Death Stranding Director’s Cut Recensione | Avete mai notato come ogni volta che riguardiamo gli eventi passati, più tempo è trascorso, più radicalmente mutano le nostre opinioni? Anche una costante apparentemente definita ed immutabile come il tempo trascorso è sottoposta a mutamenti, quantomeno soggettivi; come se anche quest’ultimo abisso di infinito tempo passato sia simile per variabilità anche all’abisso futuro. Non mancano in questo senso riflessioni filosofiche o fisiche, due campi dai quali non vogliamo trarre null’altro se non sporadiche incursioni, trattando di recensioni videoludiche. Ma attenzione, non perché si tratti di un argomento meno importante o rilevante di questi due campi, ma tutt’altro, in quanto nelle nostre analisi il gioco non è oggetto ma soggetto. E parlando di eventi passati della Games Industry, come non citare uno dei titoli più discussi e notevoli degli ultimi anni? Stiamo parlando di Death Stranding, titolo del 2019 ad opera di nient’altro che Hideo Kojima e del suo team. Si è senza dubbio trattato di un punto significativo della carriera del Maestro, come sono in molti oramai a definirlo per la sua vena autoriale e il coraggio dimostrato nella direzione e produzione dei suoi titoli, fin dal lontano Metal Gear dell’87.
Quale occasione migliore per ritornare su quest’opera così importante se non la nuovissima Death Stranding Director’s Cut rilasciata per Sony PlayStation 5? Noi di VMAG abbiamo sempre seguito con attenzione le vicende di questo franchise, non mancando di tenere aggiornata l’utenza sulle novità dietro al titolo. Fin dal lancio su PC e alle voci successive avevamo ben compreso come le prospettive future di quest’opera non fossero concluse. Dopotutto, con oltre cinque milioni di copie vendute solo con la versione oldgen, il fatto che il gioco arrivasse anche sulla piattaforma next-gen di casa Sony era solo una questione di tempo. In ogni caso, non si tratta solo di una riproposizione per la nuova console; tutt’altro, ci sono grandi novità che non mancheremo di esplicarvi in questa Recensione. Buona lettura!
Death Stranding: il significato dell’opera
Spiegarvi Death Stranding? Una volontà forse troppo ambiziosa se paragonata all’esperienza e alle prospettive di chi vi scrive; in fondo, chi può arrogarsi il diritto di attribuire un significato univoco all’opera creativa di qualcun’altro? Sebbene l’unico in grado di rivelarci con chiarezza il significato reale dietro ai messaggi meta-ludici del gioco sia solamente Hideo Kojima, possiamo certamente fornire una nostra interpretazione. Death Stranding ci parla di una crisi e della resilienza degli individui che cercano di superarla; una storia dove il vero nemico non è l’Homo Demens, l’archetipo dietro al gruppo di antagonisti che lavora per mantenere l’umanità divisa e decadente. Il vero nemico della storia dell’opera è la solitudine e la desolazione che ai nostri giorni abita molto spesso le nostre coscienze. Sam Porter Bridges soffre di aptofobia, ovvero la paura di essere toccato; il nostro protagonista, un oltre-uomo, se volessimo trovare una testa di ponte nel pensiero nicciano, è contemporaneamente affamato e terrorizzato dal contatto con gli esseri umani, in una situazione dove viaggiare e stare assieme ad altre persone è un’attività molto pericolosa. Questo è un primo elemento rilevante, ma l’analisi prosegue anche con il resto degli elementi del gioco.
