Un gameplay atipico come quello di Gone Home può essere difficile da digerire; le novità vengono spesso viste positivamente ma altre volte, invece, vengono additate come un distacco dalle convenzioni, un male che porta all’involuzione. Era questo il caso dei cosiddetti walking simulator, un termine dispregiativo per definire opere come Dear Esther, The Stanley Parable o, appunto, Gone Home, titoli che si basano principalmente sul lato narrativo e che mettono in secondo piano la sfida tipica di un videogioco tradizionale. Perchè mi sono riferito al passato per parlare della visione negativa di questo genere? Semplicemente perché il titolo di Fullbright, un team indie composto da professionisti che lavorarono all’espansione di Bioshock 2, Minerva’s Den, è stato quello che più di ogni altro ha sconvolto la critica e il pubblico, arrivando a vendere oltre 200.000 copie e ricevendo entusiasmanti recensioni all’uscita, con voti che spesso hanno superato le aspettative di molti; un traguardo notevole se si considera la natura indipendente del titolo e lo stile di gioco malvisto. Si poteva aspettare, quindi, una conversione dell’esclusiva PC su console, progetto che venne annunciato oltre un anno fa e che finalmente ha visto una sua conclusione attraverso un trailer che ha descritto alcuni dettagli, tra i quali la data di uscita, prevista per il 12 Gennaio su PS4 e Xbox One.
Gone Home riuscì a raccontare una storia personale e intima attraverso gli occhi della protagonista Kaitlin, portandoci ad esplorare gli anfratti della propria abitazione: una magione vuota, priva della familiarità che precedentemente offriva. Il merito più grande che si può dare al titolo, tra i molti che si potrebbero citare, è quello di aver alimentato una fiamma accesa già tempo fa da titoli come Ico o Flower, la discussione legata al videogioco come forma d’arte. Il medium si sarà guadagnato questo ambito merito? Nonostante il dibattito sia stato già chiarito, il confronto continua anche attraverso l’uscita di Gone Home su PS4.