Quella che consideriamo oggi come la DOOM Trilogy, tra capolavori e tristi insuccessi, resta comunque una delle più famose e ricordate della storia dei videogiochi. Parliamo di una serie che vanta una longevità notevole, anche grazie al suo reboot spirituale, che nel 2016 ha permesso al franchise di tornare alle sue origini con un gameplay violento ed efficace. Il gameplay introdotto con il primissimo capitolo è considerato ai giorni nostri come uno dei più rivoluzionari non solo per i giocatori, ma anche per gli sviluppatori stessi. In occasione dell’annuncio di un sequel diretto, ovvero DOOM Eternal, Bethesda ha pensato bene di riproporre la trilogia classica per permettere alle nuove generazioni di scoprire le origini dello sparatutto che ha fatto la storia. Ripercorriamo la nascita e l’evoluzione della DOOM Trilogy con la recensione dei tre capitoli principali: DOOM del 1993, DOOM II e DOOM 3.

DOOM (1993)

Recensione a cura di Edoardo Di Savina

Correva l’anno 1993, quando nel bel mezzo del mercato videoludico nacque un’opera che riuscì a definire il termine “sparatutto”, creando le basi per un genere che tutt’oggi continua ad appassionare milioni di giocatori attraverso il globo. Un titolo che non ha bisogno di presentazioni: con la sua colonna sonora iconica, derivante dai classici della musica metal, At Doom’s Gate rimane tutt’oggi una delle tracce più riconoscibili della storia. Da notare che per molti anni Master of Puppets dei Metallica era stata ritenuta la fonte d’ispirazione principale per la colonna sonora di E1M1, mentre la realtà dei fatti è ben diversa: infatti è No Remorse, sempre composta dal celebre gruppo, da cui è stata direttamente ispirata. Discutibile il fatto che sia al limite del plagio, dato l’estrema corrispondenza in termini di melodia, ma diciamocelo, non importa minimamente. La carica di adrenalina che fornisce, insieme al gameplay frenetico, rendono giustizia a un prodotto che è stato in grado di attraversare le generazioni, arrivando ai giorni nostri più brutale che mai. Ma con questa recensione non intendo esprimere un giudizio sul titolo, che tra l’altro non necessita di ulteriori presentazioni: dare un giudizio su un pilastro dell’industria videoludica che ha più di 25 anni è alquanto complesso considerando l’alto livello tecnico che hanno raggiunto le opere odierne.

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DOOM ancora colpisce per il prodigio tecnico che è stato ed è tutt’oggi.

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La mia vuole essere una retrospettiva sull’esperienza personale che ho avuto con DOOM, che è stata frammentata ed incompleta durante la mia infanzia. L’eccessiva violenza e la forte censura genitoriale sui videogiochi, che all’epoca erano ancora fonte di discussioni infondate sulla loro pericolosità, hanno impedito al sottoscritto di concludere la sua esperienza dell’opera nella sua integralità. Mi ritrovo quindi nella terra di nessuno, a metà tra qualcuno che lo scopre per la prima volta in tutta la sua bellezza (a confronto con la discutibile grafica della sua controparte sulla console Nintendo) e qualcuno che effettivamente lo sta rigiocando, con la nostalgia che influenza la percezione del prodotto. Tornare su DOOM dopo così tanti anni è stato come rimettere piede su Skyrim con l’aggiunta di qualche mod: ho riscoperto l’esperienza originale ma con qualcosa in più che era assente in origine. Forse è stato questo il motivo per cui l’ho divorato nell’arco di una decina di ore: volevo essere certo di avere una panoramica completa di ciò che non ho avuto l’opportunità di vivere durante la mia infanzia. DOOM ancora colpisce per il prodigio tecnico che è stato ed è tutt’oggi. Molti giochi invecchiano male, mentre qui si assiste all’effetto opposto, dove l’opera è così fluida e piacevole che porta dignitosamente la sua età.

