Nel labile confine tra realtà e finzione possono le illusioni prender vita? Perfect Blue (パーフェクトブルー), l’opera prima del maestro dell’animazione giapponese Satoshi Kon è uscito nei cinema italiani il 22-23-24 aprile, ma, dato il grande successo, sono previste delle repliche in alcune sale selezionate. Il lungometraggio d’esordio del compianto regista, scomparso prematuramente nel 2010, è distribuito in versione restaurata in 4K da Nexo Digital e Yamato Video. La pellicola fa parte della stagione 2024 del progetto esclusivo Anime al Cinema, sempre di Nexo Digital e Yamato Video in collaborazione con i media partner Radio Deejay, MYmovies.it, Lucca Comics&Games e ANiME GENERATION(Amazon Prime Video). Prodotto dal noto studio Madhouse e dalla Rex Entertaiment, vanta la consulenza speciale di Katsuhiro Ōtomo, autore del celeberrimo Akira(アキラ manga 1982-1990 – Film 1988), del quale lo stesso Kon era stato precedentemente assistente. Il film, datato 1997, uscì nelle sale giapponesi il 28 febbraio 1998, preceduto dalle proiezioni in anteprima il 5 e l’8 agosto 1997 al Fast-Asia Film Festival di Montréal, in Canada, dove vinse il premio Best Asian Film. In Italia, fino ad oggi, era inedito nei cinema, in quanto pubblicato esclusivamente per il mercato home video, prima in VHS nel 1999 e successivamente in formato DVD nel 2005. Perfect Blue è liberamente ispirato all’omonimo romanzo(Perfect Blue: Complete Metamorphosis) del 1991 di Yoshikazu Takeuchidi, del quale è stato realizzato anche un live-action nel 2002.
La ventunenne Mima Kirigoe, idol parte del terzetto di cantanti j-pop Charm, decide di dare una svolta alla sua carriera abbandonando la musica per diventare attrice. Ottenuto un ingaggio per un ruolo nella serie drammatica “Doppio Legame”, la giovane si confronta non solo con lo scontento di alcuni suoi vecchi fan, ma con un mondo ben diverso e più spietato di quello patinato a cui era abituata. Episodi di minacce da parte di un stalker arrabbiato della sua scelta professionale, la scoperta di un sito web in cui vengono narrate dettagliatamente le sue giornate ed una serie di gravi incidenti sul set accrescono le perplessità ed i turbamenti di Mima. Fagocitata dalla cascata di eventi, preda delle sue stesse paure ed emozioni, la giovane inizia a perdere contatto con la realtà e confusa da una serie di allucinazioni la sua identità si sgretola. Chi è la vera Mima Kirigoe?
Un’eclettica stanza degli specchi
Perfect Blue è uno psyco-thriller, capolavoro del cinema d’animazione. Sebbene sia il primo film di Satoshi Kon presenta una maturità inusuale ed uno stile sperimentale unico. Il regista fonde e confonde sapientemente realtà e finzione, in una giostra continua che disorienta sia la protagonista che lo spettatore. Atipica, esplicita ed avveniristica, è una pellicola caratterizzata da una profonda complessità psicologica e da un’atmosfera decisamente inquietante. La sceneggiatura, curata da Sadayuki Murai, è ben definita ed articolata, dai dialoghi taglienti ed incisivi, contraddistinti da un’essenzialità bilanciata, capace di nascondere preziose informazioni nella moderazione verbale. Ogni parola, infatti, ha un suo peso specifico, che può rivelarsi cruciale per la trama, contribuendo non solo alla psicologia dei personaggi, bensì diventa un componente costruttivo del clima straniante della pellicola. Anche la scelta dei luoghi e delle ambientazioni è calibrata sulle stesse logiche, seguendo uno schema, ricco di rimandi e significati, ben preciso. La narrazione ad alta tensione è orchestrata con cura, lasciando costantemente lo spettatore sul filo del rasoio, in balia del disorientamento claustrofobico che permea il film.