Una storia ed una trama veicolate in maniera solida e capace, grazie all’esperienza di questo autore videoludico che non a caso è stato definito uno dei game developer più influenti dei nostri tempi; status condivisibile o meno; sebbene sia innegabile come le sue storie sono sempre state molto importanti per il nostro medium. Anche il mondo reale dei giorni nostri vive questa contraddizione, e questo parallelismo dona molto significato e valore all’opera di Kojima: le persone comuni di oggi cercano il consenso, i “mi piace” dei loro simili, non realizzando o forse ignorando le infinite contraddizioni che compongono le loro esistenze. I fattorini della realtà del Death Stranding sono il vero motore che alimenta e mantiene in vita la civiltà umana, assieme ovviamente alla tecnologia. Vista l’esistenza di fenomeni come le CA, spettri paranormali in grado di interagire con il mondo dei vivi e dei morti, e del chiralium, potente sostanza pericolosa mille volte più del plutonio, sono proprio questi corrieri a rischiare la vita per muovere merci di ogni tipo. E qui arriva il genio della metafora narrativa; in questa società essi non vengono pagati con denaro ma con gli stessi “mi piace” dei nostri social media; essi sono visti come eroi: ma molto spesso divengono dipendenti dal loro lavoro, acquisendo la DDS (sindrome da dipendenza dalle consegne) e divenendo MULI, oppure Homo Gestalt. Un chiaro parallelismo con delle ripercussioni potenti tanto sul gioco, quanto sul giocatore.
Le novità della Director’s Cut
Chi conosce già il gioco potrebbe domandarsi: quali sono le novità contenute nella Death Stranding Director’s Cut? La domanda è legittima dal punto di vista di un fruitore ragionato del medium, una persona che si domandi l’effettiva convenienza e il vantaggio di approcciarsi a questo prodotto pur provenendo da un’esperienza già pregressa tramite PlayStation 4 o PC su Steam. In generale, il titolo ha ricevuto un trattamento di tutto rispetto per una ritrasposizione; sappiamo bene come in questi frangenti non sia cosa troppo rara una riproposizione tale e quale priva di aggiunte o miglioramenti qualitativi degni di nota, situazione spiacevole in cui per fortuna non ci ritroviamo in questa Recensione. L’opera ritorna con nuovi contenuti e un comparto tecnico ulteriormente migliorato, già notevole e ricco di visuali memorabili nella sua versione precedente. Le aggiunte maggiormente notevoli per chi dedica un’occhiata di riguardo saranno principalmente dal fronte del gameplay, con l’inserimento di nuove armi, equipaggiamenti e forniture per il nostro Sam che si integrano perfettamente col substrato ludico già presente in precedenza; cosa che costituisce un’apprezzabile ed importante continuità con l’esperienza che il videogiocatore potrebbe già possedere.
Death Stranding Director’s Cut offre la possibilità di migrare i dati della vecchia versione nella nuova, una meccanica interessante pensata per chi possiede l’opera su PlayStation 4 ed è desideroso di migrare nell’iterazione più recente del prodotto: si tratta tuttavia di una decisione permanente, che rende i dati inutilizzabili sulla console precedente – di conseguenza bisogna pensarci bene prima di fare questa scelta. Alcuni potrebbero decidere di saltare subito a bordo con un salvataggio completato di Death Stranding per sperimentare immediatamente con le nuove aggiunte, ma noi di VMAG ci sentiamo di sconsigliare questa opzione. Il modo migliore, in accordo con la filosofia ben veicolata dell’esperienza è quello di cominciare una partita da zero, così da riflettere anche a freddo su alcuni messaggi della stessa che potremmo raccogliere solamente col senno di poi solo dopo averla completata una prima volta. In generale, i miglioramenti tangibili ed apprezzabili sono sia sul versante tecnico che del puro gameplay: l’esperienza utente già solida è stata ulteriormente consolidata, particolarmente in versanti come i tooltip dell’interfaccia utente e i consigli al giocatore, che giungono con un tempismo singolare. Dalle opzioni è possibile scegliere la nuova visuale ultrawide e si può indicare se intendiamo preferire un assetto grafico che punti alle prestazioni o alla fluidità, entrambe due componenti che non deludono sull’hardware di Sony.
