Il quarto episodio di Life is Strange 2 ci ha fatto capire una cosa molto importante, rispondendo a una domanda che, effettivamente, ci ponevamo da molto tempo: cos’è davvero a rendere migliore questo titolo rispetto al predecessore? La potenza del rapporto tra i fratelli Diaz ci ha fatto capire che la risposta è l’impatto emotivo. La fratellanza tra Sean e Daniel è qualcosa di nettamente più forte rispetto quello che c’era tra Max e Chloe, e Faith ci ha aiutato a farcelo capire, in attesa del quinto e ultimo capitolo, che chiuderà ufficialmente le danze dei due lupetti, portando il loro viaggio a una conclusione. Tuttavia, il loro rapporto è stato di nuovo messo alla prova, stavolta con risvolti ancor più drammatici rispetto i precedenti. Pronti a scoprire perché il quarto episodio di Life is Strange 2 è, a nostro avviso, il migliore, nella nostra recensione rigorosamente spoiler-free?
Dopo i catastrofici eventi che hanno portato alla distruzione di una baracca e al distacco dei due lupi, Sean Diaz si trova in un letto d’ospedale in California, due mesi dopo l’accaduto. Solo, ferito gravemente all’occhio sinistro e in serissimi guai, ora la polizia lo ha finalmente in pugno. Tuttavia, una sua vecchia conoscenza riesce a fargli avere un messaggio. Sembra che suo fratello Daniel è salvo e sta bene, ma purtroppo si trova molto lontano da lui. Il “lupo” più grande riesce a fuggire da quella che vede come una galera e prende una macchina, direzione Haven Point. Giunto a destinazione, viene a conoscenza di una triste verità: il piccolo supereroe è diventato un “messia”: una sorta di messaggio di Dio venerato da una setta nella cittadina, guidata da una folle sacerdotessa che ha convinto Daniel di essere “inviato dal Signore”. Ma sarà l’arrivo di una persona molto speciale ai due ad aiutare Sean a cambiare le sorti del loro viaggio.
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La distinzione tra bene e male è ancora più evidente, risultato di una caratterizzazione dei personaggi mai stata così magistrale in Life is Strange 2
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La storia di Faith, il quarto episodio di Life is Strange 2, conferma e afferma quello che avevamo supposto sin dal primissimo capitolo: non saranno i superpoteri di Daniel a irrompere nel cuore del giocatore, bensì il suo rapporto con il fratello, che è qualcosa di ancora più potente. L’impatto emotivo, così lo abbiamo chiamato, è il cuore, il centro nevralgico dell’intera opera, e questa nuova sfida ce lo ha fatto capire ancora di più. Anche cambiando radicalmente le tematiche raccontate e le scene mostrate, stavolta molto diverse dalle precedenti, i due fratelli continuano a scontrarsi per motivi più o meno diversi. La sensazione che questo capitolo della storia dei Diaz ci ha dato è di un forte “recap” di quanto visto e provato finora. La strada verso Haven Point è lunga e tortuosa, piena di persone malintenzionate che faranno molto male emotivamente a Sean, ma anche di gente che, più semplicemente, lo vuole aiutare a ricongiungersi con Daniel. La distinzione tra bene e male è ancora più evidente, risultato di una caratterizzazione dei personaggi mai stata così magistrale in Life is Strange 2. Aggiungiamo l’arrivo di una figura importantissima per i fratelli e abbiamo un piccolo, ma incredibilmente dettagliato quadro generale in cui ogni singola persona ha uno scopo preciso. Il lupetto stavolta sarà molto difficile da convincere, ma la forza d’animo di Sean sarà irremovibile, e in una scena incredibilmente violenta e dura da guardare, combatte con tutte le sue forze per riconquistarlo. Peccato però che, tutto sommato, Daniel non è stato molto presente durante Faith, cosa che ha concentrato l’attenzione maggiormente sul fratello maggiore e lasciando più spazio al giocatore per capire le sue emozioni e il rapporto che ha con il suo passato, talvolta anche con allucinazioni.
Ancora una volta, le musiche utilizzate sono perfettamente in linea con quanto accade su schermo, accompagnando in modo esemplare le scene più importanti. Interessante anche l’utilizzo di inquadrature differenti da quelle più “canoniche”, se così possiamo dire, che spezzano molto bene una sequenza da un’altra e spesso evidenziano meglio la natura on-the-road di Life is Strange 2. Tuttavia, dimenticate gli spazi aperti da esplorare e gli elementi con cui potrete interagire, dato che il quarto episodio dell’opera di Dontnod è decisamente più lineare e incentrato sui dialoghi e sulla narrazione. Infatti, escludendo l’area intorno la chiesa della setta, non avremo ambienti molto aperti in cui vagare, tantomeno saranno presenti oggetti che potremo guardare o usare. La software house ha quindi preferito puntare di più sullo storytelling piuttosto che sul gameplay vero e proprio, anche se c’è da dire che non mancheranno momenti in cui dovremo giocare nel vero senso della parola. Questo potrebbe far storcere il naso ai più puristi, agli appassionati della serie, che potrebbero trovare in Faith una semplice storia da ascoltare, cosa che, ribadiamo, non è assolutamente. Coloro che hanno amato il finale del primissimo Life is Strange non potranno che emozionarsi a quello di questo episodio, come a noi stessi è successo. Interessante vedere come ancora una volta ci siamo ritrovati di fronte a due scelte cruciali che portavano entrambe a tristi conseguenze, sebbene molto simili. L’unica vera pecca di questo episodio è la longevità, che si attesta attorno le cinque ore al massimo, ma di cui ogni minuto può offrire emozioni incredibilmente intense.