente disposti ad accettare un compromesso del genere, questo dettaglio va in ogni caso evidenziato, pena l’alimentazione di aspettative che Ninja Theory non può e, soprattutto, non vuole soddisfare. Identificandosi sin dalle prime battute, quale naturale evoluzione del suo predecessore, Hellblade II si delinea, in ultima analisi, come un allucinante viaggio nel lato oscuro della mente, lungo il quale soluzioni di gameplay tanto accennate quanto funzionali, non fungono che da corollario ad una cruda esposizione alle manifestazioni più sconcertanti della follia.
Conclusioni
Hellblade II è un’esperienza avvolgente che, proprio come farebbe una strega del nord, sfrutta la sua ipnotica avvenenza per ammaliarti, salvo poi precipitarti nel labirinto della sua anima nera: goderne appieno implicherà accettare qualche compromesso, ma alla fine del viaggio ne sarà valsa la pena.
Leggilo gratis in versione impaginata e sfogliabile sul numero 2 di V – il mensile di critica videoludica