Song of Horror Recensione – La paura dell’ignoto è una brutta bestia

Song of Horror Recensione PC | Con il passare degli anni, il genere dell’horror è diventato un importante archetipo della cultura pop e della letteratura di consumo, conquistandosi anche una posizione importante all’interno della filiera videoludica moderna. Molto tempo è passato dalla storica trilogia di Alone in the Dark, che ha dato alla luce un nuovo sbocco di un medium con molto potenziale per i temi dell’orrore come può essere il videogioco. Tuttavia, quando abbiamo a che fare con queste tematiche, dobbiamo domandarci, con occhio analitico, cosa funzioni e cosa no in questo tipo di titoli: sicuramente l’interattività e la possibilità di esplorare liberamente gli scenari sono un esempio lampante dell’influenza e del potenziale creativo del gaming interattivo. La mente umana, dopotutto, utilizza la fobia come un meccanismo di difesa e di preservazione, e compresi i motivi che ci spingono al terrore potremmo avere modo di effettuare un’analisi più profonda. Tuttavia, anche la paura può essere arte, e per diventarlo deve essere suscitata nella maniera giusta. Quando guardiamo alle opere di autori come Edgar Allan Poe o Howard Phillips Lovecraft, ci possiamo accorgere come la minaccia principale di cui ci parlano è quella dell’ignoto. Gli esseri umani per natura temono ciò che non conoscono; luoghi inesplorati, persone sconosciute, la morte… compreso ciò possiamo immaginare l’abisso incolmabile tra la Paura come arte e quella meramente commerciale, fatta di jumpscare, suoni acuti e trame ricolme di cliché e tropi troppo prevedibili. Un buon esempio all’approccio corretto al tema può provenire da Song of Horror, survival-horror sviluppato da Protocol Games e Raiser Games già disponibile su PC, con il quinto episodio disponibile da oggi. Senza indugi prepariamoci ad essere terrorizzati ed immergiamoci nell’abisso di incubi di questo titolo.

Come in tutti i casi dei giochi che prendono diretta ispirazione dai capolavori letterari, anche le vicende di Song of Horror cominciano con una storia. L’uomo al centro della nostra vicenda è Sebastian P. Husher, un grande scrittore proprietario dell’omonima Husher Mansion, luogo centrale dell’inizio del gioco. Il nostro primo personaggio sarà il giovane Daniel Noyer, impiegato dall’editore che si occupa delle pubblicazioni letterarie del professor Husher. Pare che, da quasi tre giorni, non si abbiano notizie del luminare, così verremo contattati da Etienne Bertrand, suo diretto superiore e responsabile dell’ufficio per il quale il giovane lavora. Sebbene sia venerdì sera e il nostro beniamino pregusti un weekend di riposo da dedicare alle sue passioni, pare che il suo responsabile abbia altri piani per lui, dato che verrà inviato a rintracciare il professore, e se possibile, recuperare il suo prossimo manoscritto destinato alle stampe. Così, lo sfortunato Daniel sarà costretto a salire in auto e recarsi alla villa per assicurarsi che vada tutto bene.

Giunti in tardo pomeriggio alla dimora dell’erudito scrittore, ci accorgeremo presto che qualcosa non va in quella casa: la porta è socchiusa e l’abitazione è piuttosto in disordine, come se la famiglia fosse in procinto di abbandonarla. Degli occupanti dell’edificio neanche l’ombra, l’unico suono che si può udire per tutta la dimora è l’inquietante carillon del professore, che dal suo studio si irradia per tutta la Husher Mansion. Dopo aver esplorato un po’ la lussuosa quanto antica residenza, finiremo per entrare nello studio del buon Sebastian, finendo per gravitare verso una strana porta con un alone scuro attorno a sé. Il nostro protagonista avrà la malaugurata idea di entrarci: evidentemente non è consapevole di trovarsi in un videogame horror. Finito in quella trappola, susciterà presto le preoccupazioni di altri due impiegati della sua agenzia: il distinto Etienne e Sophie van Denend. Saranno loro due assieme ad altri personaggi a dover continuare l’investigazione.

 

Cosa è successo a Sebastian Husher? Quali segreti nasconde questa storia? Cosa ha in comune con le altre quattro?

