Dragon Ball Z: Kakarot Recensione

Dragon Ball Z: Kakarot Recensione | Ammettiamolo, ognuno di noi da piccolo ha tentato, almeno una volta, di lanciare un’Onda Energetica o di provare la Fusione con il proprio migliore amico. Ebbene, non è semplice fantasia o esagerata esaltazione di un titolo, ma un vero è proprio amore per una saga che ha segnato l’infanzia di chiunque. Goku non ci ha mai abbandonato, persino una volta terminata la lunga sfilza di episodi del cartone animato o i volumetti del manga. È sempre rimasto con noi grazie ad un franchise così ampio da fare gola ancora oggi a Toei Animation, che sforna settimanalmente la serie chiamata Super. Come si è potuto notare, in questi 36 anni, ci sono stati molti videogiochi che hanno tentato di far rivivere le avventure dei Guerrieri Z, ed è proprio qui che subentra l’ultima opera di Bandai Namco Entertainment, il nuovissimo Dragon Ball Z: Kakarot.

Sarà immediatamente giunto agli occhi dei più appassionati quanto questo titolo possa essere interpretato sotto diverse scuole di pensiero. Si sta infatti parlando nel nome Sayan del nostro protagonista, sempre ripudiato ed odiato. Infatti, solo nell’ultimo film uscito nel 2019 (Dragon Ball Super: Broly), Goku stesso si presenta al nuovo arrivato chiamandosi Kakarot. Qui subentra il primo problema: è davvero giusto dare un titolo del genere ad un’opera che, da sempre, valorizza più la parte umana e terrestre che quella aliena e guerriera del nostro eroe?

La sigla che tutti conoscono entra perfettamente nel videogioco, facendo riaffiorare ricordi di un’eterna infanzia

Dopo la schermata nera di avvio, il videogioco si apre con la sigla che tutti conosciamo come la più iconica dell’intero anime (CHA-LA HEAD CHA-LA). Non solo è l’opening per eccellenza, che sin dal 1989 ha fatto sognare tutti, ma ha anche svariate scene totalmente riprese dall’originale. L’intero comparto sonoro è assolutamente equilibrato. Un lavoro davvero impeccabile, apprezzabile da chiunque abbia visto anche un solo episodio. CyberConnect2 dimostra ancora una volta di essere vera appassionata del titolo che sviluppa, come era già accaduto per l’intera trasposizione della saga di Naruto, vista nascere su PlayStation 3 per poi terminare sull’ultima console Sony. Giocando magistralmente con la memoria e la nostalgia del giocatore, gli sviluppatori sono riusciti a ricreare perfettamente l’atmosfera vissuta durante la visione dell’anime. Volando per ogni mappa, sarà possibile incontrare personaggi secondari e vari oggetti collezionabili, come le foto prese direttamente dalla trasposizione televisiva. Si potranno cacciare dinosauri e pesci giganti proprio come accadeva nella vita mondana di Goku, quando ancora era un semplice bambino. È davvero emozionante poter finalmente entrare nelle abitazioni più celebri della saga e chiacchierare con gli abitanti di questo fantastico universo. Molte scene si rispecchiano addirittura per le inquadrature, mentre alcuni dialoghi sono presi direttamente dai testi originali del fumetto. Altri invece non mantengono lo stesso significato una volta tradotti in italiano nei sottotitoli, forse un problema di adattamento. Con lo stesso scopo degli episodi filler, saranno presenti dei momenti di relax, dove si potrà conoscere la vita quotidiana dei nostri eroi. Sarà possibile vedere Gohan andare per fare la spesa per la madre oppure Goku che trascorre più tempo con Chichi. Davvero un ottimo modo per far guadagnare a Dragon Ball Z: Kakarot un posto speciale nel cuore dei fan. Ma proprio perché si sta parlando con gli amanti del brand, è impossibile non notare vari punti che andavano maggiormente curati.

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Lo stile di disegno di Toryiama si riconosce in ogni personaggio, tranne uno…

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Prima di tutto, come ci vuole mostrare il titolo stesso del videogioco, è di Goku che si sta parlando. Il punto fondamentale che fa riconoscere la matita di Akira Toriyama, sono proprio i capelli a punta e le linee spigolose che danno vita ai personaggi. Gohan, Piccolo e gli altri somigliano molto ai loro corrispettivi disegnati nel manga. Non si può dire lo stesso del protagonista. Il nostro povero eroe infatti non ha una capigliatura che lo rispetti al massimo e, agli occhi dello spettatore, sembrerà sempre essere il modello meno somigliante tra tutti. Grave errore che non si era presentato nei titoli precedenti. Vegeta, invece, cambia in base all’arco narrativo. Soprattutto gli occhi diventano sempre meno tondeggianti, proprio come era accaduto allo stile di disegno durante la storia originale. Alcuni guerrieri sono sproporzionati e delle volte hanno delle braccia esageratamente muscolose rispetto al resto del corpo. Con delle inquadrature poi, vengono a galla vari piccoli sbagli nei modelli che si sarebbero potuti facilmente evitare.

