Feel Good Recensione| Cos’è che ci fa stare bene? Ci sono davvero molti aspetti della nostra vita che potrebbero essere migliorati e che ci fanno paura. È facile quindi cadere in dipendenze, non solo quelle più comuni. Amore, sesso, droga, famiglia, tecnologia possono tutti diventare qualcosa di cui non riusciamo a fare a meno. Essere perennemente in viaggio per cercare noi stessi ci porta ad inciampare nei nostri dubbi e, delle volte, anche a lasciar perdere. A credere di non essere abbastanza. Ed è qui che si insinuano le insicurezze, si diventa marci prima di accorgersene davvero, toccando un fondo, concreto o astratto, da cui poi sarà difficile ripartire. Mae Martin è una ragazza canadese che sta cercando di mantenere il controllo nella propria vita, ma non è facile essendo una tossicodipendente in via di una guarigione forzata e non seguita. Feel Good, serie originale Netflix, sulla stessa attrice che si auto-interpreta e ci racconta la sua storia in un’autobiografia ironica, romantica, commuovente e soprattutto reale.
Il taglio comico di Feel Good è uno dei perni principali che riscontreremo in ogni singolo episodio. Ben 6 puntate da 25 minuti, dove si rincorreranno risate e momenti toccanti che, per i più emotivi, riusciranno anche a far commuovere. Raccontandoci quindi la sua stravagante quanto fragile realtà, Mae dovrà fronteggiare le varie difficoltà che una persona dipendente da droghe deve superare. Inizialmente contraria all’idea di un gruppo di sostegno, troverà conforto in altri modi che, a lungo andare, la feriranno ulteriormente senza farla migliorare. Una storia del genere sarebbe pesante, ma è proprio qui che subentra il lato comico dello show. Grazie a questi momenti, rappresentati anche da una serie di sketch, eseguiti proprio dalla protagonista e dalla combriccola di un pub presso cui lavora, ritroveremo molto della sua vita in chiave ironica. Ma, oltre al pubblico entusiasta, non ci saranno molti altri a ridere e noi sapremo bene da dove arrivano tutte quelle battute che, vissute qualche scena prima, avranno un tono molto più triste e cupo. Oltre a tutta questa autoironia però, c’è qualcos’altro che riesce a far respirare Mae: George. Conosciuta durante una delle sue esibizioni, diventerà la sua ragazza ma, anche qui, non tutto è come sembra e gli scheletri nell’armadio presto inizieranno a farsi sentire. Uno dei fattori più interessanti dell’intera serie tv è il modo in cui è stato trattato il loro incontro, permettendoci di non stancarci con le solite tiritere romantiche e di focalizzarci sul vero tema: lo stare bene.
Nonostante alcune pecche nel lato tecnico, c’è molto da imparare da ogni singolo personaggio.
La sessualità, mai estremizzata e qui toccata con una delicatezza e normalità davvero ammirabili, sarà una delle problematiche da risolvere per Mae e la ricerca di un amore introvabile, rispecchierà i suoi demoni peggiori. Il rapporto con la compagna George verrà sempre visto tramite un filtro realistico che non ammicca né all’amore platonico né al mero sfogo, come accadeva in alcuni film o serie tv vecchio stile. Qui non serve fare scalpore o combattere per i propri diritti, perché si sta raccontando prima di tutto la vita di una persona malata che non sa come guarire; quale sia poi il suo genere non ha importanza, proprio come la protagonista ribadisce svariate volte durante gli episodi. Un punto a favore anche per non aver obbligato le due ragazze a dover avere dei ruoli precisi ma, anzi, di contrastare questo stereotipo in numerosi dialoghi, anche litigi. Essendo tratto da una storia vera, lo show tenta in qualsiasi modo di non cadere nel banale, assicurando risate anche in momenti davvero duri e difficili che altrimenti sarebbero diventati troppo pesanti, fino a decidere di cambiare registro e farci riflettere seriamente. Con un comparto tecnico migliore avrebbe sicuramente giovato l’intera visione. Infatti, né sul lato sonoro né su quello registico ci sono state delle vere e proprie vittorie anche se, così facendo, l’intera visione si è focalizzata maggiormente sui dialoghi, semplici e intuitivi. Una scelta rispettabile, ma che avrebbe potuto essere curata maggiormente, garantendo più empatizzazione.
Feel Good è una di quelle serie tv che sfortunatamente non verrà vista da molti, se non da una solida e solita community indirizzata su ciò che viene mostrato di più nei trailer. Ma nonostante qualche punto a sfavore, la fluidità e quotidianità di ogni episodio si scandiscono in una serie di punti ben precisi della dipendenza e della guarigione. Fortunatamente, l’identità dello show non sfuma nemmeno durante la propria conclusione, forse troppo velocizzata, permettendoci di apprezzare riunioni, chiarimenti ed anche dipartite dei vari personaggi. Grazie all’umanità mostrata da ogni singolo personaggio, saranno molti quelli che riusciranno a fare breccia nel vostro cuore, garantendo qualche sorriso e tanta comprensione anche da chi non è mai stato dentro un mondo del genere, né personalmente né in altri modi. C’è chi troverà davvero spassosa la sponsor vecchietta che si ribella al gruppo, ma che in realtà cerca di non drogarsi più per ricostruire un rapporto distrutto con la propria figlia; o un’altra signora che si vede con 9 uomini escluso suo marito per non pensare ad un’altra dose. Insomma, ognuno troverà il proprio preferito e nessuno sarà veramente fastidioso o mal costruito. Per tutti questi vari motivi, ci sentiamo di consigliarla, sperando che dopo la visione si sia imparata o ricordata una cosa importantissima: dobbiamo stare bene.