 

Questa sarà solo la prima di altre quattro delle vicende che affronteremo all’interno del titolo; storie diverse ma con elementi comuni e con chiara ispirazione. Il concetto principale su cui graviterà tutto sarà, infatti, basato sul concetto dell’ignoto e sull’idea di un pericolo indiretto, astratto, ma sempre presente. Il vero nemico di Song of Horror per noi sarà l’intelligenza artificiale, impossibile da ingannare e da cui non potremo sfuggire se non chiudendo il gioco. Nel corso della partita, l’IA studierà il nostro modo di giocare e calcolerà la strategia migliore per spaventarci. In base alle nostre reazioni e al nostro corso di azione darà luogo ad eventi diversi che metteranno a dura prova i nostri nervi. Ad esempio, giocando in prima persona, io ho approcciato l’esperienza con un atteggiamento metodico e ragionato: ho esplorato a fondo tutta la villa prima di iniziare ad investigare, osservando con cura tutti i luoghi dove nascondermi ed eventuali vie di fuga. Non appena ho iniziato ad investigare sulla sparizione degli altri personaggi, l’IA ha cominciato a mettere in campo la sua strategia per cercare di farmi desistere. Suoni strani, apparizioni e… mostri delle porte. Ho subito compreso come il mio avversario virtuale puntasse a mettermi con le spalle al muro, costringendomi a fare attenzione ad ogni cambio di scena per evitare di perdere la partita; non mentirò dicendo che in alcuni frangenti l’esperienza è stata spaventosa, specialmente quando gli eventi si verificavano mentre la mia attenzione era concentrata su altri elementi dell’opera, come la lettura dei documenti. Sono stati proprio questi i momenti in cui il mio avversario ha deciso di colpire, arrivando a destabilizzarmi in diverse occasioni.

Song of Horror
La Husher Mansion sarà un luogo fondamentale della vicenda che vivranno i nostri personaggi; ricolma di enigmi e misteri ci toccherà esplorarla da cima a fondo per scoprire di più.

Dal punto di vista del gameplay, l’esperienza del titolo sarà divisa in sequenze cinematiche, che mostreranno il progresso della vicenda, e sequenze di gioco attivo dove avremo modo di navigare l’ambiente in fixed camera, esplorandolo quasi liberamente mentre cercheremo di risolvere dei puzzle e degli enigmi per continuare a progredire. Sarà proprio in questa fase che l’operato del sistema virtuale dell’opera sarà più evidente. Durante il momento attivo avremo modo di controllare individui sempre diversi: ciascuno di loro avrà una storia e un carattere differente, che influenzeranno certe statistiche. Una guardia notturna avrà molto più sangue freddo e sarà in grado di resistere maggiormente alle insidie dell’oscurità, ma magari potrebbe avere uno spirito di iniziativa meno lampante rispetto ad un giovane ferroviere, che si è introdotto nella villa incuriosito dalla porta aperta. Se il nostro avversario riuscirà a terrorizzare noi e il nostro avatar, questo andrà in panico e darà via a delle sequenze di quicktime event per la sua sopravvivenza. Seguendo il ritmo del suo battito cardiaco dovremo riuscire a recuperare le sue facoltà mentali, prima che venga letteralmente inghiottito dall’oscurità. Qualora riusciremo a farlo riprendere, l’intelligenza artificiale ci lascerà in pace per qualche tempo, calcolando la sua prossima strategia. Se invece verrà sopraffatto, perderemo quel personaggio. Dopo la morte di uno di loro, si torna al menù per selezionare il prossimo, con lo scopo di continuare l’investigazione; terminati tutti i personaggi, la speranza è persa. Un loop semplice che funziona e offre ai giocatori la possibilità di apprendere dai propri sbagli, nel tentativo di svelare la verità dietro ciò che sta succedendo.

 

Con dei puzzle ben pensati e delle sequenze cinematiche di buona fattura, Song of Horror ci garantirà un’ottima esperienza anche grazie all’apporto del computer, che renderà ogni partita imprevedibile.