Corda e Bastone: riflessione metaludica
Fin dalla sequenza introduttiva di Death Stranding apprendiamo come il titolo ambisca a far altro, oltre ad intrattenerci: una tendenza che molto spesso non viene colta nel nostro medium, e che dobbiamo sempre evidenziare quando c’è questa possibilità. L’opera si apre con una citazione dalla Nawa di Kōbō Abe, autore nipponico molto famoso in patria, che sfortunatamente non è stato trasportato con troppa regolarità nella letteratura occidentale (sebbene una tradizione non accademica dell’opera in questione sia disponibile qui). Hideo Kojima sembra porre una particolare attenzione alla corda e al bastone; due strumenti che l’umanità utilizza da parecchio tempo, due “amici” che a detta dello scrittore nipponico sono stati inventati da noi, ed impiegati per tenere le cose buone legate assieme e le cose cattive lontane da noi. Proprio questi due strumenti apparentemente insignificanti assumono una grande importanza in Death Stranding in contesti via via crescenti; partendo dalla mera rilevanza ludica come dispositivi impiegati in gioco, fino ad arrivare a più alte metafore nel versante narrativo e simbolico dell’esperienza. L’opera adotta proprio una narrazione mista, sebbene il grosso della trama sia veicolato in maniera episodica in modo compatibile con lo schema a “filo di perle” (che guardacaso utilizza una corda come collegamento dei vari grani di questo fittizio monile narrativo), ci sono anche varie e sporadiche incursioni in flashback ed anticipazioni, così da evadere dal regime anacronico della trama.
Hideo Kojima adotta diverse scelte coraggiose nel suo modo di articolare la progressione in rispetto ai suoi videogiocatori in entrambi i versanti. Death Stranding sembra un titolo molto diverso in certi frangenti, e i momenti morti di questa esperienza vengono arricchiti a sorpresa e senza nessun preavviso da piccoli momenti molto alti per significato e ripercussioni in tutta l’opera. Non parliamo solamente degli intermezzi musicali che coinvolgono artisti in precedenza poco noti come Low Roar, Silent Poets, Chvrches and Apocalyptica, che hanno donato tanto in termini atmosferici ed artistici al gioco; ma anche e soprattutto delle riflessioni dell’autore e del suo team a cui viene donata voce da tutti i personaggi. Una qualità d’eccezione per una produzione videoludica, che ha coinvolto anche grandi attori; se questo è il trend su cui vertono i titoli di dimensioni maggiori, c’è da ben sperare per la nostra industria. Nella nuova versione per PlayStation 5 tutto questo è ancora visibile, e forse, anche meglio, forte della superiorità tecnica di questa console, sfortunata ma anche no nel suo lancio durante un lockdown, complice anche una certa mancanza di materie prime.
Un gameplay simbolico e al servizio del giocatore
Il gameplay di Death Stranding è stato polarizzante fin da quando è stato fruibile, tanto dalla critica quanto dai giocatori: in molti lo hanno attaccato per la sua apparente ripetitività e per l’illusione che fosse fine a sé stesso, ignorando di fatto la ricchezza di progressione dei contenuti e bollandolo come un semplice “simulatore di consegne”. Coloro che non hanno apprezzato le caratteristiche dell’edizione precedente, difficilmente apprezzeranno Death Stranding Director’s Cut, sebbene anche da questo fronte permanga un arricchimento ed un ampliamento delle prospettive a disposizione. Sebbene il loop di base dell’opera si rivelasse in fondo il medesimo, sfruttando il pretesto delle spedizioni per inviare Sam in vari luoghi del mondo di gioco e anche per completare missioni differenti dal “fetching”, parlare del titolo come un prodotto ripetitivo equivale a palesare una certa insensibilità a ciò che ha da offrire.
