Honey Boy Recensione

Honey Boy Recensione | Una delle più grandi paure che accomuna gran parte delle persone è quella di rimanere soli. Soprattutto se ad abbandonarci sono i nostri genitori. Per un bambino, una tale circostanza è più che terrificante e drammatica, peggio ancora se si trova costretto a badare a sé stesso sin dalla tenera età. Ciò che più si rimpiange da adulti è una figura materna o paterna e la mancanza di esperienze e storie da raccontare vissute con loro. Oggi più che mai, è diventato un privilegio poter contare su qualcuno che ci ami veramente e chi più di una madre o un padre potrebbe farlo? Ebbene, per testimoniare quest’atto d’amore, Shia LaBeouf ha scelto di raccontarsi attraverso il grande schermo, spiegando il suo rapporto con la figura maschile della famiglia.


Spesso i ricordi sono più taglienti di una lama e il passato non fa altro che premere l’arma sempre più a fondo. Il racconto autobiografico dell’attore è colmo di significato, rappresentando una verità, sebbene scomoda, che l’ha fatto diventare l’uomo che è oggi. Le brutte esperienze possono segnare in modo indelebile la psiche di una persona, ma il segreto sta nel trovarne un senso ad ogni costo. Contando su un padre ( James Lort, interpretato da LaBeouf, Otis nella vita reale), che potrebbe sembrare scorretto e poco ortodosso, il piccolo artista riesce sempre a guardarlo negli occhi, senza temere i suoi improvvisi scatti di ira. Le psicosi dell’uomo che dovrebbe occuparsi di lui fortificano brutalmente il carattere di un dodicenne che ancora non è pronto a crescere, nonostante ne sia convinto. Il rapporto conflittuale, accompagnato da un amore che non riesce ad esprimere, porteranno Otis (Lucas Hedges) a scontrarsi con sé stesso, molti anni dopo la morte del padre.

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Il rapporto d’amore e odio con il padre fortifica brutalmente il carattere di Otis.

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Attore emergente di successo, Otis (Noah Jupe) riesce da subito ad ottenere un’indipendenza economica, grazie ai numerosi ruoli che svolge ogni giorno sul set. Al suo fianco, c’è un padre che crede fortemente in suo figlio, ammirandolo e istruendolo con un carattere eccessivamente forte, ma giusto. La sicurezza di avere una casa ed uno stipendio garantisce a James di adagiarsi sulle spalle del suo successore, motivo per cui non lo abbandona. La pellicola presenta due realtà: passato e presente. Mettendosi continuamente in dubbio e affrontando i suoi problemi con il controllo della rabbia, un Otis adulto è costretto a rimuginare su eventi ormai andati, che lo hanno fatto diventare ciò che è oggi. E se da un lato rimpiange di non aver mai detto al papà “Ti voglio bene”, dall’altro lo ripudia, considerandolo come un parassita che si è approfittato di lui.

L’espressione di chi, a dodici anni, ha già imparato a rassegnarsi.

L’arido sole californiano fa da spettatore ad una storia coraggiosa e coinvolgente. Straziando il pubblico con vicende quotidiane, si intuisce da subito la situazione in cui veniamo catapultati. L’infanzia burrascosa del ragazzo viene raccontata attraverso un taglio maturo e ben preparato, senza esclusione di colpi. I sogni e le speranze che nutrono il cuore del bambino gli si ritorcono contro continuamente, mostrandogli perennemente un’immagine del padre sbagliata. Quest’ultimo, sentendosi minacciato da quelle che vede come provocazioni da parte del figlio, innesca una serie di reazioni a catena che spingono i due a convivere ogni giorno sul piede di guerra. Pertanto, questo rapporto malsano li scorterà lentamente verso il declino totale, al punto da fargli commettere scelte di cui potrebbero pentirsi. La figura paterna, da come è stata descritta, potrebbe risultare spregevole e di cattivo esempio. Al contrario, James è un uomo che sa di aver sbagliato e per non ripetere gli errori del passato, si sta dedicando interamente al proprio ragazzo, dimostrandosi duro e severo per il suo bene. Un comportamento che dalla controparte non viene compreso, nemmeno una volta cresciuto, o meglio, viene omesso dai racconti che emergono dal suo diario personale che usa come sfogo giornaliero.

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Il padre è motivato a cambiare in meglio, una volta per tutte.

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Il continuo balzo tra un ricordo e l’altro, per poi tornare alla realtà, manda in confusione Otis adulto, che ad un certo punto della trama non riesce più a rendersi conto se stia recitando o meno, sprofondando nell’angoscia dei suoi sentimenti, peggiorando ulteriormente la situazione. Attimi di delirio, seguiti poi da una calma apparente, vengono serviti attraverso un comparto sonoro variegato, in grado di rispondere ad ogni occasione con il timbro giusto. Per non parlare delle differenze di riprese tra passato e presente. Infatti, la regia ha distinto i due archi temporali dimostrandoli rispettivamente con una camera fissa e studiata, alternandola con sequenze agitate e confusionarie, testimoniando il complesso stato mentale in cui si trova il ragazzo ormai cresciuto. Tra un litigio e l’altro, la piccola star si avvicina a quella che può essere definita come l’unica donna nella sua vita. Presentandosi inizialmente come una futura conquista, lo sbalzo d’età e l’inesperienza del protagonista lasciano intuire l’arrivo di una figura materna inaspettata, insolita. E come la compagnia della ragazza gli scalda l’animo nelle notti dell’ovest, l’amore inizia a trovare spazio tra i sentimenti contrastanti di uno dei personaggi più cauti e maturi del cinema, donandogli una buona dose di sicurezza di cui ha bisogno.

Un caldo abbraccio è ciò di cui Otis ha bisogno. 

In un clima di sofferenza e dolore, le espressioni degli attori spesso non riescono ad apparire convincenti, impedendo allo spettatore di calarsi nella scena e di sentire un brivido lungo la schiena. Attimi di rabbia, seguiti da gesti folli e crisi di identità, non vengono espressi completamente in modo naturale, creando così un divario che impedisce di sfondare la quarta parete, sebbene l’emozione in sala sia tanta. In definitiva, Honey Boy, che sarà disponibile nelle sale italiane dal 5 marzo, è la prova lampante che il grande schermo ha ancora molto da raccontare e può vantare grandi storie, senza servirsi obbligatoriamente di effetti speciali o di trame fantascientifiche. Tal volta è saggio ritornare sui propri passi, iniziando un viaggio con noi stessi alla ricerca di chi siamo veramente, e Shia LaBeouf lo ha saputo fare in un modo che ancora non si era mai visto, perché ha raccontato la verità attraverso un mezzo che si nutre di finzione: il cinema.

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