 

Graficamente, la qualità degli contenuti cinematici e delle cutscenes del titolo è ottima: il dettaglio e la grafica delle scene mettono ancora meglio in luce come l’intero impianto videoludico voglia essere un tributo ragionato a quel corpus di elementi che costituisce il tropo del racconto dell’orrore. Queste saranno davvero immersive e ben pensate, contribuendo a dare decisamente un valore positivo all’intera esperienza. Stessa cosa non si può dire della grafica durante il gameplay: con fenomeni di aliasing e di scattering ben evidenti e, in alcuni casi, persino di artefatti, sembra proprio che non ci sia stato un lavoro di ottimizzazione dei modelli e delle mesh. Le cromaticità sono piuttosto monotone e in alcuni casi anche sgradevoli. In gioco forse abusa troppo dell’oscurità per poter voltare le spalle al design dell’ambiente e alla creatività dello scenario. Si finisce così per cadere in un tipico cliché di questi titoli, che ci vede impegnati nei soliti ambienti senza luce, tipici del genere: seminterrati, edifici abbandonati, luoghi isolati e simili. Un facile fallo su cui ricadere quando ci si occupa del design di questo tipo di contenuti, che però viene risolto in parte negli episodi successivi del prodotto, dove possiamo assistere ad una maggiore varietà degli ambienti.

Song of Horror
Esplorando la villa scopriremo la quotidianità dei suoi occupanti: cose come lettere, appunti, disegni ed oggetti di ogni giorno ci daranno una fessura sulla vita degli abitanti della Husher Mansion.

La componente atmosferica di Song of Horror, assieme alla storia, costituiscono due punti di forza incommensurabili del titolo, che saranno il principale catalizzatore che ci spingerà a progredire, cimentandoci nelle sfide e negli enigmi che ci troveremo ad affrontare. Alcuni di questi saranno originali e ci richiederanno una buona capacità di deduzione ed analisi, mentre altri si baseranno principalmente sull’esplorazione e la raccolta di oggetti utili necessari a sbloccare nuove aree esplorabili. Così ci toccherà dedurre codici di casseforti, trovare la tecnica per raccogliere elementi finiti in spazzi difficili da raggiungere e la necessità di riparare equipaggiamenti danneggiati che ci sbarrano la strada. Un classico di questo genere di sfide, dove viene premiato lo spirito d’osservazione e la capacità di immaginare usi alternativi per tutti gli attrezzi e le cianfrusaglie di cui si impossesseranno i nostri personaggi giocanti. I protagonisti esprimeranno i loro pensieri e sensazioni durante tutto il corso del gioco, e ci daranno la possibilità di comprendere cosa stiano provando, permettendo di immedesimarci nella loro situazione. Questo sarà di grande aiuto quando dovremo comprendere i motivi che li hanno spinti ad approcciare in modo così incauto la grande oscurità che si è impadronita dei luoghi in cui ci troveremo letteralmente a brancolare nel buio, con il solo aiuto di una fidata torcia.

 

Progredendo, scopriremo come tutto non sia come sembri e come dei segreti indicibili siano collegati, a doppio filo, con le esperienze che vivranno i nostri eroi. Riusciremo a liberarli (e a liberarci) dal male?

 

In conclusione; se siete dei giocatori che amano immergersi nelle vicende, che danno valore non solo al gameplay ma anche alla profondità del mondo di gioco, Song of Horror potrebbe essere il titolo per voi. Il suo format episodico, unito all’uso lungimirante dell’intelligenza artificiale, offre un valore aggiunto all’esperienza che potrebbe costituirsi come lo schema ideale per voi. Se preferite opere dove le vostre azioni hanno maggiore impatto e dove godere di più libertà, le pareti del prodotto potrebbero cominciare a starvi strette. In certe fasi si nota una netta limitazione delle scelte del giocatore, che non può, ad esempio, rifiutarsi di rispondere al telefono, scegliere di esplorare prima certe aree rispetto ad altre, decidere con maggior libertà come gestire le difficoltà che si verranno a creare all’interno dell’impianto videoludico o, semplicemente, cambiare paradigmi. Credo che nel 2020 vedere ancora muri invisibili in giochi di questo calibro sia molto grave, e benché comprendo l’utilità narrativa di spingere il giocatore a vivere l’esperienza sul solco di quanto ha tracciato lo sviluppatore, credo anche che impegnarsi maggiormente per offrire allo stesso un mondo sempre profondo e aperto sia maggiormente soddisfacente. La formula dello stesso sarebbe ancora più vincente se le tematiche narrate fossero procedurali e al fruitore venisse data maggiore libertà. Chissà se negli anni a venire l’IA non diventerà una componente essenziale del medium…