Bridgerton Recensione | Sulla scia di Orgoglio e Pregiudizio e con l’abilità cinematografica di Julie Anne Robinson, la nuova serie romantica in arrivo su Netflix si basa sull’opera letteraria di Julia Quinn, un lavoro che narra gli intrighi di lussuria, scandali e segreti della nobiltà inglese. Nonostante il duo protagonista sia composto da Daphne Bridgerton (Phoebe Dynevor) e dall’affascinante nuovo Duca di Hastings Simon Basset (Regé-Jean Page), molti altri personaggi riescono a catturare l’attenzione dello spettatore in un delicato equilibrio tra diversificazione della narrativa e concentrazione della trama.
Bridgerton si dimostra più originale di molte altre serie del genere, nonostante mantenga i tipici elementi romantici familiari anche agli spettatori meno esperti: non tutti ottengono il lieto fine che ci potremmo aspettare da una storia eccessivamente zuccherosa, ma tutti hanno la possibilità di andare avanti con le loro vite per inseguire un qualche tipo di felicità futura. Si tratta di una morale molto più realistica e soddisfacente, lontana dai classici dove un perfetto lieto fine ed eterna miseria sono le sole opzioni. Persino la graffiante narratrice della storia, che la trama identifica come una donna di successo e carattere, ha molti ostacoli da superare e un destino in sospeso, sebbene la realizzazione venga allo spettatore solamente a seguito della grande rivelazione, in una delle scene conclusive della serie. Con solo otto puntate da cinquanta minuti ciascuna, Bridgerton ci ricorda che anche gli show più romantici possono essere ricchi di avventura, sfidando il cliché del romanticismo smielato e noioso senza creare tensione.
La prima e unica stagione della serie segue le vicende di molti personaggi, ma due famiglie sono protagoniste sopra le altre: i Bridgerton e i Featherington. Le due casate non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra, ma nonostante questo entrambe sono in grado di catturare l’attenzione dello spettatore, persino Lady Featherington (Polly Walker), a prima vista tipica nobildonna fredda e pettegola, si rivela un personaggio ben più profondo senza perdere i difetti inizialmente presentati e risultando in una figura estremamente comica.
La narrativa, come detto, ci viene presentata grazie alla voce di una misteriosa dama giornalista dagli articoli pungenti, ma in generale il mood è romantico senza cadere nello stucchevole e anzi mantenendo una graffiante ironia verso lo stile di vita nobiliare. Quando le cose vanno bene per alcuni personaggi, la storia si sposta sui problemi di altri, mantenendo un gioco di sottotrame estremamente complesso. Sebbene non si possa negare che Bridgerton abbia avuto il vantaggio di originare dall’opera scritta, il lavoro di trasposizione è comunque impressionante nel modo in cui la serie taglia e velocizza le parti superflue senza perdere il ritmo della penna della Quinn.
L’ironia che traspare dalla narrativa aiuta a dare Bridgerton un nuovo risvolto in confronto ad altre opere dello stesso genere.
Bridgerton si impegna fin dall’inizio a presentare tutti gli elementi del genere senza abbandonare un certo senso di originalità, anche grazie ad una serie di antagonisti veri e propri che, al di là delle situazioni difficili in cui il cast si trova con l’avanzare della trama, presentano una sfida aggiuntiva. In alcuni casi gli stessi personaggi per cui stiamo tifando, personaggi anche estremamente empatici e con cui lo spettatore si ritrova a simpatizzare fin dall’inizio possono essere disposti ad occupare un breve ruolo “antagonistico” per proteggere le loro vite, sfidando la nostra obiettività e morale. Altre volte invece si tratta di persone con cui non ci troviamo ad empatizzare per nulla, semplici macchiette il cui viscidume è nascosto da abiti eleganti e profumo, ma comunque estremamente evidenti. Questi personaggi si danno il cambio nel mandare avanti diversi elementi della narrativa con le loro azioni, tenendoci incollati allo schermo di Netflix, intenti a non perderci alcun passaggio.
