Xbox Series X: una breve analisi sul controller

La next-gen è ormai alle porte. Tra pochissimi giorni i fan di Microsoft e di Sony saranno invasi, oltre che dalle console, anche dai giochi di nona generazione. Un avvento che si compie ogni 6 anni circa e che ormai è diventato un appuntamento per tutti i giocatori. PlayStation 5 uscirà il 19 novembre mentre Xbox Series X e S arriveranno poco tempo prima, più precisamente il 10 dello stesso mese. Ne abbiamo sentite di cotte e di crude in questo periodo, sin dal reveal della nuova piattaforma firmata Microsoft che ha avuto giusto il tempo di mostrarsi l’anno scorso ai The Game Awards prima che l’intero ecosistema mondiale cadesse in ginocchio a causa della pandemia COVID-19. Ora, dopo svariati mesi composti da restrizioni, speranze e novità dal settore Xbox, è ormai arrivata. È nelle redazioni di molte testate che hanno già avuto il piacere di provarla, tra cui anche noi. Ma, dato che abbiamo già approfondito la storia della console per quanto riguarda il design e abbiamo anche potuto provarla con mano nella nostra recensione, è tempo di parlare di qualcos’altro. In attesa di prossimi articoli sui titoli next-gen, vi proponiamo questo approfondimento sul controller di Xbox Series X, che abbiamo avuto il piacere di testare, analizzare e, soprattutto, toccare. Benvenuti in questo nuovo articolo e buona lettura!

La prima cosa che è saltata all’occhio su Xbox Series X è stata la forma. Un design che apparentemente non era piaciuto, ma che sta pian piano svelando le motivazioni dietro tali caratteristiche. Un vero e proprio monolite da salotto, perfetto per il gaming, per l’estetica di un qualsivoglia soggiorno e per la visione di altri tipi di contenuti. Ormai si sa, Microsoft lavora parecchio sui servizi che ha da offrire ai propri consumatori e l’eccellenza di tali piattaforme virtuali si è andata a formare lentamente nel tempo, proprio come la fidelizzazione dei giocatori al brand di Redmond. Ed è proprio di questo primo aspetto, quello più visivo, che vorremmo affrontare immediatamente. Perché ciò che vediamo è così importante da restare o meno nella nostra memoria. Se ci pensate bene è stata proprio la forma di Xbox Series X a far parlare così tanto della console. Un’ottima trovata di marketing che funziona a livello pubblicitario tanto quanto quello sulla memoria del cliente. E, proprio grazie all’ingegno di Microsoft l’opzione scelta per il controller di nuova generazione sembra essere vincente.

Il design del nuovo pad è semplice, altamente riconoscibile e soprattutto familiare. Non solo a livello visivo, ma anche a tattile. Questo aspetto però potrebbe erroneamente portare i fruitori a credere che non ci siano state innovazioni sul controller che, somigliando troppo al proprio predecessore finirebbe per esserne solo una riproposizione. Ma se da una parte Microsoft rivoluziona la forma della console optando per una maggiore verticalità per agevolarne le prestazioni, per il controller resta sui propri passi decidendo di non cambiarne il design, ma di migliorare ciò che già era stato lodato in passato.

Xbox Series X

A differenza del DualSense che gioca maggiormente con i 3 colori adottati da Sony, bianco, nero e blu, il controller di Xbox Series X resta su una tinta unica che, proprio come vuole la console, lo fa sembrare più compatto e maturo. Si perdono anche le stecche più lucide accanto al tasto di accensione, ora libero di brillare una volta premuto. In questo modo si ha una sensazione di freschezza e semplicità guardando il pad.

Una dimensione che non è né troppo grande né troppo piccola per la maggior parte delle mani e che si copre con un involucro di plastica dall’aspetto opaco e poroso. I vari punti che al tatto si sentono maggiormente sono presenti nella zona dedicata ai palmi e quella per le dita, soprattutto l’indice. Questa scelta riveste un ruolo fondamentale, non tanto per l’aspetto che resta invariato, ma per quanto riguarda la problematica inerente alla sudorazione delle mani. Un controller liscio è più facile da sporcare e da far scivolare rispetto ad uno opaco. Un’ottima variante che dona, oltre a maggiore maturità, anche una migliore sensazione.

Ulteriore aspetto che abbiamo potuto imparare ad apprezzare riguarda i gommini delle levette analogiche. Questi sono ora rivestiti da un tipo di materiale più ruvido e grinzoso, ottimo per creare attrito durante le fasi di gioco più concitate. Questa situazione si può trovare anche nelle levette RT e LT, le quali vengono prettamente impiegate nello shooting in parecchi titoli.

Passando a parlare dei tasti, invece, la differenza che è più semplice da trovare, comparando i controller, è la croce direzionale e la piccola new entry: il tasto Share. La prima è ora composta da una base compatta da cui partono le testine per la croce. In questo modo si ha più sensibilità per l’input e maggiore presa per il pollice. Il tasto Share, invece, permette di poter scattare degli screenshot mentre si gioca o avviare delle vere e proprie registrazioni. Qualcosa che ormai tutti si aspettavano, sin dalla scorsa generazione, e che finalmente è diventata realtà.

Xbox Series X

Passando invece a parlare della parte posteriore, il controller di Xbox Series X è molto simile al proprio predecessore, almeno a livello di componenti. Abbiamo ancora una volta il piccolo pulsante per connettere il pad alla console, senza utilizzo del cavo USB Type C, il quale invece è presente al di sotto, proprio dove si trovava nella scorsa versione. Il ritorno delle batterie potrebbe pesare ad alcuni tipi di giocatori. Anche perché è purtroppo naturale che un controller di questo tipo le scarichi abbastanza velocemente. Oltre al dispendio monetario c’è anche far presente che, invece, la controparte di casa Sony resta fedele al wireless e solo all’utilizzo del cavo durante la ricarica del pad. In ogni caso, per coloro che dovessero ritenere questo aspetto come una perdita di tempo c’è sempre la possibilità di giocare con il filo collegato alla console. Non è il massimo, soprattutto se si parla di una console del futuro, ma è un ottimo modo per sviare il problema delle pile che restano l’unica parte ostica della nostra analisi.

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