Volendo fare un po’ di “psicologia da osteria”, l’uomo vive e agisce per soddisfare i suoi bisogni primari, quali il nutrimento, il riposo, il divertimento e, ovviamente, il sesso. In un’epoca di indie, realtà virtuale e produzione videoludica massiccia, spesso gli ultimi due fini finiscono per sovrapporsi in un binomio composto da allusioni piccanti, forme pixellate e funambolici tuffi carpiati per evitare l’oscura mannaia della censura. Con alti e bassi, si può dire che tutto sino ad ora è andato bene… ma cosa accade quando l’oriente, esperto fornitore di questo tipo di materiale, decide di chiudere i rubinetti e tenersi in casa propria (o sotto il letto, per citare uno stereotipo) questo tipo di prodotti dalla componente erotica più o meno marcata e esplicita? Si tratta di un quesito difficile la cui risposta, però, potrebbe palesarsi molto presto dato che il Giappone sembra essere stufo di scendere a patti con la morale occidentale.
Fino ad oggi, tralasciando la storica parentesi delle avventure piccanti quali la mitica serie Leisure Suit Larry e alcune di quelle di casa Infocom, chiunque avesse la necessità o la voglia di accedere, in campo videoludico, ad una serie di contenuti si rivolgeva sempre al solito “spacciatore”: il Giappone. Passione per i tentacoli ? Giappone. Gonne corte ? Giappone. Corpi dalla fisionomia impossibile ? Giappone. Qualunque passione  o gusto, condivisibile o meno, è diventata nel corso del tempo materiale per un videogioco prodotto in oriente e poi trasportato di peso sul mercato occidentale. Ogni tanto, questo processo di adattamento, si è rivelato indolore, molto spesso, invece, si è dovuto trovare un compromesso e questo o quel titolo “made in Japan” si è visto spogliare (o vestire, considerando l’operazione) di alcune sue caratteristiche più provocatorie. Se si voleva passare per i canali ufficiali, quindi, non vi era scelta alcuna per i produttori se non adattarsi alla morale occidentale, oppure, “morire in silenzio” e rimanersene rintanati in madre patria.
Eppure, qualcosa in questo ultimo periodo sta cambiando e il nostro caro fornitore dagli occhi a mandorla sembra essersi esasperato. Non è infatti di molto tempo fa la notizia circa la mancata commercializzazione futura e in occidente di Dead or Alive Xtreme 3, titolo che per quanto per molti risulti essere un banale simulatore sportivo, quando su venti immagini promozionali diciannove si concentrano su “un altro tipo di palloni da pallavolo”, allora comprendi che forse non ci si trova dinnanzi ad un banale titolo sugli sport da spiaggia. O meglio, “ci si troverebbe dinnanzi”, dato che, per l’appunto, il gioco non arriverà mai da noi: a nulla, infatti, sono servite le suppliche dei fan attraverso petizioni e nemmeno l’azienda Huniepot, responsabile della produzione di alcuni dating simulator per PC e che si è offerta come publisher, è riuscita a convincere Koei Tecmo a rilasciare le fanciulle tenute in ostaggio in Giappone. Alla base di questa decisione non vi sono predizioni di mercato, ma bensì una decisa presa di posizione di fronte ad un tipo di pubblico come quello europeo e americano che è ritenuto troppo bacchettone e moralista dinnanzi ad argomenti di stampo sessuale. Troppi scandali, troppe polemiche, troppe baraonde, per Koei Tecmo ognuno deve avere il suo Dead or Alive e Xreme non è per noi.
Le procaci fanciulle del titolo sopracitato non sono però le uniche vittime di questa “guerra fredda tra oriente e occidente”: recentemente infatti, anche la società giapponese Idea Factory, responsabile della produzione della saga di giochi di ruolo HyperDimension Neptunia, ha detto “no alla censura”. In una recente intervista con la redazione OperationFall, il presidente della compagnia Haru Akenaga, riferendosi al caso “Dead or Alive Xtreme” ha recentemente dichiarato quanto segue:
Onestamente, si tratta di una loro decisione, ma si, purtroppo lo stesso problema ci ha spinto a non localizzare alcuni giochi della Compile Heart. Non vogliamo più ricorrere alla censura perchè sappiamo che non sarebbe fedele al senso originale dell’opera.
Il significato di questa dichiarazione è che, molto probabilmente, se altri titoli di questa serie, che per ora è stata sempre localizzata anche in occidente, saranno costretti ad apportare modifiche contenutistiche, non arriveranno più nè in Europa nè in America. Se questa notizia potrebbe lasciare indifferenti molti, sappiate invece che c’è una nicchia di persone che potrebbero rimanerci molto male, anche perché, al di là delle grazie delle protagoniste, spesso, se si va oltre l’apparenza,  Hyperdimension Neptunia (così come altri titoli analoghi) sa offrire molto altro.
Persino la Nintendo, casa che storicamente è sempre stata lontana da questo tipo di problematiche, recentemente si è dovuta scontrare con questa realtà in occasione dell’uscita in occidente dell’ultima fatica di Monolith Soft: Xenoblade Chronicles X. L’elemento della discordia in questo titolo è stato costituito dalla possibilità di far indossare al personaggio di Lin Lee Koo, ragazza di tredici anni, armature alquanto succinte che, in virtù della loro parziale nudità , sono state modificate nelle versioni europee e americane del titolo. Una quisquiglia per molti, nient’altro che una banalità , ma qui lo scontro non si basa più sui numeri o sulla quantità di modifiche, bensì su un discorso prettamente ideologico: è giusto tagliare e modificare la forma dell’opera originale ? Un prodotto localizzato va giudicato in base alla morale del paese destinatario o di quello d’origine ?
La verità , è che risulta essere estremamente difficile, se non impossibile, trovare una risposta univoca a questo dilemma: diversi paesi hanno diverse visioni e divese considerazioni su cosa sia generalmente ritenuto accettabile o meno. Ciò che potrebbe aiutare a sbloccare la situazione, sicuramente sarebbe un ipotetico incontro tra le varie parti: i detrattori di questo genere di prodotti dovrebbero capire che il medium videoludico ha raggiunto una maturità tale tanto da elevarsi al racconto di importanti storie tanto quanto di una cosa semplice e umile come il sesso (in ogni sua forma) ma al contempo i produttori di questo genere di opere dovrebbero comprendere che se si può chiudere un occhio su qualche “inquadratura sbarazzina” o  su seni che sfidano le leggi della gravità , mostrare una tredicenne in bikini forse potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno.
Si tratta di una questione di compromessi, perché rispondere “muro contro muro” sicuramente non sbloccherà una situazione che, in futuro, sicuramente sarà destinata a peggiorare: se infatti l’avveniristica realtà virtuale occidentale ci propone questo, quella orientale ci propone quest’altro. Nessuna delle due visioni è migliore dell’altra, o più nobile, semplicemente rispondono a esigenze di mercato diverse, ma è pur vero che come in Giappone ci saranno sempre persone interessate ad andare a spasso con i dinosauri, in Europa ce ne saranno altre che vogliono semplicemente stare in compagnia di una bella ragazza, o perchè no, di un ragazzo, virtuale.
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