Speaking Simulator Recensione

Speaking Simulator Recensione | Di questi tempi si sente spesso parlare di intelligenza artificiale. Sicuramente si stanno facendo molti progressi in merito, e ci sono buone probabilità che in questo istante in casa vostra si trovi uno degli assistenti virtuali più famosi, come Google Home oppure Amazon Alexa. Nonostante i tanti avanzamenti tecnologici in questo campo, manca ancora qualcosa… abbiamo dei computer davvero intelligenti, in grado di aiutarci a fare molte cose, come gestire la casa nel campo della domotica, o addirittura a lavorare per noi in una catena di montaggio automatizzata in una fabbrica. Eppure, le macchine che siamo riusciti a costruire peccano in qualcosa… non sono abbastanza umane. Si tratta di un bene? Un male? Sicuramente è una riflessione che vale la pena di fare in questi anni in cui il progresso accelera costantemente e ci porta quotidianamente tante novità. Perché non farlo anche dal punto di vista videoludico? In nostro soccorso giunge Speaking Simulator, titolo indie e simulativo fresco fresco dal team di sviluppo australiano di Affable Games. Il gioco sarà disponibile per Nintendo Switch e PC dal 30 gennaio. Senza alcun indugio andiamo ad analizzare assieme questo prodotto.

Il protagonista di Speaking Simulator è un robot incaricato da forze oscure ed ignote di infiltrarsi tra gli umani. Il suo scopo è molto semplice. La macchina dovrà riuscire a conquistarsi la fiducia delle persone, partendo da situazioni di vita quotidiana, come un colloquio di lavoro o una visita medica, arrivando addirittura a candidarsi alla carica di presidente. Non appena gli stupidi umani avranno abbassato la guardia, allora sarà il momento di gettare la maschera e prendere il controllo del mondo. Dietro l’aspetto di una persona, infatti, si celano uno scheletro d’acciaio e tante cattive intenzioni. Dalla sicurezza delle sue pareti domiciliari, il freddo e malevolo automa pianifica attentamente ogni mossa, potenziandosi e migliorandosi di volta in volta per apparire sempre più umano… o almeno, il piano sarebbe questo, se non fosse che la macchina è decisamente goffa. Sebbene si sforzi di mostrarsi quanto più naturale possibile, in verità l’androide si trova proprio sul fondo della Uncanny Valley. Nonostante ciò, sembra che le persone attorno siano veramente distratte, o forse molto, molto stupide. Ed ecco che di giorno in giorno, fra un colloquio ed una pizza con gli ignari colleghi umani, gli oscuri piani dei nostri futuri padroni sintetici avanzano…

Speaking Simulator
Durante le interazioni con gli ignari esseri umani, toccherà a noi manovrare i meccanismi espressivi dell’androide, dall’espressione facciale, alla posizione degli occhi fino ai movimenti mandibolari.

Il gameplay di Speaking Simulator è composto da atti. Il nostro protagonista comincerà la sua infiltrazione nella società umana dal basso: fresco di ufficio di collocamento, si trova ora alle porte di una grande azienda del terzo settore. Qui, servendosi della sua intelligenza artificiale SUPERIORE e dalle chiaramente CREDIBILI capacità espressivo-facciali di cui è dotato, riuscirà a convincere l’impiegata delle risorse umane ad affidargli una posizione da supervisore. Da qui è tutta in salita verso gli altri atti, in cui lo vedremo impegnato in eventi sociali via via più impegnativi. Servendosi dei pad della Switch, toccherà al giocatore manovrare la lingua, gli occhi e l’espressione dell’androide. All’interno della cavità orale del robot si trovano tre bottoni che azionano il sintetizzatore vocale che, combinato col movimento della mandibola, permette alla macchina di parlare. Sulla parte bassa dello schermo compariranno le parole da far pronunciare, sillaba per sillaba, al nostro TOTALMENTE UMANO protagonista. I dialoghi sono un mix di umorismo e riferimenti più o meno velati alla cultura pop sull’argomento. Si passa da citazioni a youtuber di successo fino a locuzioni di chiara ispirazione fantascientifica e futuribile. Un umorismo sempre vario e mai troppo invadente, che lascia spazio anche a valutare l’entità e l’importanza dei temi in merito. Lo schema dei controlli è legnoso e difficile da padroneggiare, ma ciò è dettato dal mood scanzonato e parodistico del titolo. In altre parole, controllare le espressioni del nostro androide non sarà facile, perché dovrà rappresentare l’ardua sfida legata all’integrazione. In questo modo, il giocatore si proietta nella dimensione sintetica del personaggio, assimilandone le difficoltà adattive.

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Con uno stile visivo pulito e gradevole e delle meccaniche impuntate sulla comicità, Speaking Simulator ha tutti i presupposti per fornire intrattenimento e spazio alla riflessione.

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Dal menu principale del gioco, rappresentato dal dismesso e vacuo appartamento del protagonista, è possibile accedere a due funzioni. La prima, rappresentata dalla poltrona di un dentista, permette al giocatore di potenziare la propria macchina attraverso… i denti. Ciascun dente applicato alle gengive del robot infatti contiene al suo interno un chip ben occultato, che permette di aggiornare e affinare le sue funzioni. Un molare, ad esempio, ci permetterà di migliorare il focus dei bulbi oculari, mentre un canino potrebbe rendere più fluida l’emissione sonora. Una meccanica ben pensata seppur con qualche difficoltà di navigazione all’interno dell’interfaccia utente. La seconda funzione è rappresentata da un plastico cittadino contenente la riproduzione di ciascun edificio del borgo, ove si svolge la nostra vicenda futuribile: dal supermercato al municipio. Qui il nostro eroe pianificherà nel dettaglio ciascuna giornata, permettendoci di selezionare lo scenario e progredire all’interno della storia.

Speaking Simulator
Oltre a progredire nel lavoro e nelle relazioni sociali, alla nostra macchina toccherà anche vivere relazioni romantiche: spetterà a noi far andare tutto per il meglio ed aiutare il nostro SEDUCENTE androide nel gioco dell’amore.

Con uno stile grafico impuntato al minimalismo ed uno schema cromatico gradevole, il titolo si presenta positivamente da questo punto di vista. La colonna sonora del prodotto è orecchiabile e mai fastidiosa; muta di situazione in situazione aiutando i fruitori dell’opera ad immedesimarsi con la macchina in ogni circostanza. Capiteranno dei momenti in cui gli umani dubiteranno di noi: in quelle fasi ci preoccuperemo di venire scoperti, e faremo il possibile per rendere la situazione meno imbarazzante. Dal distogliere lo sguardo dal nostro interlocutore ad emulare delle risate per smorzare i toni, toccherà a noi impedire il game over. Ovviamente, essendo il nostro protagonista un robot, capiterà che man mano che l’interazione sociale va avanti si rompa qualche componente. In quel caso dovremo fare il possibile per non attirare la scarsa attenzione dei nostri interlocutori, che sembrano davvero molto distratti. Non si rendono proprio conto che se una persona inizia a perdere olio dal naso, forse non è una persona… Ma chi dice al lettore che chi ha scritto questa recensione lo sia? Oppure che chi la sta leggendo sia veramente un umano?