Woody Allen è una leggenda vivente della commedia e ha sceneggiato e diretto (ed interpretato) una gigantesca mole di lungometraggi, ideati e messi in scena quasi ad un anno di distanza l’uno dall’altro. Come in tutti gli autori più complessi e interessanti dello star system, la sua filosofia non è ovviamente univoca e lo stile è cambiato parecchio nel corso dell’interminabile carriera. Questo non solo denota la sua volontà di sperimentazione, ma anche una mentalità vulcanica, che non riesce mai a fermarsi e che tenta sempre di generare qualcosa di fresco e innovativo. Mentre, all’età di 83 anni, continua la sua interminabile crociata della risata, vedremo questo fine-settimana una sua opera di ben 42 anni fa che risale al suo periodo d’oro: stiamo parlando di Io e Annie (Annie Hall), pellicola vincitrice di ben 4 Oscar (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura e Miglior Attrice a Diane Keaton) e probabilmente una delle commedie più brillanti non solo del filmaker, ma anche dell’intero genere. Il film, nonostante sia passato molto tempo, continua ad avere delle caratteristiche talmente tanto moderne e alternative che rappresentano un caso di studio curioso, in quanto determinate scelte stilistiche non si sono più viste di recente. Dopo il gangster movie Quei Bravi Ragazzi, ci fermiamo un attimo per divertirci un po’ e non prenderci troppo sul serio, riflettendo comunque sull’insensatezza della vita.
Il viaggio non può che partire dal monologo dello stesso Allen, che, rompendo il ghiaccio con delle battute, ci introduce la figura di Annie, la donna che ha ancora nel cuore e che continua ad amare, nonostante la loro separazione. Da qui si sviluppa una storia non cronologica che più che seguire un andamento temporale, si concentra su attimi ed eventi del protagonista e della coppia, che riescono a tratteggiare perfettamente il carattere e la mentalità dei personaggi. La figura principale, il comico Alvy Singer (Woody Allen), è uno dei tanti alter ego che si è costruito lo stesso filmaker nel corso della sua vita: nevrotico, bislacco, infantile e pieno di fobie, una maschera di sé stesso dove ogni suo difetto e pregio è amplificato alla massima potenza, in modo tale da risultare esilarante. Annie Hall (la strabiliante Diane Keaton) all’apparenza sembra la perfetta compagna dell’eroe, in quanto è timida, introversa, e curiosa, ma come si suol dire, “gli opposti si attraggono”, e due personalità così compatibili finiscono per distruggersi a vicenda, non andandosi a completare, ma rafforzando le problematiche che hanno sia l’uno che l’altro. Questo non vuol dire che i due non si siano arricchititi dall’esperienza, ma che a lungo andare, nonostante i bei momenti passati insieme, non riescono a continuare il loro rapporto perché fin troppo esuberanti e particolari da condividere qualcosa in coppia.
Un umorismo intelligente e raffinato, mai becero o dozzinale, che figura tra i tratti distintivi delle prime produzioni di Allen ed è presente in minima parte anche nelle ultime.
Il grande insegnamento che si trae da una situazione del genere è che innanzitutto non bisogna per forza trovare un anima gemella identica al proprio io, e che spesso quello che può sembrare all’apparenza il più grande amore della vita è talmente intenso che finisce prima del previsto, anche se c’erano degli ottimi presupposti alla base. Uno strumento fondamentale che usa Allen per descrivere al meglio i pro e i contro della vita di coppia, ma anche il legame tra i due protagonisti, è l’ironia: un umorismo intelligente e raffinato, mai becero o dozzinale, che figura tra i tratti distintivi delle prime produzioni di Allen ed è presente in minima parte anche nelle ultime. Spesso le battute sono una commistione tra giochi di parole, no-sense e accostamenti sofisticati che riescono a differenziare bene le varie linee di dialogo, fulcro vero e proprio del copione del lungometraggio che lo rendono brillante e dinamico, oltre che divertente dall’inizio alla fine. Una comicità d’altri tempi senza dubbio, che però nessuno è mai riuscito ad emulare allo stesso livello e che difficilmente vediamo proposta nelle recenti realizzazioni umoristiche di altri autori, che rende questa particolare impronta tra le più impattanti e rivoluzionare del genere.
Non bisogna però limitarsi a considerare solamente la genialità delle battute, ma anche il contesto nel quale sono inserite. E qui è evidente come il regista e sceneggiatore americano abbia tirato fuori il meglio di sé, ideando delle scene e delle situazioni incredibilmente di impatto che lasciano tutte il segno. È opportuno quindi elencare qualche stratagemma usato dall’artista in maniera tale da essere un po’ più concreti. Tra i più efficaci strumenti usati vi è la rottura della quarta parete, ovviamente non un’invenzione di Allen, ma che risulta sempre molto efficace: Alvy si rivolge molto spesso al pubblico per chiedergli consigli o per informarlo di quanto accade. Quello che però rimane più impresso è la relazione tra figure del passato e del presente, che l’autore fa interagire direttamente come nel caso in cui Annie parla dei suoi ex fidanzati. In questo caso Singer è presente nella scena come se fosse lì in quell’istante e commenta guardandoli faccia a faccia, nonostante siano solo parte di un racconto della sua ragazza. Il dialogo tra momenti della nostra vita e di quella altrui è esemplificativo di un flusso costante della nostra esistenza che continua ad essere influenzata sia da fatti accaduti anni prima che da quelli presenti. Siamo quindi quindi frutto della classica relazione causa-effetto, e ne siamo colpiti anche se non si tratta di avvenimenti che ci riguardano.
Vi farà vivere un’esperienza diversa, sicuramente esilarante, ma con continui spazi per la riflessione individuale.
Chiudo questo excursus con una sequenza in particolare che ritengo sia memorabile: quando i due protagonisti si incontrano per la prima volta, c’è un momento a casa di lei in cui loro due dialogano. Ebbene, ogni cosa che si dicono in realtà nasconde dei pensieri che hanno in testa e che non diranno mai, ma che lo spettatore può comodamente conoscere leggendo i sottotitoli. Spesso la comunicazione che si ha con le persone non è trasparente, magari per la scarsa fiducia o perché ci troviamo in una situazione di imbarazzo o addirittura perché quello che pensiamo è troppo esplicito e non si può esprimere a parole dirette. Una scena di questo tipo riesce perfettamente ad incarnare tutto questo significato, facendo sorridere il pubblico, ma anche portandolo a riflettere sulle implicazioni di determinate situazioni in cui si può incorrere interloquendo con qualcuno (che può essere nella maggior parte dei casi il tuo compagno/a).
Io e Annie, oltre ad essere uno dei capolavori assoluti di Woody Allen, è una commedia frizzante, energica e molto, molto divertente, che saprà intrattenervi in maniera non tradizionale, raccontandovi una semplice storia di una fine di un rapporto, costruendo però la narrazione in maniera complessa e stratificata. Di fronte ad una regia così innovativa e brillante, una sceneggiatura, che seppur non cronologica negli eventi, risulta comprensibile e interessante, e dei dialoghi sopra le righe con un umorismo intellettuale e fantasioso, non possiamo che rimanere completamente estasiati. Tappa imprescindibile per la conoscenza della filmografia dell’autore newyorchese, il lungometraggio è una scuola di comicità, dove tutte le opere del genere dovrebbero attingere per cercare di ambire a tale risultato. In compagnia, sul divano, in famiglia: comunque lo vogliate vedere, vi piegherà in due dalle risate e vi farà vivere un’esperienza diversa, sicuramente esilarante, ma con continui spazi per la riflessione individuale.
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