Le premesse di Tales of Kenzera: ZAU sono semplici, ma racchiuse in una storia ben più complessa: Zuberi è un giovane che ha appena perso il padre a causa di una malattia e legge l’ultimo racconto scritto proprio da quest’ultimo, nel quale si narra di un giovane sciamano di nome Zau, rimasto a sua volta orfano, che si tuffa negli inferi per contrattare la vita del genitore con Kalunga, il dio dei defunti. Affinché il suo desiderio venga esaudito, dovrà rintracciare tre Grandi Spiriti che hanno ingannato la morte e aiutarli a passare a miglior vita.
Tales of Kenzera: ZAU: Solo il tempo ce lo dirà
In termini pratici, ciò significa essenzialmente che ci sono tre boss principali da rintracciare e sconfiggere. Il mondo 2,5D del gioco lo accosta a un classico metroidvania: esplorare, scontrarsi contro un ostacolo e poi tornare indietro quando si ottiene una nuova mossa o un oggetto che sblocca la strada da seguire. I fan del genere riconosceranno probabilmente molti punti in comune con Prince of Persia: The Lost Crown dello scorso gennaio, a partire dall’effetto del cristallo frantumato nella schermata della mappa. Il paragone con il titolo Ubisoft ha continuato a ronzarmi in testa mentre affrontavo Tales of Kenzera, anche se da principio non avrei voluto metterli l’uno contro l’altro: entrambi si avvalgono di un protagonista di colore, sempre ben accetto in un medium ancora pieno di volti caucasici, e condividono tanto uno schema cromatico quanto un genere e persino una finestra di lancio ravvicinata, il che alla fine ha reso inevitabile il paragone. Grazie alle dimensioni e all’esperienza dello studio che l’ha sviluppato, è chiaro che The Lost Crown esca a testa alta dalla comparazione, con un livello di pulizia e rifinitura che un team come quello guidato da Abubakar Salim difficilmente poteva eguagliare al primo colpo. L’aspetto in cui Tales of Kenzera si distingue, tuttavia, è nel suo approccio al combattimento. Zau ha accesso a due potenti artefatti, entrambi ereditati dal padre: la maschera della Luna e quella del Sole. La prima si comporta come un fucile, consentendoci di sparare proiettili in qualsiasi direzione, mentre la seconda è una potente arma da mischia che permette a Zau di fronteggiare i nemici corpo a corpo. Con l’avanzare del gioco, alcuni diventano vulnerabili a una particolare maschera o resistenti all’altra, incoraggiandoci ad alternare di continuo le due nella foga della battaglia.
Chi ti ha preceduto ha tentato, e fallito
È una meccanica reminiscente di classici come Ikaruga, che integrava in modo simile nemici abbinati ai colori per stratificare la difficoltà, tuttavia la sua introduzione sembra alquanto forzata e non viene spiegata come avrebbe dovuto. Anche il salto, soprattutto quello doppio, e lo scatto non sono reattivi quanto ci si aspetterebbe, con il primo ben più corto e lento del previsto e il secondo che mi ha fatto sbagliare più di un balzo quando l’ho utilizzato in aria, poiché per qualche motivo in tali circostanze fa perdere completamente lo slancio al protagonista. Sebbene le mie possano sembrare lamentele molto specifiche, quando vengono sommate motivano la sensazione costante di movenze “anomale” che ho avuto per tutta la durata del gioco. Se poi aggiungiamo anche un level design letteralmente gremito di rovi e spuntoni letali che provocano il game over al semplice contatto, otteniamo un livello di frustrazione eccessivo che avrebbe potuto essere evitato con controlli più precisi o una struttura meno rigida e inflessibile. Anche il combattimento può rivelarsi spietato, e i nemici sono in grado di eliminare Zau senza pensarci due volte se non diamo il massimo. Per fortuna il sistema di checkpoint è abbastanza generoso, ma ho dovuto comunque sopportare qualche fastidioso backtracking di troppo, appesantito peraltro da una serie di bug che mi hanno fatto penare non poco e che nemmeno la patch pre-lancio è riuscita a correggere del tutto: doversi destreggiare tra ondate di avversari implacabili quando l’interfaccia decide all’improvviso di scomparire o i pulsanti non rispondono più alle sollecitazioni è un’esperienza che non augurerei mai a nessuno, e mi dispiace per i vicini che sono stati costretti ad ascoltare improperi di una certa caratura. Se non altro, la storia che il Baba di Zuberi ha intessuto vale la pena di essere letta ed ascoltata, e l’estetica del magico mondo di Kenzera, vicina alla cultura Bantu dei popoli dell’Africa centrale e meridionale cui lo stesso Salim si è avvicinato durante le riprese di Raised by Wolves – Una Nuova Umanità, potrebbe essere il giusto incentivo per guardare al di là delle sue manchevolezze ludiche.
Conclusioni
Sebbene non rimpianga le ore trascorse con Tales of Kenzera: ZAU, ho l’impressione che il gioco sia stato vittima di un pessimo tempismo. Se Prince of Persia: The Lost Crown non fosse uscito qualche mese fa, o se Surgent Studios avesse comunque pubblicato il frutto dei suoi sforzi prima di quest’ultimo, oggi le cose avrebbero potuto essere diverse. Alcuni passi falsi non gli permettono dunque di spiccare il volo, ma resta un esordio che lascia ben sperare per i futuri progetti di Surgent.
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