Una delle migliori scene che ha stravolto il genere battle shonen, qui ricreata in maniera impeccabile

Le cutscene sono il punto forte di CyberConnect2, che ha sempre giocato con vettori e linee più o meno marcate per far somigliare le proprie creazioni alle tavole del fumetto di riferimento. Se da un lato abbiamo una spettacolarità ed esplosione di colori davvero ricercata, dall’altro lo spettatore si accorgerà di alcuni momenti dove c’è un calo di qualità. I combattimenti contro i boss principali avrebbero potuto contenere dei Quick Time Event (QTE), proprio come in Naruto, dove a seconda delle skill del giocatore, si potevano ricevere dei premi altrimenti introvabili. Sfortunatamente, questo non è possibile e si dovrà solamente battere l’avversario di turno senza avere la gratificazione di sconfiggerlo con un colpo finale ben assestato. Salire di livello perde di importanza quando non serve davvero per battere un nemico. Infatti, anche se non si esploreranno le aree di gioco sarà comunque molto semplice andare avanti nella storia principale. Così facendo le side quest sembreranno sempre più trascurabili. Nonostante sia un videogioco RPG non riesce a fare giustizia a questo genere. Le zone saranno abbastanza limitate e per accedere ad un altro luogo si dovranno attendere dei caricamenti che, a lungo andare, potrebbero risultare noiosi.

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Nostalgia e ricordi possono essere un ottimo punto d’inizio per lavorare su un’opera… ma non si può restare ancorati al passato senza evolversi.

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Un altro problema risiede nella gestione della telecamera durante le battaglie, scomoda e spesso nemica del player stesso. Infatti delle volte i personaggi saranno troppo dispersi nella grande area dove è possibile scontrarsi ed alcuni smetteranno anche di attaccare, restando però facili prede dei nostri Colpi d’Aura. Alcuni scontri principali, appariranno fin troppo brevi mentre altri inutilmente lunghi e ripetitivi. Non ci si sentirà mai abbastanza appagati nel lanciare una Kamehameha contro il nemico, che avrà sempre la possibilità di fermarci anche se avremo attaccato per primi. Vero punto di forza in ogni videogioco di Dragon Ball è sempre stato il combattimento contro un altro giocatore, online ed offline. Stavolta non sarà possibile e questo di certo è un duro colpo per tutti coloro che, una volta terminata la storia, trascorrevano il tempo a sfidare gli amici.

I momenti Padre-Figlio riscaldano il cuore di ogni appassionato, permettendo di scoprire scene inedite

Dragon Ball Z: Kakarot è il videogioco dell’intera serie che, senza sbilanciarsi troppo, è in tutto e per tutto uguale all’anime. Ci sono davvero pochissime scene leggermente cambiate che nemmeno il fan più sfegatato vorrà contestare. La cura nei dettagli si sente in ogni citazione presente nel mondo di gioco. Le città ed i villaggi ricreati riuscirebbero a far innamorare chiunque e la possibilità di spostarsi in volo o tramite i veicoli della Capsule Corp. ha fatto avverare un sogno collettivo che vive da generazioni nel cuore degli appassionati. Le cutscene ricordano un vero e proprio episodio. L’intenzione di portare ad un pubblico esigente, un prodotto che lo rispetti c’è, ma non è abbastanza. Se fosse un film sarebbe stato anche perdonato, ma essendo un’opera diversa è inevitabile sottolineare anche i suoi punti deboli. Il design dei modelli li rispecchia quasi tutti, ma è difficile apprezzare un lavoro quando al protagonista stesso non è stata resa giustizia. Il battle system risulta monotono a lungo andare e, paradossalmente, più complesso e difficile all’inizio che in seguito. Le missioni secondarie non riescono ad intrattenere e nonostante si possano trascorre parecchie ore per terminarle tutte, sarà davvero un’impresa ripetere sempre gli stessi passaggi senza arrendersi. La difficoltà minima, se da un lato si approccia anche ad un pubblico più giovane, dall’altro non fa scattare quell’adrenalina che solo un bel combattimento potrebbe garantire. Insomma, ci si sentirà sempre appagati a metà. Pur avendo fatto risvegliare il bambino nel cuore di ogni fan con le varie citazioni, CyberConnect2 non riesce a farlo restare a giocare perché, ora maturo e con il joypad in mano, è più esigente e non vuole solo guardare il proprio cartone animato preferito, lo vuole vivere.

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