6 Underground Recensione

6 Underground Recensione | Michael Bay, nel mondo di Hollywood, viene spesso associato a stilemi action ben precisi, in particolar modo: esplosioni, macchine di lusso, sparatorie, nuovamente esplosioni in qualsiasi contesto possibile. Di conseguenza l’autore in questione viene collegato a film faciloni, banali e privi di spessore, senza nulla da raccontare, cosa che effettivamente non è così lontana dalla verità se si pensa agli ultimi capitoli di Transformers usciti. E pensare che invece, con i due episodi di Bad Boys e Armageddon (ma anche con il primo titolo dedicato ai robot) il regista più pirotecnico dello star system ha mostrato un altro lato di sé: maggiormente introspettivo, con un’attenzione maggiore per quello che accade su schermo, dandogli un peso di un certo tipo e un valore decisamente importante. Ebbene, anche il filmaker americano, come Scorsese prima di lui con The Irishman (qui trovate il trailer), ha stretto un accordo con Netflix per la realizzazione di una nuova opera capace di rilanciare la sua filosofia, dopo lo scandaloso flop di Transformers – L’ultimo Cavaliere: 6 Underground, prodotto dalla sua casa (Bay Films) e Skydance Media, con la distribuzione ovviamente del servizio streaming già citato. Sarà riuscito nel suo intento? Oggi ve ne parliamo, grazie all’anteprima in sala fornitaci da Netflix stessa.

Al centro delle vicende della pellicola, vi è un team operativo del tutto particolare: la squadra infatti è composta da 6 membri “invisibili”, persone che hanno accettato volontariamente di fingersi morte, per far parte di un team che opera completamente all’oscuro e che salvaguarda il bene dell’umanità, andando a compiere missioni impossibili e sanguinarie. Il carismatico e folle leader Uno (interpretato da un frizzante Ryan Reynolds) è un miliardario deciso a combattere le ingiustizie e le angherie dei potenti e per questo motivo ha reclutato un gruppo di specialisti. Si passa dall’acrobata e atleta di parkour Sei (Ben Hardy), al medico Quattro (Adria Arjona), dal sicario Tre (Manuel Garcia-Rulfo) all’agente della CIA Due (Melanie Laurent), senza disdegnare un veterano della guerra in Medio Oriente, Cinque (Corey Hawkins). Come avete notato, come nelle migliori tradizioni cinematografiche (basta Le iene di Tarantino come esempio) ognuno di questi impavidi guerrieri tiene nascosta la propria identità tramite un numero e non conosce il reale nome degli altri colleghi. Ciò gli permette di agire come dei fantasmi, in quanto tutti i loro movimenti e spostamenti, da quelli bancari fino a quelli puramente fisici, non sono tracciabili in nessun modo.

Antieroi come figure principali, che scappano dal proprio passato e combattono per la redenzione.

 

Una metafora, quello degli spettri, che Bay usa spesso all’interno della realizzazione per giustificare non solo la loro assenza per così dire “corporea”, ma anche per sottolineare la libertà che possiedono: simulando la propria dipartita, i nostri eroi hanno una libertà sfrenata, ma vivono come reietti. Un aspetto decisamente interessante, anche se è un cliché piuttosto comune all’interno della Settima Arte e proprio perché strausato, funziona sempre alla grande: degli antieroi come figure principali, che scappano dal proprio passato e combattono per la redenzione. Uno dei maggiori pericoli che si può incorrere quando si ha di fronte un quantitativo piuttosto alto di protagonisti è che qualcuno venga tralasciato rispetto agli altri. Per ovviare alla problematica, gli sceneggiatori Rhett Reese e Paul Wernick hanno caratterizzato ciascuno con delle sequenze apposite, allo scopo di esplorarne il background, aspetto che funziona solo a metà perché sono presentate tutte piuttosto ravvicinate su schermo, senza trasmettere nulla di memorabile.

6 Underground
In 6 Underground vedrete una Firenze come non l’avete mai vista…

Detto ciò, anche per merito dell’efficiente cast, gli eroi brillano comunque, anche se in maniera maggiore quando lavorano sinergicamente: sopratutto i momenti della coppia Due-Tre (il killer e la federale) sono coreografici e divertenti, pieni di sangue e pallottole. Di azione ce ne sarà da vendere: una folle e spericolata corsa che comincia fin dai primi minuti del lungometraggio (girati a Firenze) e si conclude, con pochissime pause, fino alle battute di arresto finali. 6 Underground in questo è un perfetto concentrato della sua filosofia registica: adrenalina irrefrenabile composta da rocamboleschi inseguimenti in auto, sparatorie violente e brutali, un uso del rallenty spropositato (forse anche troppo massiccio per certi versi) e, ovviamente, le immancabili esplosioni, che si susseguiranno a ripetizione, inserite in una serie di situazioni sempre più pericolose e spaventosamente esagerate. La regia di Bay vigila in alto tutto questo spettacolo, dirigendo con perizia (e tanta, tanta tecnica) uno spettacolo visivo davvero sorprendente, che non annoia ma che purtroppo sa di già visto. La sensazione di déjà vu sarà piuttosto comune, anche se ci si abitua fin dall’inizio alla formula e alla fine non ci si fa quasi più caso.

Il lungometraggio deve essere visto quindi in una chiave ben precisa: puro e semplice intrattenimento da salotto.

 

In mezzo alla dinamicità e alla frenesia delle sequenze, c’è anche spazio per un po’ di sana critica alla guerra: il villain del lungometraggio (Lior Raz) è infatti un dittatore di uno Stato che governa tramite il terrore, la violenza e le stragi. Non vi dirò ovviamente come andrà a finire lo scontro tra i 6 e l’antagonista, però vi assicuro che vi farà riflettere su alcune questione parecchio vicine a noi. Certo, non aspettatevi ovviamente chissà quale messaggio rivoluzionario, anche perché si tratta di un lungometraggio leggero e divertente, però è stato curioso rintracciare anche delle componenti di questo tipo, che onestamente non credevo potessero esserci.

6 Underground si rivela essere un prodotto di buona fattura per quanto riguarda l’aspetto strettamente estetico e registico (curati nel dettaglio entrambi), ma non riesce davvero a raccontare qualcosa di nuovo. La sceneggiatura, in particolar modo, non tenta nemmeno di fare quel salto in avanti di eccellenza, ma si attesta su degli standard qualitativi medi, tali da non considerare nemmeno un po’ di rischio e innovazione. Il lungometraggio deve essere visto quindi in una chiave ben precisa: puro e semplice intrattenimento da salotto, ed in questo l’opera di Bay saprà soddisfare davvero ogni tipo di pubblico. Nonostante non rientri tra le migliori realizzazioni dell’autore, il film è perfetto per la piattaforma streaming per il quale è stato concepito (dove uscirà il 13 dicembre) e adatto alla visione in compagnia, nonostante (grazie alla nostra anteprima) possiamo dirvi che una versione in sala per il pubblico ne avrebbe giovato sia a livello qualitativo che dal punto di vista economico.

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