Captain Tsubasa VS PES/FIFA: il ritorno dell’Arcade

Due giorni fa il trailer di Captain Tsubasa: Rise of a New Champion ha sorpreso un po’ tutti. Eppure non avrebbe dovuto, dati i numerosi titoli recentemente annunciati/rilasciati a tema Anime, più o meno datati. Ce n’è per ogni palato: DragonBall ha il suo RPG Open World, Kakarot, Fairy Tail ha in sviluppo un JRPG dedicato, mentre One Piece riceve un più classico e testato musou: Pirate Warriors 4. Sword Art Online si fa giocare in Alicization Licoris, un Action RPG, e One Punch Man propone un picchiaduro ad arena 3D. E Captain Tsubasa? Holly e Benji per capirci, quelli che “Hanno la forza dell’umiltà e tanta volontà”. In un panorama videoludico dove Fifa e Pes dominano con le loro simulazioni perfette il mercato del genere calcistico, Captain Tsubasa ci ricorda che esiste, e non è nemmeno tanto male, un’alternativa meno fotorealistica: il gioco di calcio ARCADE. In soldoni, un gioco più rustico, dove l’azione prende il sopravvento e un pizzico, più o meno generoso, di surrealismo si insinua fra i piedi del calciatore e il pallone, che non ha paura di diventare un fagiolo schiacciato con un’aura fosforescente potentissima e scagliarsi violentemente nella rete avversaria, in barba al portiere. Gli Arcade, del resto, sono i primi videogiochi “di massa”, quelli che si godevano nelle sale giochi con i gettoni e non avevano bisogno di istruzioni complesse per essere goduti da fruitori variegati. PES e FIFA, in un certo senso puntano ad un pubblico molto simile a quello delle prime sale giochi, che non necessariamente erano solo un ritrovo per nerd e affini, tutt’altro. Innegabile, però, è la svolta realistico-simulativa presa da entrambi, che li ha sempre più allontanati dai primordiali orizzonti calcistici, appunto, Arcade. Ma cos’è allora nel 2020 un “gioco Arcade”?

Captain Tsubasa

Si tratta di titoli che ancora oggi chiamiamo Arcade perché, una volta erosa la patina del fotorealismo e del convenzionale, nel gioco vengono spesso a mancare tutta una serie di “pretese”: tutto si fa più immediato e accessibile, meno Esportivo (non necessariamente poi, ma vabbè n.d.r.); ma anche, solitamente, più d’azione, visivamente d’impatto e “giocoso”: meno simulativo, appunto. E  gli sviluppatori, più liberi di agire secondo fantasia, non perdono tempo a inserire, che so, un modo per far giocare due squadre contrapposte nei panni di una serie di pinguini, contro dei cavalieri di Struzzi (PES 2006, è tutto vero, controllate). Quindi oggi la definizione di “Arcade” non è più limitata ai giochi veramente “Arcade”, quelli installati fisicamente dentro alle sale giochi, ma piuttosto a tutti quei titoli che, rinunciando a una manciata di regole del mondo reale, limando i controlli e aggiustando il tiro in nome dell’accessibilità, aggiungendo elementi grafici e di gameplay volti a vivacizzare il quadro generale, ricordano i tempi d’oro dell’epoca arcade, con i suoi coin-op e cabinati dai colori sgargianti. Con la differenza che nel 2020 tale “semplificazione” è una scelta, mentre all’epoca, spesso, era una necessità dovuta dalla tecnologia non ancora esattamente “spaziale” (rispetto a oggi). Da quel che abbiamo potuto vedere, Captain Tsubasa è ben conscio di questa scelta, che compie ispirandosi (pensate l’ironia) a una serie tratta da un anime che si ispirava a lui e che ha avuto recentemente un certo successo in terra natia (il Giappone, ovvio): Inazuma Eleven. Più compassato nei ritmi, più moderno nei temi generali e nel mostrare le varie tecniche “calcistiche”, Inazuma Eleven ha riempito un vuoto lasciato dalla volontà dei produttori di giochi calcistici di puntare sempre più al realismo. Un vuoto che, a dirla tutta, non erano in molti a sentire mancante nelle loro vite: eppure c’era. E non appena Inazuma vi si è inserito, le reazioni, sia per l’anime che per la serie videoludica (peraltro curata da una Level 5 che ci sta puntando abbastanza) sono state a dir poco entusiastiche. Non solo, insomma, i vecchi giocatori incalliti di Mario Strikers Charged Football (Wii, 2007) o i fan dell’anime si sono fiondati sulla serie con passione, ma anche tutti coloro che da sempre desideravano un’ibridazione fra il nobile gioco del calcio e qualcosa di non meglio definito/definibile. Qualcosa che, siamo certi capirete, solo un‘opera è in grado di offrire davvero, al meglio: proprio… la componente arcade. 

Captain Tsubasa

E sì che le avvisaglie ci sono sempre state, sia sotto forma di titoli calcistici come Super Sidekicks (Neo Geo, 1992) o, ancora meglio, Soccer Brawl (Neo Geo, sempre 1992), esempi folli di come si stesse tentando una strada più dissestata, meno rifinita, forse più divertente per i videogame sul calcio. Sia, tornando sui lidi di FIFA, con il plauso del pubblico a FIFA Street, oggi rinato con la modalità Volta: tutto fuorché realistica o competitiva in senso stretto, per questo… più divertente per i fruitori casual (la maggioranza). Sia, infine, (Nintendo insegna) con versioni di vari sport in salsa “Mariesca”, i vari Mario Tennis, Mario Kart, Mario ai giochi Olimpici e via dicendo. Che poi nell’ultimo Mario e Sonic ai giochi Olimpici 2020 è presente un mini gioco sul calcio che ricorda tantissimo Strikers, e fa venire gli occhi a cuoricino a molti. Semplicità, appeal visivo, effetti stroboscopici e nomi altisonanti per colpi al limite della realtà e oltre, tanto oltre: questi gli ingredienti segreti per costruire una valida alternativa allo scannerizzare digitalmente uno stadio per riprodurne una copia esatta in game. Non che si sia nulla di male in questo eh: è solo un modo differente di vedere la stessa cosa.

Mentre attendiamo con ansia, insomma, di poter tirare qualche “colpo della tigre”, ora che siamo certi dell’infinità dei campi su cui corrono Holly e Benji, tanto grandi che ancora oggi la loro corsa su di essi  non è finita, cerchiamo di non dimenticare che in fondo, sia nel calcio vero che in quello virtuale, il punto è sempre e solo divertirsi. Scontato, vero? Non sempre. Ben vengano allora titoli meno realistici, nel caso di Captain Tsubasa persino nostalgici, nel ricordare a una generazione ben specifica che in Giappone fanno telecronache professionali ai bambini di 10 anni; una generazione cresciuta pad alla mano, fatta di adulti che non vedono l’ora di ritrovarsi bambini nella fantasia. Opere più arcade, immediate, titoli più “Fortnite” quasi, similitudine azzardata ma non troppo. Prodotti, non a caso, spesso tratti da Anime, frontiera dell’animazione giapponese in fortissima crescita, da sempre simbolo di immediatezza, spettacolarità, ma anche e soprattutto, di semplicità. “Holly si allena tirando i rigori, Benji si allena parando i rigori” non fa una grinza, chiaro e cristallino oggi come allora: come lo era tutto, in effetti, quando eravamo bambini.