Con la chiusura della seconda stagione, la trama aveva aperto a risvolti assai interessanti per quel che sarebbe dovuta essere l’ascesa de Le terrificanti avventure di Sabrina. L’affascinante maga ormai di casa Netflix aveva incuriosito gli storici appassionati delle serie a fumetti e convinto i casual, ora merito di quelle grottesche ambientazioni tanto cupe quanto poetiche, ora merito di quel velo gothic apprezzatissimo. Sarà il connubio tra paranormale e mitologico, o quel sibilante intreccio da teen drama che – sotto sotto – amiamo un po’ tutti, eppure negli anni è il carisma di casa Spellman ad ammaliarci più di qualunque altro. La serie, ora reduce da due stagioni largamente apprezzate e godibili, prova ad osare con una terza, ingolosendo gli spettatori di tutte le età con delle premesse al dir poco galvanizzanti: Sabrina regina degli Inferi. Si scende così nel tortuoso inizio di questa recensione, che vedrà concludersi (forse) l’ascesa al trono della streghetta più amata delle serie tv. Vi ricordo che questa terza stagione approderà su Netflix il 24 gennaio, quindi tenetevi in caldo. Siete pronti ad innamorarvi dell’inferno, baciando il paradiso?
Non è un caso se vi pongo una così curiosa -sebbene retorica – domanda. Il cuore della terza stagione de Le terrificanti avventure di Sabrina è difatti proprio nella mente della protagonista. La sua evoluzione, l’ascesa al trono e un sempre più marcato e tumultuoso dualismo interiore tra bene e male, contribuiscono al magnetico fascino che rende la giovane streghetta tanto amata. Se da un lato è arduo rimanere in bilico sospesi tra morale e dovere, dall’altro ella riesce ad emergere come vera e propria leader tra i due mondi, divenendo la scintilla della speranza per il futuro della Terra. L’intraprendenza di Sabrina obnuvola un confusionario andamento degli eventi, che si susseguono in un vortice di emozioni imbevute di teen drama – alcune volte anche troppo – e una sceneggiatura spesso frettolosa. Il ritmo dell’intero racconto non riesce a sostenere la mole di eventi presenti su schermo e, sebbene l’aspetto mitologico sia sfruttato con intrigante follia, viene schiacciato dallo spettro di una trama principale esageratamente ballerina. Nulla da togliere a chi desidera invece un’impostazione sbottonata, che punta sul mero intrattenimento, senza badare troppo alle connessioni tra le varie sotto trame. Nell’insieme la struttura narrativa magari non sarà avvincente, ma è godibilissima su schermo e – con un pizzico di attenzione in più – offre una serie di intriganti siparietti, che sapranno incuriosirvi. La mitologia rimane il filo epico che sottende tutta la vicenda e saprà sicuramente catturarvi, ora merito di un utilizzo certosino dei testi antichi, ora merito di un’elegante trasposizione dell’atmosfera infernale: gonfia di misticismo e abitata dalla più temibili creature della letteratura occidentale. Tanta fantasia e un’azzeccata scelta di costumi, offrono l’alchimia giusta per una delle rappresentazioni più ispirate del mondo dantesco e poetico.
Un cast davvero brillante, guidato in primis dal trittico di casa Spellman, composto da Sabrina (Kiernan Shipka), Zelda (Miranda Otto) e Hilda (Lucy Davis), vi strapperà sicuramente qualche spettrale risata. La maturazione delle streghe, unita ad altri attori brillanti come Ambrose (Chance Perdomo) e Lylith (Michelle Gomez), apre a scenari di vita quotidiana controversi e appassionanti, capaci di farci conoscere appieno le loro menti. Gli stessi caratteri così diversi, convergono ora verso il bene della Congrega in pericolo e in netta minoranza rispetto agli albori, ed è proprio in questi momenti di difficoltà che sono stato compiaciuto nel notare un’incantevole sintonia in casa Spellman, come mai prima d’ora. Laddove sboccia la completa maturazione di Sabrina, vengono messe a nudo le preoccupazioni e i lati emotivi in penombra delle due zie. Zelda scopre il suo lato gelido e burbero per vestire un abito più umano e quasi materno, mentre Hilda esce dal guscio di insicurezza e combatte in prima linea per coloro che ama. Estasiato per tale evoluzione. Altre storyline purtroppo rimangono ai margini dell’intelaiatura narrativa e, quando trovano modo di promuovere risvolti intriganti, finiscono per essere una cerniera tra le varie macro storie della serie. Un difetto che da troppo tempo annichilisce la sceneggiatura de Le terrificanti avventure di Sabrina e che mai come ora ho trovato piuttosto insipido. Un sacrificio volto a reindirizzare i riflettori sulla metamorfosi della protagonista e a una serie di teen drama non sempre ben amalgamati. Se non altro la resa scenica e la squisita coreografia offrono un palco ad hoc per l’esibizione di una delle storie mitologicamente più ispirate degli ultimi anni.
La terza stagione de Le terrificanti avventure di Sabrina è quindi un prodotto controverso, ambizioso, che però cade arrogantemente nella velleità. Partita con delle premesse stellari, l’ascesa al trono infernale della giovane Sabrina Spellman è un’epopea grottesca ai limiti della letteratura che prova, in un ritmo di fondo quasi sempre incalzante, a puntare i riflettori sulla metamorfosi della protagonista. Un cast brillante offre la possibilità all’opera di raccontare la storia nel modo più dissacrante possibile, ma si inciampa in qualche goffo intreccio di sceneggiatura, che prova in tutti i modi a rincorrere affannosamente lo spettatore. Un inchino meritato va all’espetto scenografico e rievocativo del titolo: sempre azzeccato e profondamente ispirato. All’orizzonte si intravede una quarta stagione ancor più promettente e, se non vacillerà nelle incertezze, potrebbe finire di tessere l’affascinante trama della strega Sabrina. Lunga vita alla regina.
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