Punti chiave dell’audace regia di Kon sono le riprese ed il montaggio, che prendono ispirazione da registi come Alfred Hitchcock, David Lynch e Terry Gillian. Le visuali distorte, effetto dei giochi di prospettiva e la profondità di campo, le angolazione delle inquadrature si coniugano sapientemente con un editing fatto di scene sovrapposte, tagli improvvisi alternati a transazioni fluide che costruiscono lo spazio ed il tempo cinematografico richiamando le opere di Escher. Una costruzione intricata e poliedrica finalizzata a rappresentare, in modo emotivamente coinvolgente, il surreale quanto suggestivo delirio identitario della protagonista. L’approccio di Kon è intenso e spietato, atto a sovvertire continuamente i piani della verità e della finzione sino a renderli indistinguibili. La capacità di riprodurre sul grande schermo, ancorché in versione animata, psicologie tanto complesse è divenuta tratto peculiare del noto regista che, in sordina, ha fatto scuola. Diversi cineasti, infatti, si sono fortemente ispirati al lavoro di Satoshi Kon, trai quali spiccano nomi celeberrimi quali Christopher Nolan, Darren Aronofsky e Michel Gondry. Proprio Nolan e Aronofsky, peraltro, hanno omaggiato Kon inserendo nelle loro pellicole sequenze pressoché identiche a quelle lungometraggi dell’animatore nipponico, tra le quali, in riferimento a Perfect Blue, la scena di Mima nella vasca da bagno che ritroviamo ne Il Cigno Nero(2010).
Perfect Blue: un caleidoscopio sensoriale
Perfect blue è realizzato interamente in tecnica tradizionale, caratterizzato da animazioni di alto livello ed uno stile grafico distintivo. Il film, difatti, presenta un’estrema cura in determinati particolari visivi, come le merci negli scaffali del supermercato frequentato da Mima, ed un ottima definizione di luci, ombre e rilievi. Fluidi ed estremamente naturali i movimenti, particolarmente ammirabili, per esempio, nelle coreografie delle Charm. Al contempo, tuttavia, si contrappongono la staticità delle folle rappresentate e la mancanza di dettagli dei volti delle persone in esse ritratte, ad eccezione, parziale, dei personaggi noti. Un suggestivo ed antitetico dualismo che amplifica l’ansia e la solitudine dei personaggi. Un contrasto ricercato, dal profondo valore simbolico e psicologico, ulteriore connotato del taglio sperimentale di Kon.
La giostra di contrapposizioni non si limita al comparto visivo. Un sapiente uso del suono, fatto da variazioni, distorsioni e dissonanze, punteggia le scene amplificandone l’effetto delirante e psicotropo. La colonna sonora, curata da Masahiro Ikumi, alterna orecchiabili e zuccherose canzoni j-pop a musiche ambientali di tensione, industriali e dal sound noise che ben si coniuga, fino a fondersi, con i rumori. Questo connubio tra sinfonie e suoni diametralmente opposti, in correlazione alle sequenze mostrate sullo schermo, arricchisce l’atmosfera disturbante e vertiginosa che caratterizza la pellicola. Una confusione ulteriormente sviluppata dal gioco creato da alcuni brani che oscillano dall’essere elementi sonori diegetici ad extradiegetici. Lodevole il doppiaggio italiano, sia sotto il profilo tecnico che espressivo, curato da Raffaele Farina.
Tra incubo e realtà: l’identità frantumata
La forte carica innovativa che contraddistingue Perfect Blue non si limita all’aspetto strutturale e tecnico. Le tematiche trattate e la prospettiva con cui vengono analizzate riflettono lo stile avanguardista di Satoshi Kon. Il centro tematico del film ruota attorno al concetto di identità e perdita di sé. Un’immersione introspettiva profondamente psicologica, che ci porta letteralmente nei meandri più oscuri della mente. Esplora l’esistenzialismo e la complessità dell’essere umano, soprattutto in rapporto alla comunità. Kon eviscera le luci è e le ombre del popolo giapponese, ne anatomizza sagacemente i contrasti, esponendoli crudamente agli occhi degli spettatori. Ne esalta il connotato negativo attraverso l’effetto disturbante, al clima di inquietudine che non è che un riflesso dei turbamenti della psiche. Lo fa, non a caso, giocando ripetutamente con le contrapposizioni, sfruttando quell’ambiguità narrativa che caratterizza l’intera pellicola. Il lungometraggio è permeato da una profonda critica alla società nipponica, che ad oggi, a quasi trent’anni di distanza, risulta straordinariamente attuale. Il tutto arricchito da diversi rimandi e citazioni.
