ScourgeBringer Recensione | Feeling. Una parola importantissima nel mondo dei videogiochi, un termine che da solo può definire il successo o meno di un’opera. Si parla infatti delle sensazioni che il giocatore prova con il controller in mano, mentre osserva il suo alter-ego virtuale muoversi sullo schermo e rispondere ai comandi. Il feeling è uno degli aspetti più delicati e spesso ingiustamente ignorati in molti titoli (specie se si parla di indie), in quanto nasce da una minuziosa cura di piccoli dettagli che si distaccano dalla macrostruttura del gioco. Elementi come la velocità di risposta agli input, il perfetto attacco della colonna sonora, le animazioni spettacolari ma non esagerate, il ritmo incalzante del gameplay e tutti i vari accorgimenti per togliere i fastidi ed enfatizzare l’appagamento dell’utente. ScourgeBringer, il nuovo action roguelite di Flying Oak Games ed E-Studio, nonché protagonista di questa recensione, punta nel suo design proprio a questo: il perfetto feeling. Immediata soddisfazione accompagnata da sfide complesse e caotiche, che pure nella sconfitta donano un senso di progressione e di perfezionamento delle proprie abilità. Il titolo è già disponibile su PC, Nintendo Switch e Xbox One. Ora basta con le premesse, si entra nel vivo dell’azione.
ScourgeBringer è il nome di un’entità misteriosa che, in un futuro post-apocalittico, ha portato distruzione e morte sul pianeta Terra – un probabile cugino alla lontana di Ramiel (Evangelion), volendo un attimo scherzare. Kyhra, la guerriera più letale del suo clan di sopravvissuti, viene inviata a esplorare l’ignoto per ritrovare il sigillo del suo passato e donare nuova speranza all’umanità. Questo è tutto ciò che c’è da sapere su trama e setting, perché l’opera non perde altro tempo: una breve sequenza di apertura e siamo già pronti a falciare nemici. Il gameplay è veloce, adrenalinico e caotico, mischiando elementi di hack ‘n slash e bullet hell (due generi che vanno molto d’accordo, e qui ve ne è ulteriore prova). Nel mentre esploriamo una mappa a blocchi, struttura già vista in indie di successo come The Binding of Isaac e Celeste, ogni stanza offre due ondate di nemici e occasionalmente premi, negozi e boss fight. In caso di morte, come vuole la regola, si ricomincia tutto daccapo perdendo potenziamenti e risorse accumulate. Una struttura sì punitiva, ma che permette di tenere elevata la tensione degli scontri e l’attenzione del giocatore anche nei piani più semplici.
ScourgeBringer offre spettacolari combattimenti aerei: tra una combo e l’altra, non c’è tempo di mettere i piedi a terra.
Parlando del nostro arsenale, abbiamo a disposizione una spada e un’arma da fuoco. Mentre la prima è onnipresente e consente di mettere a segno attacchi ravvicinati tanto letali quanto stupendi da utilizzare, la seconda si ricarica attaccando i nemici o tramite rifornimenti che appaiono casualmente quando si completa una stanza. Abbiamo inoltre la possibilità di effettuare scatti aerei che danneggiano e spostano i nemici, e di effettuare colpi distruttivi che frantumano i proiettili e stordiscono gli avversari. L’intero gameplay è basato sull’alternare queste mosse nel modo giusto per sfrecciare sullo schermo, affettare i nemici più deboli e proteggersi dagli attacchi di quelli più pericolosi, senza mai fermare il ritmo o posare i piedi in terra – una breve pausa o distrazione può provocarci seri danni. Senza la possibilità di proteggersi, se non con una distruzione al momento giusto (chiamiamolo “parry” per gli appassionati dei Souls), la via migliore per restare in vita e avanzare nel gioco è spostarsi continuamente e non cessare mai di attaccare. ScourgeBringer è un titolo hardcore dedicato proprio a chi di action ne fa la propria passione e il proprio mondo, cibandosi di schivate all’ultimo secondo, combo perfette che devastano anche i nemici più forti e dita che non smettono un secondo di premere tasti sul controller. L’unica pausa è la morte, con tutto l’amaro della sconfitta e la voglia incessante di ricominciare.
Come detto in apertura, tutto questo non potrebbe dare vita a una formula efficace se non ci fosse un più che degno feeling. Ed esso c’è, più presente che mai, in ScourgeBringer. Chi ha un occhio attento può infatti notare quanto gli sviluppatori si siano impegnati nell’applicare accorgimenti e soluzioni per rendere il gameplay quanto più fluido e soddisfacente possibile. Iniziamo con il menzionare le animazioni, presenti in grande quantità e dettagliate all’inverosimile, molto evidenti nel pattern di attacco della protagonista. Anche solo premendo il tasto di attacco e basta, Kyhra darà inizio a una combo con tagli e acrobazie da far invidia a Devil May Cry (senza la difficoltà di esecuzione, però). Alternare scatti e colpi distruttivi dà vita a combo semplici da mettere a segno ma visivamente spettacolari e sceniche. Il tutto è condito da un sempre presente sistema di autoaim, che non toglie libertà né controllo al giocatore ma consente di puntare al bersaglio anche senza una precisione millimetrica o una maniacale sequenza di input precisi – e può essere disattivato, wink wink. Anche il meno esperto di opere action può dunque sentirsi immortale e onnipotente mentre osserva il proprio personaggio sfrecciare sullo schermo e liberare le stanze dalle orde di nemici. Pura soddisfazione ludica e aperta a tutti, ventiquattr’ore su ventiquattro.
