Children of Morta Recensione

Children of Morta è un gioco che è riuscito a sorprenderci rompendo lo schema classico dei roguelike, tipo di prodotto che negli scorsi anni è stato riproposto innumerevoli volte in altri titoli indie. L’opera dello studio Dead Mage è caratterizzata anche da una magnifica grafica in pixel art e una narrativa intrigante, aspetto spesso trattato con superficialità o in modo fin troppo criptico dagli altri esponenti del genere, che ruota attorno le vicende di una famiglia con il gravoso compito di salvare il mondo dalle tenebre del male.

Rea, la terra fantastica in cui è ambientato il prodotto, è avvolta da una corruzione oscura discesa senza preavviso dal monte Morta. L’unica speranza per questo mondo sull’orlo dell’oblio sono i Bergson, i guardiani delle pendici della montagna, che nei secoli hanno più volte respinto questa minaccia. Questa è la premessa, semplice ma efficace, della trama di Children of Morta. Nel gioco potremo controllare sei diversi membri della famiglia, ognuno caratterizzato da un proprio stile di combattimento e abilità: per esempio ci sarà chi utilizza spada e scudo e chi invece preferirà un’offensiva a distanza con l’arco. A differenza di molti roguelike, non sarà possibile cambiare l’arma equipaggiata dal nostro eroe, tuttavia la varietà sarà garantita da degli oggetti chiamati reliquie, che possono essere trovati nei dungeon e conferiscono ai personaggi sia bonus attivi che passivi. Quando verremo sconfitti perderemo questi strumenti e il giocatore verrà automaticamente teletrasportato alla casa, l’hub centrale da cui è possibile partire per spedizioni nelle diverse zone di Rea e acquistare potenziamenti permanenti tramite il denaro ottenuto durante l’esplorazione. Ogni figura ha un suo personale albero delle abilità, tuttavia alcune skill che apprenderemo gioveranno anche agli altri membri della famiglia, quindi è una buona idea cercare di usare un po’ tutti e non concentrarsi su un solo combattente. Un altro incentivo a fare ciò è la stanchezza da corruzione: andando più volte all’avventura con lo stesso Bergson questo si affaticherà e la sua salute massima diminuirà, per farlo tornare in forma bisognerà lasciarlo in panchina per qualche tempo.

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Le ambientazioni che andremo a visitare, oltre ad essere visivamente fantastiche, sono anche molto varie, e allo stesso modo lo sono i mostri assetati di sangue che le abitano

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Uno dei fattori più importanti per un roguelike è la rigiocabilità, e da quello che abbiamo potuto vedere Children of Morta riesce a offrirne parecchia, anche se non al pari di titoli come The Binding of Isaac o Enter the Gungeon. Le ambientazioni che andremo a visitare, oltre ad essere visivamente fantastiche, sono anche molto varie, e allo stesso modo lo sono i mostri assetati di sangue che le abitano. Durante l’esplorazione ci imbatteremo spesso in stanze speciali in cui avremo la possibilità mettere alla prova la nostra bravura con dei semplici mini-giochi (tra cui una versione alternativa di Pong), e in alcuni casi la nostra sorte, per ottenere degli oggetti extra. La ripetitività viene evitata anche grazie ad eventi unici legati agli abitanti di Rea in cerca di aiuto, che dovremo spesso salvare dalle fauci di bestie demoniache. Nonostante siano solo piccole parentesi dall’avventura principale, queste brevi storie, che salturiamente si dipanano per più incontri, aiutano a immergerci nell’atmosfera opprimente dell’opera e ci fanno comprendere l’importanza del nostro compito. Un aspetto del gioco che non ci ha convinto pienamente sono proprio le reliquie, poiché la loro varietà è un po’ troppo ridotta: durante le diverse run ci sono capitati più e più volte gli stessi oggetti, togliendo quella sorpresa nello scoprire nuovi strumenti o combinazioni interessanti.

