Paradise Lost Recensione: segreti e misteri nel sottosuolo polacco

Paradise Lost Recensione Versione PC | Che siate appassionati di storia o meno, non potete non conoscere la Seconda Guerra Mondiale e le terribili conseguenze che ha avuto in tutto il mondo. A causare molte di queste è stato il popolo tedesco, schiacciato dalla bandiera del Terzo Reich. Ancora oggi, si vedono le tracce delle azioni di quel tempo trasmesse per via orale e scritta da chi quelle tragedie le ha vissute sulla propria pelle. Un periodo caratterizzato per l’odio razziale e dalla violenza. È da questo terribile contesto storico che i ragazzi di PolyAmorous hanno deciso di trarre ispirazione per creare Paradise Lost.

Il titolo pubblicato da AllIn! Games, infatti, si pone l’obiettivo di trasportare il giocatore di fronte ad uno dei progetti più grandi e ambiziosi del Regime, ma lo fa a modo suo. Projekt Riese, infatti, era forse la più grande speranza che mai fu realizzata dai nazisti: consisteva in una serie di strutture sotterranee sparse per tutta la Bassa Slesia che dovevano servire o come quartier generale del Führer o come fabbriche di armi interconnesse tra loro (a riguardo non si sa molto data la scarsa documentazione), che avrebbero garantito un vantaggio bellico notevole alla nazione tedesca.

Paradise Lost

La Guerra non come la ricordiamo

Il titolo ci vuole far vivere un’altra realtà, nella quale Riese è stato completato e ha giocato un ruolo fondamentale nell’espansione del Regime. Infatti, dopo la conquista della Polonia, avvenuta, come nella realtà, nel 1939, il Reich ha volto la sua attenzione sull’Altopiano del Katanga, luogo ricco di uranio. Questo ha permesso la produzione massiva di armamenti nucleari nonché, anche grazie al tardivo intervento degli Stati Uniti con l’entrata in guerra del 1955, la costruzione di reti sotterranee da poter adibire a città-bunker nelle quali rifugiarsi in caso di invasione, programmate per essere completamente autosufficienti.

Una volta resosi conto di non poter vincere la guerra, il Führer decide dunque di far stilare una lista dei membri più meritevoli della Società (“Gesellshaft” in tedesco, parola che ritornerà molte volte nel titolo nonché nome della città-bunker) e farli rifugiare nel sottosuolo polacco per poi creare uno “scudo” facendo esplodere delle armi nucleari su tutta la superficie circostante, al fine di renderla irraggiungibile dai nemici del Terzo Reich. Tutto ciò, in preparazione di una risalita con armamenti ancora più devastanti che potessero garantire la vittoria della Germania Nazista. Una folle ambizione mai portata a completa realizzazione, però, grazie ad un’azione della Resistenza polacca che, infiltratasi all’interno di uno dei bunker, riesce a sventare il primo grande attacco atomico. Da qui in poi la storia dovrà essere scoperta dal giocatore che vestirà i panni di Szymon, un dodicenne polacco deciso a trovare un uomo ritratto in una foto con la madre, trapassata da poco. Nella sua ricerca, ambientata negli Anni Ottanta, il protagonista si addentra proprio nel bunker nazista. Al suo interno troverà un interessante mistero legato all’uomo che sta cercando che lo porterà ad addentrarsi sempre più all’interno di quello che si rivelerà essere un luogo di sofferenza.

Paradise Lost

Un’ambientazione suggestiva

Paradise Lost fa della narrazione il suo punto forte. Per descrivere gli avvenimenti utilizza pochi, anzi pochissimi, dialoghi. La sua forma principale di storytelling sono i documenti sparsi per l’enorme bunker che ci raccontano storie. Storie di ogni tipo che mostrano la vita di persone di ogni tipo: che vivesse all’interno di Gesellshaft, dalla cantante lirica ariana, all’operaio della stazione, dal ricercatore tedesco al prigioniero polacco. Il modo più forte che il titolo ha per raccontare, però, è la narrazione visiva: ambienti realistici e desolati ci danno l’idea di come questo bunker si presenti nella sua solitudine e nel suo abbandono.

L’ottimo comparto grafico ci permette di respirare l’aria pesante che si viveva in un contesto storico in cui la Guerra Mondiale non è mai finita. Persi in questo luogo dove non sorge mai il sole, non si può fare a meno di puntare gli occhi su tutto ciò che si ha intorno affamati di informazioni che siano raccolte sotto forma di voce all’interno di un registratore oppure di parole scritte su un foglio lasciato distrattamente su un tavolino.

