Le piattaforme streaming in espansione: dalla struttura delle serie all’eccessiva frammentazione dell’offerta sul piccolo schermo

Le piattaforme streaming (con annesse serie tv, film e contenuti esclusivi) oramai sono da considerare quasi un’esperienza dell’intrattenimento a parte, un vero e proprio medium a sé stante che ha avuto una crescita seminale e profonda nel corso degli ultimi anni. Qualche tempo fa era impensabile assistere non solo ad una mole così elevata di opere longeve (costituite da due o più stagioni), ma anche a frutti così dichiaratamente palesi di manovre di marketing e commerciali che spesso sono al centro di prodotti di questo tipo. Il mondo continua a cambiare e tutte le principali forme artistiche si stanno spostando verso una struttura ad episodi, sia per dilatare al meglio la trama e narrare storie sempre diverse, si per avere la certezza di poter allungare al meglio il materiale narrativo e distribuirlo nel corso del tempo a venire. Questo nasconde (nemmeno troppo velatamente) in alcuni casi un sistema che permette di avere una sostenibilità economica duratura, ma anche di poter espandere al meglio le avventure che si vogliono raccontare, con ritmo e tempistiche adeguate. Un approccio decisamente diverso dal passato che, per forza di cose, spinge alla riflessione, non solo del sistema in sé (già particolare di suo), ma anche dell’offerta che i vari device propongono ai propri fruitori. Per descrivere questo fenomeno, è opportuno fare un breve excursus di come sono cambiate le piattaforme e come si sono trasformate radicalmente. Cominciamo parlando a tratti generali del nucleo maggioritario dei dispositivi del piccolo schermo: le serie, per poi andare a vedere come questi contenitori stanno subendo dei mutamenti incredibili andando a costruire un mercato troppo frammentato e stratificato, complesso da gestire dal punto di vista dello spettatore.

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Cos’è di fatto una serie? Si potrebbe definire una creatura figlia del genio artistico e cinematografico, che però, a differenza di una pellicola, si dipana per un tempo decisamente superiore, andando a costruire dei piccoli tasselli da da una durata variabile (solitamente tra i 20 minuti e un’ora, ma ci sono eccezioni) che vanno a convergere in un punto di arrivo (stagione) che racchiude tutte queste puntate (Stranger Things). Difficilmente realizzazioni del genere si fermano ad un solo anno di produzione e vengono rinnovate anno dopo anno, in base ovviamente al gradimento del pubblico e alle valutazioni della critica. Se per adesso abbiamo parlato della struttura più comune che si può incontrare, ci sono anche delle costruzioni piuttosto diverse da quella che abbiamo appena analizzato. Fanno parte del sistema anche le miniserie, cioè serie che hanno un numero limitato di episodi (al massimo intorno ai 10, ma ovviamente può variare) e sono estranee dalla riproposizione a intervalli regolari (Godless, della quale trovate qui una recensione). Ultimo caso da esaminare è quello delle serie antologiche, che cambiano plot narrativo in ogni stagione (True Detective) o anche variare da episodio ad episodio (Black Mirror). La maggior parte delle realizzazioni che si trovano sui device sono serie, ma anche le altre formule stanno prendendo sempre più piede perché in certi casi riescono a funzionare meglio delle regole canoniche, ma solamente in determinati contesti e con pretesti di scrittura di un certo tipo.

Piattaforme streaming
Netflix ha da sempre puntato ad una pubblicazione enorme di contenuti.

Passando poi alla distribuzione, il modello per ora usato nella quasi totalità dei casi è quello di rilascio totale di una stagione (portato da Netflix), ma con Disney Plus sta tornando anche la pubblicazione episodica settimanale. Se il primo sistema ha come pro il fatto di dare la possibilità al fruitore di vedere un’opera subito e senza sospensioni, ha di contro il fatto di spingerlo spesso a maratone e visioni accelerate dei contenuti, e questo potrebbe minare l’attenzione e la fruizione da parte del pubblico, che forse aveva bisogno di più tempo per metabolizzare il tutto. La diffusione ogni 7 giorni, anche se fa pesare maggiormente l’attesa tra una puntata e l’altra, dà il modo agli spettatori di riflettere e analizzare per bene ciò che ha visto, per prepararsi con calma e precisione alla visione successiva. In un mondo così tanto rapido, dove la tecnologia cambia giornalmente e la gente non ha mai tempo, un sistema come quest’ultimo è più difficile da digerire, ma è stato anche il primo a fare a capolino e forse il metodo più puro per godersi le realizzazioni. Dopo avervi delineato, in maniera introduttiva, le caratteristiche principali dei contenuti che sono presenti in quantitativo maggiore sui dispositivi (ci sono anche i film, ma quelli sono identici alla controparte sul grande schermo), passiamo ora a fare una riflessione su come le piattaforme siano evolute nel corso del tempo.

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Amazon Prime Video, nonostante sia partita in sordina, è in netta crescita.