L’amore del duo protagonista che occupa il filone principale della storia non è solamente un rifiuto di ammettere i propri sentimenti o un grande amore ostacolato da circostanze maggiori, ma un sentimento ben presente e persino condito da un rapporto d’amicizia. Sebbene la coppia affronti sia nobili gelosi che ostacoli personali, tutti questi elementi vengono superati entro la prima metà della serie, lasciando il posto alla morale espressa dalla madre della protagonista: l’amore è una scelta che deve essere compiuta ogni giorno, non un finale che elimina qualsiasi altro problema dalla vita delle persone. Una lezione che i due innamorati dovranno imparare per assicurarsi un vero futuro, perché al contrario delle serie più banali, in Bridgerton “vero amore” non è una parola magica che porta al lieto fine.
Abbiamo già accennato alle doti recitative mostrate da Polly Walker, che interpreta il ruolo della controversa Lady Featherington, la migliore “dama cattiva” incontrata in uno show da molto tempo a questa parte. E se Phoebe Dynevor e Regé-Jean Page appaiono sulla copertina occupando il posto dei protagonisti che ben meritano, una serie di attori estremamente talentuosi dà vita a personaggi minori le cui vicende, anche se meno accennate, diventano altrettanto interessanti per lo spettatore, se non di più del resto. Per fare un esempio, la ribelle sorella Eloise Bridgerton (Claudia Jessie), sigaretta in una mano e libro nell’altra, non ha alcuna intenzione di subire balli stagionali e prove per vestiti. Dotata di una mente brillante e aspirazioni intellettuali in un periodo storico dominato dagli uomini, e sebbene con nostra grande tristezza questa non sia la sua storia, soltanto guardando in un paio di scene questa giovane donna contestare la società in cui vive possiamo immaginarla come protagonista di uno show tutto suo. Magari occupata a sfidare il patriarcato e fumare sigari in qualche studio popolato da colleghe dotate della stessa mentalità innovativa.
Golda Rosheuvel interpreta invece Sua Maestà la Regina, un personaggio che incontriamo solo in limitate occasioni e di cui vediamo uno scorcio dei veri sentimenti solo per alcuni brevissimi istanti durante la seconda metà della serie. Imperturbabile e sarcastica come una regnante deve essere, dietro il suo orgoglio facilmente offendibile si nasconde una moglie che rimpiange il passato e un marito che il destino ha reso più lontano che mai, contro i desideri di entrambi gli sposi. Ogni personaggio è presentato con la stessa cura dei piatti serviti alle feste dei nobili londinesi, perfetti da guardare anche quando non è possibile assaggiarne il sapore effettivo.
I personaggi secondari riescono a catturare l’interesse dello spettatore con le loro storie non dette, stuzzicando la curiosità.
Alla fine dei conti, Bridgerton è una serie in grado di suscitare un discreto interesse anche in chi non ama il genere e che senza dubbio conquisterà i cuori di chi invece adora le storie composte da intrighi e sfide alla luce delle sale da ballo e all’ombra dei giardini. Sebbene siano presenti alcuni passi falsi dal punto di vista del realismo storico che la trama tenta di giustificare (andando in realtà a peggiorare le cose) si tratta di dettagli abbastanza insignificanti che non intaccano il resto. Specialmente considerando il fatto che difficilmente l’audience tipica del genere sia interessata in maniera troppo specifica alla realtà storica dell’epoca. Di solito si è più propensi ad ammirare intrighi dal sapore fiabesco.
Molte storie rimangono comunque senza conclusione e sebbene questo fatto sia intenzionale, come parte del messaggio della saga, una seconda stagione incentrata su alcuni dei personaggi meno importanti potrebbe rivelarsi estremamente interessante se gestita nella maniera corretta. E ammettiamolo, Eloise merita una serie esclusiva, con azione come genere. Ma dimenticando piccoli errori e (probabilmente vane) speranze, possiamo tranquillamente concludere che Netflix sia riuscita a colpire nel segno con Bridgerton e non c’è dubbio che la serie guadagnerà molti fan in poco tempo all’uscita.