Sono in difficoltà. Lo ammetto. Trattare determinati temi con alla base una società come la nostra non è mai facile. Ma confesso di essere impaziente di mettermi in gioco e di dire la mia su un topic a cui, personalmente, tengo molto: le donne nei videogiochi. Ebbene, mi rendo conto che possa sembrare l’ennesimo articolo smielato – e di parte – per attirare le attenzioni di un pubblico sempre più pigro, che pretende di conoscere il medium attraverso una top o un video su YouTube. Quindi vi dico in partenza che no, questa non è una trovata pubblicitaria e no, non sentirete parlare dei vostri personaggi preferiti. Del resto, non possiamo certo incolpare noi stessi se siamo stati abituati a standard che, nati come anticonformisti e rivoluzionari, sono diventati fastidiosi stereotipi di terzo ordine. Un po’ come un pranzo domenicale in famiglia. Altrettanto fastidioso è il modo in cui la community tenta di inculcarci barbaramente un pensiero obsoleto e sì, decisamente controproducente. Il motivo? La donna – esattamente come la sua controparte – non può essere rappresentata dalle classiche figure che, ribadisco, sono diventate banali nel tempo. Quindi, è giunto il momento di analizzare insieme alcune delle personalità più forti ed influenti degli ultimi anni.
Kara – Istinto materno
“I know you think we’re just machines… but since I met Alice, I know I can feel things… I care for her, I fear for her, I can’t be happy if she’s not… This probably doesn’t make any sense to you but… I know she changed me somehow…”
Ed è esattamente da questa citazione che voglio partire. Da brividi, non è vero? Ebbene, queste sono le parole di un androide di Detroit: Become Human. Altamente all’avanguardia e programmata per essere un’umile servitrice dell’uomo, non passerà molto tempo prima che Kara inizi a sviluppare una propria coscienza. Nata dall’affascinante, quanto complessa mente del designer francese David Cage, è l’esempio lampante di come una ragazza, anche se in difficoltà, possa amare ed accudire una bambina. Ed è dunque per questo che provo un inaspettato orgoglio nell’associare il suo personaggio all’istinto materno. È giovane, bella e coraggiosa, capace di “frantumare qualsiasi barriera” che le ostruisca il cammino pur di portare in salvo la sua bambina, che per troppo tempo ha sofferto immeritatamente. Autentico esempio di sacrificio ed autorealizzazione, le nuove generazioni di ragazze e ragazzi dovrebbero tenere a mente le sue gesta, e perché no, studiare il suo personaggio e renderlo personale. Se ci pensate, l’istinto genitoriale è diventato un privilegio per pochi oggigiorno. Credo che sia giunto il momento di rivedere le nostre priorità.
Dina – Religiosa fedeltà
Con The Last of Us Parte II sono state mandate all’aria numerose convinzioni popolari, tra cui l’impossibilità di stravolgere un brand per rimanere fedeli alla propria community. Ebbene, Naughty Dog ha fatto la sua scommessa, ma non è il caso di parlare dell’opera completa quando abbiamo uno dei personaggi più umani – e sottovalutati – degli ultimi anni: Dina. Conosciuta per essere la fidanzata della temeraria Ellie, la dolce ragazza di origini messicane avrebbe avuto molto da raccontare. Il suo estro ribelle, accompagnato da una singolare bellezza, che non tutti i giorni ci è possibile vedere, rendono il giocatore più sensibile, inavvertitamente pazzo di lei. È poco più di un’adolescente, eppure, nei suoi occhi bui è possibile trovare una donna che ha sofferto, ma che ha saputo rialzarsi più di una volta. Umile e fedele, a differenza di molti personaggi femminili dello studio losangelino – e in particolare cito Elena Fisher di Uncharted – possiede quell’innato senso di sovversione che le farà commettere scelte fuori dal pensiero comune, rendendola così spietatamente matura e sicura di sé. E, per la prima volta, abbiamo difronte una ragazza religiosa e propensa alla preghiera. Pura utopia per il mondo in cui viviamo. Basta con i classici personaggi del gentil sesso che soccombono al protagonista perché “trama vuole”. Dina sa come farsi rispettare. Finalmente.
Sadie Adler – Omne ignotum pro magnifico
Chiudo il mio approfondimento con, a mio avviso, l’esponente massimo della donna all’interno della game industry. Sadie Adler, direttamente dalle pericolose strade di Armadillo di Red Dead Redemption II, ha letteralmente stravolto ogni mia convinzione. La sua esistenza è dovuta tutta dall’opera Western per eccellenza targata Rockstar Games, che nel 2018 ha sbaragliato gli standard del medium uscendo in scena con un’autentica opera d’arte. Con una scrittura impeccabile, mirata a sviscerare le paure e le emozioni più recondite dell’uomo, la giovane Sadie gode di un carisma e una personalità al di fuori di ogni misero schema costruito per far apparire la donna come un oggetto di piacere. È tenace e coraggiosa, capace di spiccare tra un mucchio di criminali e ubriaconi con la sua bellezza ed astuzia. Per non parlare del suo timbro di voce: rauco e soffocato, che nasconde una mondanità abusata dalle circostanze e dal tempo. In altre parole, un infuso di afrodisiaci versi musicali. Condividere il viaggio con lei sarà indimenticabile… ma non per tutti. Infatti, l’unica colpa che potrebbe essere attribuita a questo personaggio, è quella di essere caduta nel baratro del dimenticatoio. Ma siamo sicuri che questa responsabilità sia la sua? Mi rendo conto che figure del genere possano spaventare un pubblico non ancora pronto ad affrontare la realtà. Una realtà scomoda, disumanizzata e stereotipata, dove in pochi riescono a delinearne dei pregi e quasi nessuno riesce a guadagnarci. Lecitamente.
E finisce così il nostro breve, ma intenso approfondimento su tre delle più grandi donne dei videogiochi. È giusto ribadirlo ogni volta che si ha l’occasione per farlo. La potenza di tale figura, che ha fatto il suo ingresso nel medium negli anni ’80, ha da sempre affascinato il videogiocatore. Dal più casual e spassionato all’hardcore gamer puro. E, sebbene sia stato fatto nel peggiore dei modi, sessualizzando la donna fino a farle toccare il più basso e discriminatorio livello umanistico, non vuol dire che sarà per sempre così. A patto che si conoscano le giuste ambasciatrici per far breccia nei cuori, ma soprattutto nelle menti, delle nuove generazioni, di persone.
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