Death Stranding Director’s Cut introduce una nuova arma; un fucile pensato per la lunga distanza, oltre ad una ulteriore moto che costituisce il miglioramento naturale in termini di portata e capacità di carico della vecchia Reverse Trike; ma non mancano anche dispositivi successivi, come un potente esoscheletro e un robot aiutante. Tutti dispositivi che si inseriscono nel loop di gioco in maniera naturale e sensata, non andando a stravolgere l’esperienza ma di fatto arricchendola. Il vero punto di forza di questo titolo in verità è proprio il fatto che l’esperienza viene proposta al ritmo impresso dal giocatore stesso, dettaglio su cui Hideo Kojima deve aver impresso parecchia enfasi. Anche dal punto di vista narrativo è la stessa cosa, e parallelamente a quanto illustrato poco sopra, anche le nuove missioni aggiuntive inserite nella Director’s Cut non andranno a stravolgere la trama, ma piuttosto, ad arricchire la lore. Questo in ultima analisi è un bene tanto per chi ha già esperienza pregressa con Death Stranding, quanto per chi si affaccia all’opera per la prima volta.
Il comparto tecnico dell’opera
Avviandoci verso la conclusione della nostra Recensione, non possiamo non parlare del comparto tecnico di Death Stranding Director’s Cut, che in buona ottemperanza all’asticella del titolo precedente, già ad alti livelli, fa davvero un ottimo lavoro ad elevare ancora ulteriormente la qualità visiva di quello che in prospettiva potrebbe divenire un classico cult dei nostri giorni. In termini di lati meramente tecnici come il LOD o variabili visive come i dettagli delle ombre, dei riflessi e volumetrici siamo decisamente ad un livello superiore alla precedente iterazione. Si tratta di un dettaglio molto importante per valutare se passare a questa nuova versione sia un’opzione viabile, specialmente se teniamo conto del fatto che la narrazione ambientale in quest’opera assuma pieghe inaspettate. L’illuminazione, in particolar modo, unita a quello che sembrerebbe essere un nuovo shader pensato per accentuare i dettagli dei modelli, gioca un ruolo molto importante nel metro di giudizio che poniamo a questa parte dell’opera.
Come abbiamo già spiegato in precedenza Death Stranding Director’s Cut offre la possibilità nelle sue opzioni di determinare se vogliamo dar precedenza alle prestazioni o alla qualità visiva; abbiamo avuto cura di testare entrambe queste scelte con mano, assicurandoci quali fossero i suoi effetti sul sistema Sony PlayStation 5. Il titolo non sembra accusare cali di frame o singhiozzi di nessun tipo quando si prioritizza la fedeltà estetica, benché abbiamo avuto modo di sincerarci che la console si riscaldasse e facesse più rumore del solito. Allo stesso modo, in modalità performance non si identificano insoddisfazioni visive tali da sconsigliare questa opzione, che sembra ottimizzare particolarmente le funzioni dell’opera senza mettere sotto sforzo la console. Maggiore enfasi viene poi donata alla funzione del feedback aptico del DualShock Sony PlayStation 5, con una vibrazione più presente e ben resa in base alle necessità di gioco. In ultima analisi si tratta della naturale progressione di quanto era già pre-esistente al momento del lancio sulla console precedente, cosa che conferma come al momento del design vi fosse già in mente una futura progressione in luce della next-gen videoludica.
Così si avvia alla conclusione la nostra Recensione di Death Stranding Director’s Cut, un titolo che ci ripropone l’importante e significativo viaggio di Sam Porter Bridges nell’America post-collasso del mondo di gioco rivisitata in chiave next-gen. Difficile non immaginarsi un buon successo per l’opera, che è stata ingrandita e affinata nonostante si rivelasse già un prodotto quasi perfetto nell’iterazione precedente. Anche in questo caso probabilmente si riaprirà un dibattito critico circa le scelte e le conseguenze adottate dal design di Hideo Kojima, che si è rivelato particolarmente attento anche stavolta alle necessità e al rapporto dei suoi giocatori con la sua creatura.
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