Duri si diventa, o come viene chiamato originariamente negli States, luogo in cui il film è uscito a marzo, Get Hard: una pellicola che in soli 100 minuti di durata complessiva si propone l’arduo compito di far passare in Italia le commedie “buddy movie” che a noi abitanti dello stivale non sono mai piaciute moltissimo. Se a questo difficile intento si aggiunge una comicità fortemente incentrata sui contrasti sociali e razziali e la presenza attoriale di Will Ferrel, mattatore dell’ironia che non ha mai ricevuto un grande apprezzamento da parte del pubblico italico, allora possiamo comprendere come Adam McKay, produttore e autore della storia e il regista Etan Cohen (da non confondere con il quasi omonimo Ethan Coen) si sono prefissati di raggiungere un arduo compito, almeno qui in Italia. Una missione impossibile quindi ?  O sarà bastato il grande talento di quel zuzzurellone di Ferrel per salvare capra e cavoli ? Per quanto non ci sia suspance, dato che sicuramente avete spiato il voto finale della recensione, vediamo cosa è andato storto e cosa no in Duri si diventa.
Se abbiamo definito la missione dell’accoppiata Coehn/McKay come ostica, ancora più impossibile sarebbe per il ricco professionista della finanza, James King, protagonista del film, rovinare la propria vita. Il finanziere ha infatti tutto, dal successo ai fondi economici, da una bella villa a dei domestici, sino ad arrivare, infine, all’ormai imminente matrimonio con la figlia del proprio capo. Eppure, gli eventi prendono una brutta piega quando James viene accusato ingiustamente di frode, incastrato da una losca macchinazione e condannato a dieci anni di carcere nel temibile penitenziario di San Quintino. Prima che la sentenza si attui, James avrà quindi trenta giorni di tempo per tentare di abituarsi all’idea di dover rinunciare al lusso che l’ha sempre accompagnato, operazione che gestirà con l’aiuto di Darnell, ragazzo afroamericano interpretato da Kevin Hart e presunto ex galeotto che è disposto ad insegnargli, previo lauto compenso, la dura legge della strada. “Presunto”, esatto, poiché in realtà dall’alto della sua bassa statura, il personaggio interpretato da Hart è “più bianco di James” non avendo mai nemmeno preso una multa per divieto di sosta manco per sbaglio e sognando da sempre la vita agiata di quei clienti che fanno visita al suo autolavaggio.
Tra queste premesse, in vero non proprio originali, si potrebbe dire che vi è tutto il film. La produzione di Cohen è infatti una commedia che si concentra fortemente sul conflittuale rapporto tra i due gregari, personaggi che, a causa del gioco delle parti a cui devono sottostare, sono diametralmente opposti: uomo bianco di alta statura e nato con la camicia James e afroamericano minuto e apparentemente malavitoso Darrel.  Non c’è niente che sconvolga la dicotomia bianco/nero in quella che dovrebbe essere una critica sociale allo stile di vita delle classi più abbienti e al mondo spregiudicato della finanza ma che, a causa di una scrittura un po’ povera, assume invece un carattere pretenzioso e sterile nella sostanza, apparendo avvolte anche un po’ troppo stereotipato.
Il film segue poi un secondo filone che è quello degli spunti sessuali: uno dei pericoli maggiori a cui la permanenza di James potrebbe esporlo è indubbiamente quello di essere stuprato. Non stiamo parlando di sottili riferimenti all’atto sessuale, ma di un vero e proprio motivo portante di alcune gag, rese in maniera esplicita e che hanno valso al film, in patria, l’accusa di essere un’opera omofoba. Pur non arrivando questo eccesso, il che equivarrebbe a dare troppo credito alla valenza “seriosa del film”,  le parti in cui vengono messi in mezzo (letteralmente) uccelli e rapporti orali con omosessuali  sono forse le più becere e meno riuscite di tutto il film, risultando volgari o semplicemente “stupide”.
Eppure, l’offerta di Duri si diventa non è completamente da buttare: la comicità incentrata sul percorso formativo di James all’interno della vita criminale regala qualche sorriso e strappa qualche sincera risata con un paio di scene davvero ben riuscite. Il merito di questa impresa, considerando il contesto, è sicuramente di una sufficiente intesa tra i due attori protagonisti e, soprattutto, della bravura di Will Ferrel, qui alle prese con una buonissima performance, seppur non delle migliori da parte sua. L’arte del comico statunitense può piacere come non, ma c’è sicuramente da dire che il suo talento ha un valore oggettivo e che, nel personaggio di James, riesce ad esprimere tutta quell’ironia che scaturisce dall’imbarazzo e dall’inettitudine delle sue maschere e che tanto gli è cara. Kevin Hart invece, dopo Il Grande Match riconferma  il suo talento risultando però meno convincente del collega e meno capace di reggere la scena da solo.
Alcuni potrebbero quindi definire Duri si diventa come un’americanata e, in parte,  nel bene o nel male, avrebbero ragione. Pur non offrendo assolutamente nulla di nuovo, un certo tipo di umorismo è infatti forse un po’ lontano dalle corde dell’italiano medio, così come non tutti potrebbero essere capaci di vedere in Farrel il talento che ha. Questa prima esperienza come regista da parte di  Etan Cohen si dimostra quindi molto carente in più aspetti e  connotata da una scrittura generalmente povera, ma viene salvata (in parte) dal filone comico del confronto sociale che, senza le pretese di vederci chissà quale sagace attacco alla casta americana, strappa qualche risata. I due attori protagonisti, Farrel in particolare, si dimostrano persino superiori al livello generale della sceneggiatura aggiungendo quel punto in più che potrebbe valere la visione dell’opera, qualora foste estimatori di questo genere di produzioni e foste disposti a passare sopra alcuni difetti. Molti difetti.
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