DOOM II

Recensione a cura di Lorenzo Ardeni

DOOM II, di fatti, non era poi così diverso dal primo capitolo, dato che condivide con esso il comparto sonoro, grafico e il gameplay stesso. Tuttavia, il secondo titolo della serie introduceva tre principali novità: le prime due sono dei nemici, l’heavy weapon dude e l’iconico Revenant, e una doppietta che può sparare due cartucce contemporaneamente. Ai tempi, DOOM II aggiungeva anche il multiplayer in LAN, novità assoluta per i PC dell’epoca, che però è presente oggi sia nel porting del primo capitolo che in questo. Per lo stesso motivo motivo, sono fin troppe poche le differenze tra i due titoli, che si somigliano in quasi ogni aspetto. Tuttavia, il secondo DOOM resta indiscutibilmente divertente da giocare sia da soli che con gli amici, e mantiene ancora alto il fattore nostalgia. Complici alcuni easter egg famosissimi, tra cui la testa di John Romero stesso, e l’introduzione del boss Icon of Sin, che appare nel reboot del 2016 e che avrà un ruolo anche nell’attesissimo DOOM Eternal. Ancora una volta, il comparto multiplayer è apprezzatissimo, sia in modalità deathmatch che in cooperativa. Nel classico tutti-contro-tutti gli utenti saranno chiamati a scegliere una delle tantissime mappe a disposizione per spararsi a vicenda. Collaborando, invece, potranno giocare i livelli della modalità storia. Ciò che è interessante, tuttavia, è la possibilità di scegliere lo scenario tra i trenta disponibili, anche se non ci siamo arrivati effettivamente durante la campagna. Inutile, però, nascondere che ci saremmo aspettati qualcosa in più dato che, ripetiamo, c’è davvero poco e nulla in più rispetto il prequel, cosa che rende questo secondo capitolo come il meno rilevante dell’intera DOOM Trilogy, anche rispetto a DOOM 3.

DOOM 3

Recensione a cura di Lorenzo Damiano

Dopo il successo dei primi due, non c’è da sorprendersi che id Software abbia deciso di sfornare, nel 2005, un terzo capitolo per la serie. DOOM 3 resta piuttosto fedele ai suoi predecessori, mantenendo il classico gameplay “run and gun” a cui i giocatori si erano affezionati ma combinandolo ad un approccio più survival horror che frenetico. Questa somiglianza con il primo e il secondo titolo sono da sempre stati e sono ancora un elemento di discussione per la critica. Da una parte, chi ha adorato DOOM e DOOM II non potrà che apprezzare il ritorno di tutte le meccaniche e le caratteristiche che hanno reso storica la trilogia. Dall’altra, non sono pochi coloro che hanno trovato il gameplay un po’ troppo ridondante, dato che non aggiunge particolari novità rispetto a quello degli altri capitoli. Inoltre, il gioco fa un uso a tratti eccessivo dei trigger di comparsa dei mostri, tanto che dopo un paio di ore di gameplay si può praticamente prevedere quando appariranno e dove. Inoltre, soprattutto nelle fasi inoltrate della campagna, si può notare un riutilizzo piuttosto consistente delle creature e dei loro pattern, che unito a quanto discusso prima rendono alcune sezioni del titolo decisamente monotone e prive di sorprese. Lo spirito di DOOM 3, tuttavia, non si fa di certo scalfire da queste piccole imperfezioni: ripulire le stanze correndo tra i nemici e facendone strage con il proprio arsenale di armi resta esaltante oggi come lo era 14 anni fa. L’esperienza è anche condita da alcuni momenti di tensione, in cui paura e inquietudine prendono temporaneamente il posto dell’azione. Sono presenti alcuni jumpscare che, per rispetto della ricetta del titolo, sono mantenuti leggeri e sporadici e di certo non rappresentano una minaccia ai più temerari. Nonostante i progressi compiuti fino ad oggi facciano pesare un po’ gli anni su DOOM 3, si può facilmente notare il motivo per cui questo gioco, così come la serie, sia omaggiato come una delle opere tecnicamente più all’avanguardia del suo tempo. La cura per le ambientazioni e per i dettagli è superiore a molte opere uscite nello stesso anno e va ad enfatizzare l’atmosfera del titolo, che rimane un compagno costante durante l’intera esperienza. Oltre alla modalità principale, è anche possibile giocare alle due espansioni che il titolo ha ricevuto nel corso del tempo, Resurrection of Evil e The Lost Mission. Non serve dire altro su questo terzo capitolo di una trilogia che ha rappresentato uno dei più grandi traguardi (e inizi) della storia del videogioco. DOOM 3 non ha perso la sua identità, anche per quanto riguarda i pregi e i difetti, e fa tutt’ora concorrenza ad altre opere odierne dello stesso genere.