La varietà degli ambienti è enorme: si passa dai piccoli uffici alle stazioni ferroviarie, dai laboratori ad un albergo, tutto, però sotto terra. Quest’aspetto non è da sottovalutare in quanto sarà ciò che susciterà nel giocatore un senso di ansia continuo, forse causato dai rombi e rumori continui, forse causato dalla mancanza di luce non artificiale. Questo aiuta a creare nel giocatore quel senso di spaesamento che il protagonista, come d’altronde qualsiasi altro bambino, prova in questo luogo abbandonato, mai visto e, quindi, sconosciuto.

Paradise Lost

Narrazione coinvolgente ma incompleta

Il titolo, come già detto, punta tutto sulla parte narrativa della storia e senza dubbio riesce nel suo intento di far interessare il giocatore alle vicende del piccolo Szymon alla ricerca del misterioso uomo nella foto. Tuttavia, PolyAmorous, “mettendo troppa carne sul fuoco”, si ritrova nella brutta condizione di dover raccontare troppe storie contemporaneamente. La difficoltà nel fare ciò è evidente proprio nel finale in quanto tutti gli spunti narrativi che avrebbero dovuto trovare una soluzione rimangono aperti e senza una chiara definizione, portando il giocatore ad interrogarsi su cosa stia succedendo, convinto di poter capire tutto alla fine del gioco, ma rimanendo comunque confuso dopo le 3-4 ore che il titolo si riserva di prendere per raccontarsi.

Il risultato finale risulta essere una trama troppo ricca per essere portata a termine con diversi e notevoli buchi lasciando così il giocatore con l’amaro in bocca al termine della sua esplorazione e della sua avventura. Decisamente non un punto a favore visto che la narrazione, come vedremo tra poco, è uno dei punti di forza principali del titolo. Mostra comunque uno spaccato di vita che dà efficacemente l’idea di come fosse vivere sotto nel Regime dandoci prova di una crudità, purtroppo, non solo immaginata dagli sviluppatori.

Paradise Lost

Questo non è un gioco

Sebbene il titolo abbia una capacità di coinvolgere molto forte con la propria narrazione, lo stesso non si può dire per il gameplay, caratterizzato solo dallo spostamento del protagonista nello spazio di gioco e un sistema di interazione composto da un paio di tasti per prendere e lasciare i fogli trovati in giro o per avviare le registrazioni e un minigioco quanto mai semplice per aprire porte e cassetti. Il giocatore, a primo impatto, si ritrova spaesato perché, in assenza di un vero e proprio tutorial, ma solo di reminder frequenti sui tasti da premere per eseguire le poche azioni a disposizione, non sa bene cosa può e non può fare.

Presto però ci si può rendere conto che esso è stato privato della possibilità di saltare, adibendo questa possibilità solo a punti specifici in cui il piccolo Szymon si arrampica e salta automaticamente una volta avvicinatosi ai suddetti accuratamente segnalati. I comandi, sia su mouse e tastiera che controller, insomma, sono stati ridotti al minimo necessario per fruire dell’avventura rendendo quindi Paradise Lost non un vero e proprio gioco, ma quasi un romanzo visivo. Certamente si può considerare un’opera interattiva ma che perde la sua parte ludica a favore della storia che lentamente avanza al ritmo dei passi di un dodicenne sperduto. Altra piccola pecca risulta nella rigiocabilità del titolo: a gioco finito non è possibile, come spesso accade in giochi di questo tipo, ricaricare un salvataggio per vedere i vari finali ma si è obbligati a ricominciare da capo tutta l’esperienza, dissuadendo così i giocatori dal rigiocarlo.

Paradise Lost

A contribuire all’immersione del giocatore interviene il comparto sonoro che risulta ottimo sia dal punto di vista di colonna sonora, che ci accompagna in questo viaggio ma appare molto poco spesso per permetterci di fruire del titolo senza interferire e fungendo quindi da forma di espressione delle emozioni del protagonista durante i momenti chiave della storia, sia dal punto di vista dei suoni. Notevole appare come il suono del vento in superficie sia stato reso perfettamente nel rombo che ci pervade quasi per tutto il tempo, insieme ai passi del piccolo Szymon che cambiano a seconda della superficie calpestata. Anche a livello tecnico la qualità rimane eccelsa con un ottimo supporto per cuffie che simula la direzionalità di ogni suono anche in altezza.

In generale il titolo si presenta come un gioco d’avventura che non presenta una grande componente gameplay ma con un’ottima narrazione che riesce a coinvolgere il giocatore anche grazie all’ottimo comparto grafico e al sonoro immersivo e la colonna sonora non invasiva. Avrebbe potuto offrire molto di più se fosse riuscito a coinvolgere i giocatori con un miglior sistema di interazione e se fosse riuscito a chiudere tutte le narrazioni rimaste non chiarite generando quindi dei buchi di trama non indifferenti. Sicuramente, sebbene il grande impegno impiegato dai ragazzi di PolyAmorous per realizzare il gioco si veda, Paradise Lost non si presenta come un grandissimo titolo, forse addirittura dimenticabile per alcuni aspetti.

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