 

La progressione in Children of Morta è decisamente diversa da quella che ci si aspetterebbe in un roguelike: mentre solitamente in questo genere quando si muore si deve ricominciare da capo la partita (anche se di tanto in tanto con qualche power-up), qui una volta completati i dungeon non avremo bisogno di ripercorrerli per passare al successivo. L’evoluzione dei combattenti è in puro stile RPG: con le risorse acquisite durante l’esplorazione possiamo incrementarne permanentemente le varie statistiche, tra cui la possibilità di critico e quella di schivare automaticamente alcuni attacchi. Visto che anche nel caso venissimo sconfitti prima di completare una missione non perderemo il denaro ottenuto, potremo sempre potenziarci e quindi la sfida diventerà relativamente sempre più semplice. Questo sistema non ci ha convinto pienamente, poiché in certi casi ci è sembrato che battere determinati boss senza aver ripetuto almeno un paio di volte la strada fosse esageratamente arduo, e una volta che invece si acquisiscono dei potenziamenti questi finiscano per diventare triviali, togliendoci il gusto di migliorare come giocatori.

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Ogni Bergson è perfettamente caratterizzato e durante l’avventura sarà quasi impossibile non affezionarcisi

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Uno degli aspetti di cui non si può non parlare quando si affronta questo titolo è la grafica: la pixel art di Dead Mage è di qualità a dir poco spaventosa. Talvolta di fronte agli sconfinati paesaggi delle terre di Rea si aveva l’impressione di osservare dei quadri puntinisti ricolmi di dettagli e amore in ogni angolo. Ciò vale in particolare per la casa dei protagonisti, coloratissima e piena di energia, dove tra una spedizione e l’altra potremo riprendere il fiato assistendo a spaccati di vita dei vari familiari. La trama del gioco e i dialoghi tra i personaggi ci vengono comunicati attraverso la voce saggia e ponderata di un narratore (in lingua inglese), che riuscirà a coinvolgervi nelle tragiche vicende del monte Morta. Nonostante quindi le figure giocanti non abbiano un doppiatore, ogni Bergson è perfettamente caratterizzato e durante l’avventura sarà quasi impossibile non affezionarcisi. Ciò è dovuto principalmente alle fluidissime animazioni, sempre uniche e meravigliose, da cui traspare molto di più sulla loro personalità e sentimenti di quanto migliaia di parole avrebbero potuto descrivere. Sul piano tecnico il titolo ci è sembrato abbastanza solido, però ci siamo imbattuti più volte in oggetti posizionati su layer sbagliati (per esempio vasi che dovrebbero stare dietro un muro che invece vi appaiono davanti) che rompono un po’ l’immersione e un bug che ci ha fatto uscire dai limiti dell’arena durante una boss-fight, facendoci perdere e buggando permanentemente la musica dello scontro.

Un’aggiunta che personalmente apprezzo sempre molto è la modalità multiplayer locale: esplorare i recessi del mondo corrotto di Rea sarà molto più divertente in compagnia di un amico che in solitaria. A volte potremo combinare le abilità dei due personaggi controllati per creare combo devastanti: per esempio un eroe ha una skill, chiamata frusta energetica, che gli permette di avvicinare a se tutti i nemici di fronte a lui e stordirli; una volta utilizzata questa tecnica il secondo giocatore potrà sferrare un attacco ad area nel punto in cui i mostri sono ammassati per decimarli. In caso raccogliessimo una pozione per recuperare salute quando siamo già al pieno questa verrà convenientemente passata al nostro compagno, in tal modo è stato rimosso il rischio di mettersi involontariamente il bastone tra le ruote a vicenda. Anche se non abbiamo potuto testarlo a fondo, ci è sembrato che il titolo fosse molto più facile giocato in due, anche perché rianimare l’alleato KO è relativamente semplice e non comporta nessuna penalità per il soccorritore.