È inutile negarlo, l’ambiente videoludico moderno è quantomai affollato di videogiochi che rincorrono un’apparente complessità : contaminazioni di generi, meccaniche articolate (e spesso, purtroppo, anche astruse), titoli sperimentali che si spacciano per difficili tentando di accontentare la massa senza in realtà soddisfare nessuno. Tutti inseguono la chimera della novità ma ben pochi riescono davvero ad innovare, perdendosi in rafazzonati e caotici tentativi. Poi, e solo poi, un po’ in sordina arriva Velocibox, titolo la cui idea è nato in grembo alla Ludum Dare, game jam che in due giorni chiede ai propri partecipanti di sviluppare un gioco a partire da un tema. Saranno state sufficienti quarantotto ore per creare un titolo soddisfacente ?
La vita di un cubo già non è facile di per sè con tutti quegli spigoli, figuriamoci quella della figura geometrica protaognista di Velocibox, endless runner che impone al povero parallelepipedo il compiere una folle corsa verso l’infinito. Perchè correte ? Dove siete diretti ? Non ci è dato saperlo e tali informazioni nemmeno dovrebbero interessare al giocatore di Velocibox, il cui unico obbiettivo è correre, correre e ancora correre. Ad onor del vero, una destinazione finale, in quanto cubi, l’avete, ovvero il completamento di tutti e nove i livelli. Per passare ad uno stage all’altro, il giocatore dovrà quindi raccogliere nel tracciato alcune sfere luminose, una volta collezionate un certo quantiativo avremo accesso alla porzione di gioco successivo.
Fino a qui, Velocibox si dimostra un endless runner classico e solido in cui l’unico imperativo è aguzzare la vista, tenere i riflessi all’erta ed evitare gli ostacoli presenti sul percorso. Il vero punto di svolta è però l’introduzione di una singola meccanica, una singola regola: il cubo che controllate ha la possibilità  di spostarsi su una parete all’altra del tunnel in cui è costretto a sfrecciare. Introducendo questa piccola semplice aggiunta alla struttura di gioco, per quanto all’apparenza potrebbe sembrare banale, il titolo cambia radicalmente le carte in tavola… e anche le prospettive del giocatore. Gli ostacoli non hanno quindi più una singola via per essere aggirati, il gioco non offre più un percorso obbligatorio ma forza il giocatore non solo a sottoporsi ad una prova di riflessi ma anche di intuito, cercando di comprendere quale sia il percorso migliore su cui porsi. In Velocibox quindi non basta evitare gli ostacoli, ma bisogna anche assicurarsi di averlo fatto nel migliore dei modi.
Quanto detto si traduce in un’unica cosa: tante, tante morti del nostro povero cubo. “‘Level One Begin”, “Level One Begin”, “Level One Begin”, non avete idea di quante volte sentirete questa frase mentre assisterete ad un vero e proprio genocidio geometrico. Eppure, nonostante Velocibox si dimostri essere un’esperienza estremamente ostica da affrontare, si ritorna sempre a giocarci. E a perdere. Stiamo parlando di un titolo che non prende per mano il giocatore, ma bensì lo ficca dentro un cannone e lo spara a velocità supersonica in un tunnel. Un titolo quasi sadico, ma al contempo estremamente corretto: i controlli sono reattivi, gli ostacoli sono posti con minuzia certosina e anche se ad ogni morte rinasceremo in un punto casuale del livello (particolarità che aggiunge un pizzico di variabilità nella sfida), quando si va incontro ad un game over la colpa è imputabile solo ed esclusivamente al giocatore.
Non ci sono aggiunte particolari che vanno ad impreziosire Velocibox, niente extra da sbloccare, niente modalità multigiocatore (se non la possibilità di visualizzare le classifiche), il design è semplice ma funzionale così come la musica elettroncia che vi stordisce durante il gioco. Tutto ruota (letteralmente) intorno alla singola meccanica che permette di spostarsi da un muro all’altro. E ruota dannatamente bene. Sicuramente Velocibox non saprà accontentare tutti e si rivolge solo ad una stretta, strettissima fetta di giocatori, ma se siete tra questi impavidi che cercano un’esperienza alla “ancora un’altra partita e poi stacco”, se non vi spaventa l’idea di bruciarvi il cervello tra continui cambi di prospettiva, allora questo è il titolo che fa per voi.