Lapalissiano è il biasimo sul fenomeno delle idol giapponesi. Giovani, spesso adolescenti, la cui effimera carriera nel modo dello spettacolo s’incentra più sulla loro immagine che sul talento, anche quando ne sono provviste. Come da nome idol(idolo), diventano un mero simulacro al quale la loro stessa identità viene sublimata. Una figurazione che le vuole virginali ed immacolate, in piena contrapposizione alla sessualizzazione dei loro corpi ottemperata dal pubblico. I fan, infatti, differentemente da quelli delle pop star ed attrici, vantano un platea interamente o quasi maschile, dall’età e status sociale eterogenei. Un dualismo ipocrita e nocivo, marchiato del profondo sessismo che ancora oggi affligge la cultura giapponese. Una maschilismo talmente profondo ed intrinseco che non distingue neppure il sesso dallo violenza, dallo stupro, focalizzando la reputazione e l’onore delle donne esclusivamente nell’immagine e all’uso che viene fatto dei loro corpi ad opera degli uomini. Kon attraverso la lente deformata di questa visione, ce ne mostra le aberrazioni, proponendoci implicitamente un’ottica femminista sulla questione. Le allucinazioni ed i deliri onirici di Mima, la sua crisi identitaria, nascono anche dal contrasto tra l’essere padrona di sé stessa, delle sue scelte professionali con il retaggio educativo giapponese, personale ed indotto. I turbamenti di Mima in merito alla scena di stupro del serial non sono legati esclusivamente al disagio provato nel girare la sequenza, che lei stessa razionalizza inizialmente come semplice recita. Il problema nasce dalle implicazione che tale scelta, per i deviati canoni giapponesi, ha sulla sua immagine, che ne esce sporcata. Ciò crea un conflitto tra la sua personalità pubblica e quella privata. Da qui la frattura e l’incapacità della giovane di distinguere la realtà dalla finzione. Kon ci immerge nella psiche e nelle emozioni della protagonista, mostra, utilizzato simboli come specchi e riflessi, il dualismo innescatosi nella mente della ragazza, ma anche il suo travagliato percorso alla scoperta della vera Mima. Un viaggio che non a caso termina proprio con il suo volto immortalato in uno specchietto retrovisore.
La crisi di Mima, tuttavia, è influenzata altresì dallo stalking e le minacce di un ammiratore, forieri di quella visione sessista già enunciata, che amplifica i turbamenti della giovane in merito alle sue scelte professionali. La paura costante e l’intrusione nella sua vita privata la spingono oltre il limite, mettendo in discussione chi sia veramente. Un fanatismo che diventa anch’esso aspetto tematico di Perfect blue. Connesso al mondo delle idol, ma estendibile a fronte di ogni passione, Kon si pone estremamente critico verso l’ossessione di alcuni individui verso “l’oggetto” della loro bramosia. Alla base vi è sempre una fragilità identitaria che il regista esplicita attraverso i connotati fisici di Maniac che risultano sommari, scialbi e trasandati. Figurazione del lato oscuro e pericoloso della celebrità ed al contempo dell’anonimato, in duplice simbolismo complesso. Un ulteriore contrasto esplicitato dal regista, che s’incentra opponendo l’idolatria estrema e tossica all’impersonalità traviata. Maniac, privo di autenticità, è una mera maschera, schiavo dei suoi desideri deviati e reconditi che lo rendono incapace di distinguere realtà e finzione.
La figura dello stalker offre un’ulteriore argomento d’analisi di Perfect Blue: l’uso di internet. Avveniristico il ritratto che ne fa Kon, considerando che all’epoca a dell’uscita del film il suo impiego era ancora ai suoi albori. Il regista, profeticamente, ne denuncia i possibili pericoli, che ad oggi, con l’avvento dei social media risuonano estremamente attuali. Nel lungometraggio, come nella realtà, il filtro dello schermo permette la manipolazione delle identità. Gli individui possono nascondersi dietro pseudonimi o profili falsi, che ne favoriscono comportamenti illeciti e/o aggressivi. Più spesso, però, è l’immagine del proprio sé che può essere distorta a piacimento, alterata ad hoc per il pubblico. Le esistenze online e offline si sovrappongono, portando a una confusione che non affligge solo il mistificatore di turno, ma anche il suo seguito con conseguenze spesso dannose. La presenza sul web può essere manipolata, la privacy compromessa e la nostra autenticità offuscata. Satoshi Kon ha anticipato queste ansie, offrendo una visione quanto mai inquietante e premonitrice.
Perfect Blue è un’opera prima di grandissimo livello, oltremodo matura ed avveniristica tanto per le tematiche trattate quanto per la sua costruzione, che ha giustificatamente consacrato Satoshi Kon nell’olimpo dell’animazione giapponese fin dal suo debutto. Un thriller di estrema complessità psicologica, dall’atmosfera disturbante e disorientante, strutturato su una straordinaria ed intricata ambiguità narrativa, una giostra di specchi e sguardi che trascende il confine tra realtà e finzione. Riflessione intensa sul concetto di identità e sulla fragilità dell’animo umano, è un’esperienza cinematografica imperdibile per gli appassionati.