Chiunque può sentirsi potente e immortale. Se però si continua a morire, è possibile abbassare la difficoltà.
Questi vari accorgimenti non tolgono però difficoltà a ScourgeBringer, che come roguelite rimane brutale e punitivo nei confronti degli errori. Ogni stanza è infatti popolata da numerosi nemici che, sebbene innocui quando presi singolarmente, possono cogliervi alla sprovvista se non prestate loro la dovuta attenzione. Pure il meno pericoloso degli avversari merita un occhio di riguardo, e chi agisce senza criterio o consapevolezza verrà spedito alla linea di partenza. Il livello di sfida culmina poi con i boss, veri e propri muri che richiedono vari tentativi per essere appresi a dovere e rimangono una minaccia a lungo. L’obbiettivo del giocatore che vuole conquistare la vetta dell’opera è infatti quello di provare e riprovare per affinare le proprie abilità, imparare qualcosa di nuovo sulle minacce che lo attendono e scoprire le strategie migliori per rimanere in vita. Questo può essere raggiunto in poche ore di gioco per i primi livelli, e ovviamente molto di più per quelli successivi. Con ogni distruzione messa a segno, nemico sconfitto in più e stanza superata senza perdere vita, si ha una concreta e palpabile sensazione di costante miglioramento – che ovviamente spinge a volersi rigettare subito nei dungeon, anche dopo una brutale dipartita. In caso la difficoltà non sia la vostra passione oppure vogliate spingervi al limite, il titolo offre una manciata di impostazioni per personalizzare l’esperienza, per esempio riducendo la velocità dei proiettili o passando alla mira manuale invece che automatica.
Spostandoci sul lato artistico, la grafica di ScourgeBringer copre il suo ruolo senza essere né rivoluzionaria né carente. La scelta di adottare un’estetica retrò, composta da pixel ed elevati contrasti fra i colori, ben si sposa con il gameplay ad alta velocità e risulta nel complesso gradevole. Va da sé tuttavia che la struttura stessa del gioco spinge a muoversi rapidamente, non dando affatto il tempo di soffermarsi su ambientazioni o design dei nemici (che non risaltano dunque come particolarmente memorabili). Caso contrario invece, la colonna sonora prende una direzione completamente diversa e pesca a piene mani dallo stile di DOOM, offrendo tracce incalzanti e travolgenti tanto quanto la protagonista. Impossibile rimanere fermi o distaccati quando si entra in una stanza, i nemici appaiono e la musica inizia a colpire con i suoi ritmi aggressivi e coinvolgenti. Un tocco in più di differenziazione tra una composizione e l’altra avrebbe forse reso più giustizia al comparto audio dell’opera, ma questo non sminuisce di certo il suo valore attuale che resta alto e lodevole.
Purtroppo, anche un piccolo gioiello come ScourgeBringer ha i suoi lati negativi. La bellezza del gameplay, così come il suo potenziale, non sono ben espressi dalla longevità del gioco, che può essere completato in meno tempo di quanto ci si aspetterebbe. I contenuti sono infatti piuttosto ridotti rispetto alla concorrenza, specie per quanto riguarda i nemici: mostri e demoni vengono spesso riutilizzati nei vari piani e offrono poche differenze l’uno dall’altro, risultando parecchio ripetitivi da affrontare a lungo andare. C’è anche poco interesse nell’esplorare gli oggetti e i potenziamenti offerti dall’opera che, a parte i rami dell’albero di abilità principale (che comunque sono limitati), raramente modificano il funzionamento di un’arma o offrono cambiamenti allo stile di combattimento. La maggior parte delle volte avremo tra le mani meri potenziamenti numerici al danno o alla resistenza, rifornimenti per vita e munizioni, e infine modificatori che aggiungono piccoli e a volte insignificanti effetti extra al nostro arsenale. Ogni partita è uguale a quelle precedenti da un punto di vista di miglioramento del personaggio, togliendoci il sapore della casualità che avrebbe notevolmente aumentato la rigiocabilità del titolo. Un vero peccato, perché questo avrebbe veramente elevato ScourgeBringer nell’Olimpo fittizio dei roguelite. Tutto sommato, però, le ore di divertimento ci sono. E chissà se in futuro non vedremo qualche contenuto extra?
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