Partiamo con un caso di studio che conosciamo tutti e che è perfetto per descrivere l’inizio di tutto questo: Netflix. L’azienda dietro il dispositivo, fondata nel lontano 1997 da Reed Hastings e Marc Randolph, in California, è entrata nel mercato come rivale di Blockbuster, per poi andare a costruire un’infrastruttura online (con uno schema consolidato dal 2013) dove poter pubblicare contenuti anche originali, sia serie che lungometraggi. La maggiore potenza dell’offerta di questo gigante dello streaming (che di fatto continua ad essere il più potente sul settore) è di avere un parco titoli gigantesco che si rinnova mese dopo mese con contenuti sempre inediti. Tra questi, però, è inevitabile che ci siano anche dei prodotti meno riusciti rispetto ad altri, visto che ad una quantità così massiccia bisogna associare anche uno sforzo produttivo così tanto elevato, da uniformare e standardizzare alcune realizzazioni. Un peccato davvero, visto che ci sono delle opere davvero valide che così rischiano di impantanarsi nella massa informe di contenuti. Il principale rivale della N rossa è Amazon, che con il suo Prime Video, lanciato nel 2009, ha ideato un potente antagonista. La differenza sostanziale tra le due è che quest’ultima ha sempre delle ideazioni totalmente derivate dalla casa stessa, ma queste, a livello di numero produttivo complessivo, sono nettamente inferiori, in maniera tale da puntare sulla qualità e non tanto sulla distribuzione massiccia di elementi. L’elemento che ci interessa che è comune in entrambe (e che ci farà da discriminante con il prossimo attore che descriveremo) è la pubblicazione libera di qualsiasi opera, anche se non appartenente alla casa distributiva stessa, grazie ovviamente all’acquisizione di diritti.

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La nuova piattaforma arrivata sul mercato: Disney Plus, in Italia dal 31 marzo 2020.

Oltre le due menzionate, piano piano ci sono sempre più offerte (come Apple TV+ o anche lo stesso Sky, ma ce ne sono altre), che anche se diversificano ovviamente il mercato, creano il problema al centro della nostra valutazione: una frammentazione incredibile dell’offerta, che spinge gli utenti a rinunciare ad alcune delle piattaforme rispetto che ad altre, incoraggiando anche la visione su siti pirata. A rafforzare questa divisione del settore c’è anche un passaggio sempre di più palese verso contenitori che abbiano solamente prodotti proprietari che veicolano gli spettatori ad acquistare solo quell’abbonamento, unico modo per usufruire di quei determinati contenuti. Il perfetto esempio di ciò è Disney con Disney Plus, il nuovo sistema della Casa di Topolino già sbarcato negli Stati Uniti da poco e in procinto di arrivare nel nostro paese a marzo 2020. Non mi dilungo troppo nel dirvi che sul device è presente tutto e dico tutto il parco titoli appartenente alla gigantesca multinazionale, che comprenderà brand come Marvel, Star Wars e le nuove acquisizioni derivate dall’accordo con Fox. Una spinta notevole per i consumatori, che però potrebbero pensare bene a rinunciare ad altro per dedicarsi alla nuova piattaforma. Tralasciando coloro che hanno la fortuna di poter acquistare tutto, l’utente medio si trova proprio di fronte ad un bivio in cui non sa decidere a chi dedicare i propri soldi. E quelli che restano fuori, sono spesso recuperati su streaming non legali, che spesso e volentieri vengono oscurati e cancellati dalla polizia postale e da altri enti volti a salvaguardare i diritti d’autore.

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La guerra per lo streaming è iniziata: chi vincerà?

Non è per forza necessario considerare la situazione solamente negativa, visto che ci sono anche degli elementi positivi da considerare. Il primo e il più immediato è che, facendosi la guerra più accesa, i concorrenti tireranno fuori dal cilindro sorprese sempre maggiori, investendo molto sulla qualità, andando forse a produrre meno, ma concentrandosi su killer application in grado di trainare un device (il recente caso di The Mandalorian ad esempio). L’altro aspetto affascinante sono le varie migliorie che verranno implementate all’interno delle piattaforme, passando da piccoli dettagli estetici fino ad arrivare a funzioni aggiuntive che rendono l’esperienza più immersiva e più facilmente fruibile per gli utenti, tutto questo sempre per competere al meglio. Come in molte situazioni, la lancetta non pende per forza verso il disastro, portando anche delle fresche novità, ma il vero dubbio è se tutto ciò sarà effettivamente funzionante sia a livello di performance, sia gestibile a livello di budget e denaro impiegato. Tiriamo infine le conclusioni del nostro lungo discorso per arrivare ad uno scenario che sia il più possibile veritiero.

Come andrà a finire tutto ciò? Molti senza dubbio seguiranno l’esempio di Disney Plus e, per differenziare l’offerta, cercheranno di brillare rispetto agli altri con contenuti esclusivi e proprietari, ma un sistema del genere è insostenibile e prima o poi raggiungerà probabilmente un punto di non ritorno, in cui molti di questi nuovi arrivati non reggeranno il confronto. Non avranno vita facile nemmeno i pionieri come Amazon e Netflix, che continueranno a produrre in maniera continua, spendendo ingenti somme di denaro solo per rimanere in gara, cosa che forse potrebbe portarli al fallimento. La scena migliore possibile, che andrebbe però ad eliminare la concorrenza, è quella di un network con inserite le maggiori piattaforme in commercio, fruibili pagando magari un abbonamento abbattuto rispetto che il costo di ogni singolo servizio preso individualmente. È ancora presto per fare ragionamenti così drastici, ma bisogna anche ragionare su come si svilupperanno questi sistemi e come andranno ad influenzare il mercato dell’intrattenimento. Una cosa è certa: il progresso è sempre dietro l’angolo e non vediamo l’ora di scoprire come si evolverà la situazione.